Biotestamento e Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento: libertà di autodeterminazione si, ma in che modo?

Biotestamento e Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento: libertà di autodeterminazione si, ma in che modo?

A seguito di innumerevoli discussioni che si sono rincorse per anni, a cui hanno fatto seguito una serie indistinta ed indiscriminata di disegni di legge con la novella legislativa n.219/2017, si è finalmente colmato un vuoto normativo e si è data una disciplina giuridica all’esercizio del diritto di autodeterminazione personale in ambito medico- personale.

In maniera più specifica si è voluto dare un “nomen iuris” alla facoltà di disporre del proprio consenso, e conseguenziale libero arbitrio, in relazione ad avvenimenti di natura sanitaria che, a seconda delle circostanze del caso, appaiano necessari in relazione alla condizione clinica di un determinato soggetto venutosi a trovare in situazioni tali in cui non possa disporre delle proprie facoltà di autodeterminazione e non possa, conseguentemente, esprimere la propria volontà al riguardo. L’impropria espressione con la quale si è diffuso tale argomento è “testamento biologico” anche conosciuto come : testamento di vita, direttive anticipate o volontà previe di trattamento altro non è se non una traduzione dell’espressione inglese “living will” con la quale a sua volta si vuole indicare il tema delle Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento ( D.A.T).

Per Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento si indica un “documento con cui una persona, dotata di piena capacità esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe sottoporsi nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato “. ( Comitato per la Bioetica nel Parere dato a Roma il 18 Dicembre 2003, pag 2. )

Quindi, per dirla con parole più semplici , le suddette Dichiarazioni Anticipate di Inizio Trattamento altro non sono che un mezzo attraverso il quale una persona in grado di intendere e di volere, nel pieno delle proprie facoltà mentali, specifica dettagliatamente i trattamenti sanitari ai quali intende sottoporsi, e di converso quelli a cui non intende sottoporsi, nell’evenienza in cui dovesse trovarsi ad affrontare una grave patologia o una malattia terminale, che non lo ponga nelle condizioni di essere in grado di intendere e di volere.

Fatto questo excursus introduttivo, prima di addentrarci più dettagliatamente nella disamina della Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento, occorre soffermarci sul tema del consenso informato in materia di dati sanitari. Tema questo che trova la propria fonte primaria nella nostra Carta Costituzionale, in particolar modo nel combo degli art 2 e 13; il primo articolo dispone che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’Uomo” tra i quali quello alla integrità fisica. In maniera più specifica, la necessità del consenso del paziente si ricava dall’art 13 il quale contiene il principio della inviolabilità della libertà personale , ambito nel quale si ricomprende la libertà ( o il diritto ) di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica. Accanto a queste due norme, l’art 32 della Carta Costituzionale prevede espressamente che: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. Pertanto la legittimità del testamento biologico, la cui disciplina come abbiamo detto costituisce una novità degli ultimi anni, la rinveniamo direttamente nel cuore della nostra Carta Costituzionale.

Al di sopra del nostro diritto nazionale troviamo quello Sovranazionale, e in riferimento all’argomento di cui è disamina, non possiamo non citare l’art 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, o meglio conosciuta come Carta di Nizza, il quale afferma espressamente che : “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato”. Quindi, il consenso libero ed informato non è più solo e soltanto un requisito di legittimità dell’attività medica ma anche e soprattutto un diritto fondamentale del cittadino europeo, diritto rientrante nella sfera dell’integrità della persona .

Il tema è stato toccato anche dalla Convenzione sui diritti umani e la biomedicina firmata a Oviedo il 4 aprile 1997, il cui combo degli art 3 e 9 risulta essere particolarmente interessante. L’art 3, rubricato “ Diritto all’integrità della persona” espressamente prevede che : “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani”. L’art 9, invece, recita che : “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”.

Quindi, possiamo notare da queste brevi premesse che il diritto di un soggetto di accettare o rifiutare un determinato trattamento sanitario, afferisce direttamente al tema della tematica della dignità umana, comportando un radicale ribaltamento di prospettiva. Infatti, a seguito di vari interventi normativi e giurisprudenziali, è stata la stessa giurisprudenza a tornare sui suoi passi, passando da una concezione che metteva il medico come dominus delle scelte terapeutiche in considerazione del fatto che “il medico aveva seco la presunzione di capacità nascente dalla laurea”, ad una che concepisce il consenso libero ed informato del paziente come presupposto di legittimità dell’operato del medico, altrimenti definito illecito. Questo aspetto costituisce uno degli approdi più importanti a cui è giunta la giurisprudenza e la dottrina in tema di responsabilità medica.

Per tale ragione il codice deontologico della professione medica, rifacendosi a tale concezione, prevede all’articolo 35 che: “L’acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile. Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato…..”. Mentre, all’articolo 38 contiene la seguente prescrizione :“Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale. La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali. Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione sanitaria”. Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall’ordinamento e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”.

