Bitcoin: monete o beni?

Bitcoin: monete o beni?

L’importanza della moneta e il principio nominalistico

Se le criptovalute siano monete o beni giuridici è l’interrogativo nato dalla necessità di analizzare il fenomeno che sta alla base della diffusione della criptoattività, ma anche gli effetti sul piano giuridico, economico e sociale.

Dal baratto, alle monete metalliche, fino alla dematerializzazione, lo strumento monetario è sempre stato al centro di complessi e virtuosi dibattiti.

Alla fine del secolo precedente, l’idea che fosse della politica la responsabilità anche dei fenomeni economici era già preponderante e sulla scorta di una necessaria regolamentazione collettiva coordinatrice delle operazioni economiche, e sull’idea di una libertà maggiore espressione di un insieme compatto, è nata l’Unione Europea.

Il pilastro principale è costituito dalla moneta unica, attraverso la quale si voleva garantire una maggiore integrazione fra le Nazioni.

Moneta unica, fattore di omogeneizzazione

La Banca Centrale Europea svolge, tra le varie funzioni, non solo quella di emissione monetaria, ma anche di garante della stabilità monetaria in ogni Paese appartenente all’Unione.

L’articolo 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, prevede che il Consiglio Europeo ponga in essere operazioni di sorveglianza e di rafforzamento del coordinamento delle politiche di bilancio, e operi al fine di orientare le politiche economiche dei vari Stati Membri.

La produzione e la circolazione di moneta è accompagnata dalla sua dematerializzazione.

Oggi le funzioni basilari della moneta sono: unità di conto attraverso cui misurare il valore dei prodotti, riserva di valore attraverso cui individuare la capacità di risparmio e mezzo di pagamento utilizzabile cioè, ai fini di acquisto. Da un punto di vista giuridico invece, la banconota o la moneta è quella che ha corso legale ossia è quella moneta alla quale lo Stato riconosce queste tre funzioni.

La regolamentazione dei rapporti che hanno ad oggetto la moneta legale è rinvenibile nella disciplina delle obbligazioni pecuniarie. Porre l’attenzione sulle obbligazioni pecuniarie richiede di soffermarsi sul principio nominalistico secondo cui le obbligazioni pecuniarie si estinguono attraverso la moneta avente corso legale. In virtù di tale principio, alla scadenza del termine per l’adempimento, il debitore si libera pagando l’importo dovuto al tempo in cui è nata l’obbligazione a prescindere dal valore reale della valuta.

Il principio nominalistico come ordine pubblico monetario è utile al fine di salvaguardare la politica economica e fiscale del nostro Paese. Il costante equilibrio economico viene ancorato ad un parametro numerico monetario in cui la valuta è l’elemento di stabilizzazione dei mercati.

Il riferimento alla moneta legale nell’articolo 1277 c.c. non sta a significare però che l’unica possibilità riconosciuta al debitore sia quella di utilizzare moneta contante: non è previsto alcuno ostacolo. Il suddetto articolo definisce il debito pecuniario non debito di moneta in contanti, ma semplicemente debito di somma di denaro creata dallo Stato. Le difficoltà concettuali risiedono nell’inquadrare il rapporto tra moneta avente corso legale e i diversi mezzi di pagamento che sono sempre più diffusi ed utilizzati.

Se la moneta sovrana per legge libera dalle obbligazioni pecuniarie, contrariamente si distingue dalla moneta avente corso libero. Quest’ultima è definita anche moneta contrattuale, tale per cui si è liberi di accettare il pagamento del proprio credito attraverso uno strumento diverso rispetto alla moneta avente corso legale.

Moneta legale non significa però esclusivamente moneta contante, infatti la moneta bancaria ed elettronica nonostante oggetto di ampie discussioni, si pongono all’interno del concetto di sovranità monetaria e quindi non sono antagoniste ed estranee alla moneta legale. Infatti il dibattito sul dualismo tra moneta statale e moneta bancaria, è stato chiarito dal. lgs. 27.1.10 n.11. chiudendo definitivamente le questioni controverse e constatando che la moneta bancaria è una forma trasmissiva di moneta equivalente a quella statale.

