Bancarotta fraudolenta, il giudice deve sempre determinare precisamente le pene accessorie
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n°32530/2020 emessa dalla V Sezione Penale il 19 novembre 2020 è tornata a pronunciarsi sulla determinazione delle pene accessorie disciplinate dall’articolo 216, ultimo comma, della Legge Fallimentare. La sentenza del giudice di legittimità ribadisce quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella, ormai famosa Sentenza n° 222 del 5 dicembre 2018.
I fatti all’origine della pronuncia della Cassazione. La Suprema Corte si è trovata di fronte al ricorso presentato da un imprenditore lombardo che, sia in primo grado dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Milano, sia in secondo grado dalla Corte d’Appello della stessa città, era stato condannato per il reato di Bancarotta fraudolenta secondo quanto disposto dagli articoli 216 e 223, comma 2, numero 2. Questo, in quanto l’imputato nella veste prima, di imprenditore di fatto, poi di liquidatore di una Srl aveva emesso un numero elevatissimo di fatture per operazioni inesistenti. Da ciò era derivato un debito nei confronti dell’Erario ammontante a circa 80 milioni di euro.
Il ricorrente, tramite il suo legale di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello di Milano, affermando che la stessa, con la sua pronuncia, avrebbe violato gli aricoli 1 Codice Penale e 216, ultimo comma, della L.F per aver omesso di rideterminare le pene accessorie fallimentari secondo i parametri indicati dall’articolo 133 del Codice Penale come indicato dalla citata Sentenza della Corte Costituzionale n° 222 del 2018 e della Sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n°28910/2019 Suraci.
La decisione della Suprema Corte. La Suprema Corte di Cassazione riconosce che il ricorso dell’imputato coglie perfettamente nel segno di quanto affermato sia dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n° 222 del 2018 sia dalle stesse Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n° 28910/2019 Suraci. E, per quanto riguarda il caso di specie, afferma che la Corte d’Appello di Milano non ha effettuato la rideterminazione delle pene accessorie fallimentari. Per tale motivo, dato che in sede di giudizio di legittimità non sono possibili valutazioni di merito la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione delle pene accessorie fallimentari.
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Daniele Cimarelli
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