Come abbiamo visto la giurisprudenza ha svolto un ruolo di primo piano in materia di Testamento biologico, tra le varie pronunce in merito ricordiamo Cass. civ, sez. I, 20.12.12 , n.23707, ove si afferma che : “ E’ la dignità umana il valore fondamentale sul quale converge il coacervo delle fonti giuridiche interne e sovranazionali, rappresentate dagli artt. 2, 3 e 35 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dai principi di cui agli artt. 5, 9 e 21 della Convenzione di Oviedo che impongono di tener conto, a proposito di un intervento medico, dei desideri del paziente non in grado di esprimere la sua volontà, dall’art. 38 del Codice Deontologico nella formulazione del 2006, che impone al medico di tener conto di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato.” Altri interventi in materia li rinveniamo nella sentenza della Cassazione n.21748/2007 sul caso di Eluana Englaro, della Corte Costituzionale n. 438 del2008 in materia di consenso informato, della CEDU del 29 aprile 2002, Pretty contro R.U. ricorso n. 2346/2002. Una menzione particolare spetta alla Convenzione di New York ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 18, nel cui preambolo è riconosciuto il diritto e l’importanza di scegliere le cure mediche, in particolar modo per le persone affette da disabilità. In tutta questa macchina in continuo movimento, sempre la Cassazione civile, sez. I, n. 23707/2012, sottolinea l’importanza della capacità del soggetto di autodeterminarsi, la quale si esplica in particolar modo nella “alleanza terapeutica”, la quale manifesta “ l’impostazione che ad essa la persona capace intende dare attraverso l’atto di designazione“. La giurisprudenza pone al centro dell’attenzione la tutela della persona nella sua interezza e soprattutto al rispetto della sua volontà.

Ancora, fra le pronunce più attuali in materia particolarmente interessante appare la sentenza n. 12998/2019 della Corte di cassazione, ove si evince che : “In tema di attività medico-sanitaria, il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio – nel quadro dell'”alleanza terapeutica” che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Né il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, (omicidio del consenziente, art. 579 c.p., o aiuto al suicidio, art. 580 c.p.), ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, giacché tale rifiuto esprime piuttosto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale”.

Preludio dell’intervento normativo in materia di Disposizioni Anticipate di Inizio Trattamento recente è la Sentenza n. 262/2016 della Corte Costituzionale nella quale viene chiaramente ribadito che : “ Data la sua incidenza su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita – al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti – necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile», disposta dalla Costituzione. Il legislatore nazionale è, nei fatti, già intervenuto a disciplinare la donazione di tessuti e organi, con legge 1 aprile 1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), mentre, in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i dibattiti parlamentari in corso non hanno ancora sortito esiti condivisi e non si sono tradotti in una specifica legislazione nazionale”. Ancor prima, sempre lo stesso giudice delle leggi aveva specificato che “il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti”.

Dunque è questo il background nel quale si inserisce la L. n. 219/2017 il cui art 4 prevede che: “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie”.

Come si può ben evincere dall’articolo in questione, le DAT vengono utilizzate, nella maggior parte dei casi per esprimere il proprio rifiuto agli accertamenti diagnostici, alle scelte terapeutiche o a singoli trattamenti sanitari ai quali, in caso di eventi avversi, il soggetto dovrebbe essere sottoposto. Per quanto riguarda, invece, la natura giuridica di tali disposizioni è possibile ritenere che esse siano dei negozi giuridici unilaterali, con i quali un soggetto, in una prospettiva passata si cala in una prospettiva futura, disponendo le proprie volontà valevoli per un tempo prossimo. Per tale ragione è possibile qualificarle come negozio giuridico unilaterale, per il tramite delle quali viene espressa una manifestazione di volontà relativamente alle modalità in cui saranno regolati i propri interessi, in relazione ai trattamenti sanitari. Quindi, relativamente alla natura giuridica di tali dichiarazioni anticipate di inizio trattamento, appare giustificato qualificarle come atto negoziale a contenuto non patrimoniale soprattutto in considerazione degli effetti che esse possono determinare : consenso ad un determinato trattamento sanitario o rifiuto ed esonero della responsabilità del medico.

In relazione a tale ultimo profilo, nella L.219/2017 vi è espressamente la previsione dell’esenzione della responsabilità penale o civile del medico, il quale è tenuto a rispettare le volontà espresse dal paziente nelle DAT. La volontà di quest’ultimo deve essere rispettata anche nelle situazioni urgenti e di emergenza sanitaria, e le strutture sanitarie devono garantirne ed assicurarne il pieno rispetto.