Le monete elettroniche, le monete virtuali, i Bitcoin

Quando si fa riferimento alle monete elettroniche in senso stretto invece, si ci riferisce per esempio ai Bitcoin. Si tratta di una moneta proveniente dal Giappone e creata nel 2009. Il Bitcoin viene qualificato come moneta virtuale con una anonimità parziale che si scambia attraverso l’uso della crittografia, non è sostenuta da alcuna autorità statale, per cui, non è soggetta ad alcun controllo o garantita da altri soggetti giuridici. I Bitcoin sono trasferibili liberamente e sono negoziabili su mercati che consentono lo scambio con valute di corso legale. Si tratta non di una passività emessa dalla Banca Centrale come il contante, infatti non è moneta legale ma non nel senso che il suo utilizzo è illegittimo, nel senso che non è riconosciuta dallo Stato come quella moneta che ha vincolativamente il potere di estinguere le obbligazioni.

Alla base di tali monete virtuali vi sono complessi calcoli matematici e algoritmici, che possono essere riassunti con il termine di blockhain. Il termine di criptovaluta vuol dire valuta nascosta. È infatti una entità che può essere utilizzata solo se si possiede uno specifico codice attraverso cui è consentito l’accesso alla piattaforma.

Coloro che detengono tali portafogli sono anonimi e le transazioni sono tecnicamente irreversibili, nel senso che, una volta compiute, non possono essere annullate. Bisogna chiedersi in primis se i Bitcoin possono essere inquadrati in quella definizione di moneta tradizionale, perché sul punto non vi è unanimità di vedute. Gran parte della dottrina per esempio afferma che i Bitcoin non possono essere qualificati come moneta in quanto non rientrerebbero nelle varie definizioni teoriche di moneta stessa. La teoria statalista sostiene per esempio, che il Bitcoin non possiede la forza liberatoria delle obbligazioni proprio perché ad oggi, gli Stati non lo hanno individuato come moneta avente corso legale. Il creditore per tanto sarà sempre libero di rifiutare una prestazione che ha ad oggetto un pagamento in Bitcoin. Si è di fronte insomma ad una datio in solutum e non potrebbe quindi, estinguere l’obbligazione senza il consenso del creditore.

A causa della sua versatilità è possibile che qualsiasi inquadramento nel nostro ordinamento che canalizzi una nozione di Bitcoin, potrebbe risultare inadatta e comportare effetti negativi. Vi è innanzi tutto chi ha tentato, ai sensi dell’articolo 810 del codice civile, di inquadrare la moneta virtuale come un bene giuridico immateriale. Un bene giuridico meritevole di tutela in virtù di interessi economici ad esso sotteso, un bene oggetto di diritti.

Una sentenza del T.A.R. del Lazio, nella sentenza del 27 gennaio 2020 in merito ad una controversia dell’Agenzia delle Entrate, ha disposto proprio in relazione alla natura di tali monete, che le valute virtuali devono essere qualificati come beni immateriali, non svolgendo le funzioni tipiche della moneta, di unità di conto e di riserva di valore, nonostante la possibilità di utilizzarle come mezzi di scambio per via consensuale fra le parti, quindi è sempre limitato da una accettazione incerta.

La criptovaluta esprime digitalmente un valore, ecco perché infondo ha una affinità con il concetto di moneta classica che non è altro che la rappresentazione di un valore. Il fatto che la criptovaluta sia totalmente estranea ad una politica monetaria però, crea una frattura inevitabile tale da rendere impossibile assimilarla al concetto di moneta tradizionale. Nonostante venga identificata con il termine di moneta virtuale in realtà si tratta chiaramente di un fenomeno differenziato rispetto a quello della moneta in senso proprio. La criptovaluta rappresenta un nuovo bene immateriale, fungibile e limitato. La moneta virtuale altro non è che la rappresentazione di un valore virtuale, posizionabile nella categoria dei beni fungibili. Qualificare la cryptocurrency come bene comporta secondo alcuni, che il pagamento di beni e servizi venga qualificato come una vera e propria permuta. Nel caso in cui il Bitcoin sia trasferito al fine di estinguere un’obbligazione in denaro si è dinnanzi, ai sensi dell’articolo 1197 c.c., ad una prestazione in luogo di adempimento. Oppure ancora, se al sorgere di una obbligazione pecuniaria viene offerta la possibilità di una datio in Bitcoin, si è di fronte ad una obbligazione alternativa. La dottrina maggioritaria quindi ritiene assai lontana la valuta virtuale dal sistema predisposto dall’articolo 1277 c.c. poiché la criptovaluta non può essere lontanamente equiparata ad una moneta avente corso legale in uno Stato

Qualificare la valuta virtuale come bene è un modo che consente di inquadrare in base alla disciplina civilistica alcuni meccanismi del mercato dedicati alla moneta virtuale stessa. Non bisogna dimenticare che si tratta di un fenomeno astratto e quindi, ci si domanda in che modo l’utente acquisti e gestisca il guadagno virtuale racchiuso nella criptovaluta.