Vi è un altro aspetto da prendere in considerazione, esaminato anche dal nostro legislatore nell’art 3 comma 5 della legge in commento. L’articolo in questione,al primo comma, prevede espressamente che : “La persona minore di eta’ o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacita’ di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacita’ per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” , vi è quindi una valorizzazione della capacità di autodiscernimento del minore e dell’incapace, il quale deve essere messo nelle condizioni di poter esprimere una volontà informata, oltre che libera e consapevole. Il legislatore, al comma 5 dell’articolo in questione, si sofferma sul caso in cui : “ Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano necessarie, la decisione e’ rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.” In tale caso siamo di fronte a minori o ad incapaci, i quali non possono avvalersi delle DAT, dal momento che il primo presupposto richiesto per la loro esecuzione materiale è la maggiore età e, in seguito, la capacità di intendere e di volere. In tali casi, pertanto, la situazione di stallo può essere risolta ricorrendo al giudice tutelare. Nella stessa norma viene fornita l’indicazione dei soggetti che materialmente possono proporre ricorso al giudice tutelare, ovvero : il rappresentante dell’incapace, il medico, il rappresentante della struttura sanitaria e tutti i soggetti di cui agli artt. 406 ss. c.c., vale a dire il coniuge, il convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo ed il pubblico ministero. Sulla base della lettera della legge, visto il riferimento all’art. 406 c.c , è pacifico ritenere che possa ricorrere anche il paziente minorenne o incapace.

Ma, entrando nel cuore della vicenda, affinchè un soggetto possa avvalersi delle DAT, come abbiamo precedentemente osservato, devono ricorrere due presupposti : la maggiore età e la capacità di intendere e di volere. Esse, quindi, vengono redatte da un soggetto maggiorenne e capace di intendere e di volere, il quale nel pieno delle proprie facoltà mentali esprime le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, prefigurandosi una possibile perdita della capacità di intendere e di volere. Per ciò che riguarda i requisiti formali, il testamento biologico deve essere redatto in forma scritta. Quindi, le DAT possono essere poste in essere in vari modi, tra cui : atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale ( ad esempio un notaio) , scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale o da un medico del SSN o con esso convenzionato oppure una scrittura privata semplice, da consegnare all’ufficio dello Stato civile del Comune di residenza.

In casi eccezionali, alla forma scritta si può ovviare tramite una registrazione video o altre modalità idonee a rendere manifesto la volontà del soggetto.

L’art 4 prevede, tra i vari requisiti, che le DAT vengano redatte dall’interessato dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche. Nonostante ciò, qualora non ci si informi adeguatamente, ciò non potrebbe comportare l’annullamento delle Disposizioni in questione. Anche se, in assenza di tale adeguata informazione, le volontà del paziente sarebbero facilmente aggirabili dal sanitario, il quale ritenendo di dovere agire potrebbe facilmente dimostrarne l’incongruenza. Ma soprattutto, il medico potrebbe facilmente dimostrarne la non corrispondenza alle condizioni cliniche del soggetto , potendo così aggirare e disattendere le volontà del paziente. Uno scenario del genere, per quanto inverosimile nei fatti, potrebbe essere facilmente ovviato se il soggetto interessato nel predisporre le proprie volontà si giovi dell’aiuto di un legale o, ancora meglio, di un medico. Quindi, il requisito dell’adeguata informazione preventiva da parte dell’agente, per quanto auspicabilmente giustificabile nella ratio, appare non condivisibile per ciò che riguarda le concrete modalità attuative, dal momento che la L.219/2017 non si preoccupa di precisare né i soggetti in grado di fornire tale informazioni e né il modus con cui dovrebbero essere svolte.

Un altro profilo di rilievo contenuto nell’art 4 riguarda la figura del fiduciario, al riguardo il comma 2 così recita : “ Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che e’ allegato alle DAT. Al fiduciario e’ rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che e’ comunicato al disponente. “

A tale designazione non viene attribuito una importanza di rilievo, giacche il successivo comma afferma che : “Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volonta’ del disponente. In caso di necessita’, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile “ e, come si evince dall’ultimo periodo tale nomina è alternativa a quella dell’amministratore di sostegno. Per ciò che riguarda le facoltà espressamente attribuite a tale fiduciario, si rinvengono nei commi 1,2, 3, 4 e 5 dell’art 4; in primo luogo egli agisce per conto del disponente, rappresentandolo con il personale sanitario e con le strutture sanitarie. La legge gli attribuisce, espressamente, la facoltà di fornire il consenso necessario al medico per disattendere le disposizioni del paziente, infatti in tale comma si prevede che : “il medico e’ tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita

La figura del fiduciario non è equiparabile e sovrapponibile a quella del dichiarante, il fiduciario deve infatti attenersi alle disposizioni impartite dal paziente, giacchè nel corpo delle Disposizioni Anticipate di trattamento vi è già il suo consenso o il suo dissenso alle cure. Nel caso ci si trovi dinanzi a disposizioni di incerta e difficile interpretazione, può astrattamente ritenersi che il fiduciario, in forza dei “poteri rappresentativi” che gli vengono attribuiti dall’Art 4 della L. 219/2017 possa vincolare l’operato del medico, il quale però, in tal caso, non sarebbe tenuto ad attenersi a quanto ritenuto giusto dal fiduciario alla stregua di quanto avrebbe dovuto fare dinanzi al paziente. Il medico, infatti, può rimettere la decisione al giudice tutelare. Tuttavia, la ragionevolezza di una tale pronuncia giudiziale ,in una tematica prettamente di natura medica appare alquanto dubbia, ma soprattutto sembra essere il frutto di una prassi tendente a dilatare il potere dispositivo del giudice nelle questioni riguardanti la vita e la morte delle persone.

Per ciò che riguarda la nomina del fiduciario, come si evince dal comma 2 dell’art 4, deve essere accettata da quest’ultimo, l’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che e’ allegato alle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina, comunicandolo al predisponente.

Tuttavia, per completezza di narrativa, non possiamo non fare cenno all’aporia dell’istituto in esame. Già il nome utilizzato dal legislatore del 2019, ovvero Disposizioni Anticipate di Trattamento, si rileva al quanto dubbio. Il termine disposizione indica un ordine, al contrario del termine dichiarazione che esprime un orientamento; questa questione può apparire un operazione esclusivamente di semantica ma così non è. La terminologia è importante per individuare il fine di una qualsiasi normativa che conferisca valore a un atto anticipato del soggetto. Infatti, se tale termine viene inteso come mera manifestazione di una preferenza esso si concilia con il principio di beneficialità tra paziente e medico all’interno della cosiddetta “alleanza terapeutica.” Quindi, in questo caso, il medico si atterrà alle disposizioni qualora non ritenga che essi contrastino con la concreta possibilità di fornire al paziente, senza un aggravio inutile di sofferenze, un beneficio effettivo per la sua salute; al contrario se l’atto deve essere inteso (come vuole il legislatore) alla stregua di una disposizione, vincolante in ogni caso per il sanitario, quest’ultimo non potrà disattenderla , anche se si presenti come una disposizione palesemente assurda.

Tuttavia, al di là di tali aspetti, facilmente ( e si spera ) limabili dal legislatore la normativa contenuta nella legge 219/2017 appare essere una di fondamentale importanza, soprattutto negli anni in cui ci troviamo, giacché per la prima volta si è conferito contegno giuridico all’istituto del Biotestamento e, inoltre si sono disciplinati anche aspetti fondamentali della vita ospedaliera in cui ciascuno di noi potrebbe venirsi a trovare nell’arco della propria vita, si pensi al consenso informato.

Quest’ultimo, infatti , viene inteso dall’art 1 della normativa quale diritto del paziente ad avere un’informazione completa, aggiornata ed a lui comprensibile circa le proprie condizioni di salute, la diagnosi, la prognosi, i benefici e i rischi degli  accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati dal medico, le possibili alternative ai trattamenti proposti ed infine circa le conseguenze di un eventuale suo rifiuto delle cure. Tale consenso, inoltre, viene considerato come presupposto necessario ed indifferibile per il compimento di ogni accertamento diagnostico o trattamento sanitario. Quindi, il nostro legislatore, ha previsto che, prima di procedere a qualsivoglia forma di accertamento terapeutico o in via generale di qualsiasi atto sanitario , si deve necessariamente acquisire il consenso del paziente. Tale consenso deve essere subordinato ad una effettiva conoscenza e ad una serie di informazioni che il personale sanitario deve rendere al paziente.

Per ciò che riguarda la forma in cui tale consenso deve essere reso dal paziente o da una persona di sua fiducia all’uopo nominata, esso deve essere espresso in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, nel caso in cui la persona abbia delle disabilità, attraverso dispositivi che consentono a detta persona di comunicare e debbono, poi, essere inseriti da parte dei sanitari all’interno della cartella clinica e del fascicolo sanitario elettronico. Inoltre, le informazioni che vengono preventivamente fornite al paziente ( o alla persona da lui indicata ) hanno ad oggetto anche la diagnosi, la prognosi nonché le condizioni di salute in cui si trova il paziente stesso, e per tale motivo, tali dati comportano il rispetto e l’osservanza delle normative in materia di privacy da parte delle strutture sanitarie e di tutti gli esercenti le professioni sanitarie, e di tutti coloro che hanno intrapreso una relazione terapeutica con il paziente.


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Vanessa Pastore

Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Laurea conseguita presso l'Università degli Studi di Bari :"Aldo Moro" con votazione 110/110.

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