È fondamentale quindi, inquadrare dal punto di vita giuridico, il rapporto che sussiste tra il soggetto gestore di una piattaforma di deposito e scambio fra utenti e gli utenti stessi. Già di per sé questo rapporto permette di individuare i confini della responsabilità della piattaforma nei confronti degli utilizzatori-utenti. È inevitabile sottolineare come ci si trovi di fronte ad un profilo civilistico nuovo. Una delle prime impostazioni ed interpretazioni riguarda la qualificazione dei gestori delle piattaforme come prestatori di servizi che hanno ad oggetto la valuta virtuale e questo ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2007 modificato dal decreto legge n.90 del 2017. Secondo questa normativa gli utenti risulterebbero avvantaggiati dalla piattaforma solo al fine di realizzare scambi tra loro, senza alcun coinvolgimento del gestore, il quale sarebbe semplicemente colui che mette a disposizione la piattaforma-portale per garantire negoziazioni fra privati. In virtù di tale qualificazione, non dovrebbe sussistere nessun obbligo di custodia o di restituzione che gravi sul gestore, il quale rappresenta appunto, colui che si limita ad offrire una piattaforma telematica di scambio fra terzi soggetti a lui estranei. Questa qualificazione risulta favorevole e difensiva della posizione del gestore del caso in questione, ma pone qualche dubbio rispetto all’esonerare completamente il gestore stesso da ogni tipo di responsabilità nei casi di ammanchi consistenti di criptomoneta, magari dovuta ad una fallace gestione di sicurezza del software utilizzato. In alcuni casi potrebbe essere prevista nelle condizioni generali d’uso della piattaforma, una clausola di limitazione della responsabilità del gestore in merito ai rischi circa il corretto funzionamento della criptomoneta, e secondo parte della dottrina, tale esonero non rientrerebbe comunque nelle ipotesi di esonero stabilite dall’articolo 1229 del codice civile.

Secondo una impostazione, in quanto bene capace di formare oggetto di diritto ai sensi dell’articolo 810 c.c., in questo mercato apposito, ogni utente ha un profilo nel quale collocare le sue monete virtuali, che può scambiare secondo lo schema tipico della permuta, possono essere prelevate e trasferite anche su portafogli esterni.

Fino a che le criptomonete si trovano sulla piattaforma non sono conservate all’interno del singolo portafoglio ma, vengono raccolte da alcuni wallet individuali dentro una sorta di conto unico che fa capo alla piattaforma. Il gestore della piattaforma quindi esercita una sorta di controllo sulle operazioni da parte degli utenti, poiché questi non possono effettuare prelievi o trasferimenti se non attraverso un codice informatico che rappresenterebbe una sorta di consenso da parte del gestor del conto centralizzato. Si tratterebbe allora, della configurazione di un deposito irregolare. Ai sensi dell’articolo 1782 c.c. «se il deposito ha per oggetto una quantità di denaro o di altre cose fungibili, con facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la proprietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità. In tal caso si osservano, in quanto applicabili, le norme relative al mutuo». Il deposito irregolare può essere utilizzato per inquadrare il rapporto che sussiste tra l’utente che utilizza la criptomoneta e il titolare della piattaforma virtuale. Il fatto che il gestore abbia la piena disponibilità di criptomonete fungibili è l’elemento caratteristico che collegherebbe il fenomeno al deposito irregolare, e questa disponibilità perciò è l’elemento che permette di rinvenire nel gestore stesso un potere-dovere di supervisione e controllo sulle operazioni svolte nella piattaforma

Collegare la figura del deposito irregolare a quella della gestione della piattaforma online di criptovalute obbliga inevitabilmente il depositario gestore a risarcire il danno nei confronti del soggetto-utente a cui non viene garantita l’esecuzione della sua richiesta di restituzione di una quantità di beni fungibili della medesima specie e quantità ai sensi del già citato articolo 1782 c.c.

Secondo diversi economisti non è possibile utilizzare come mezzo di pagamento uno strumento che si basa sulla segretezza, se l’obbiettivo generale e globale è quello di creare un sistema bancario trasparente che lotti contro l’evasione fiscale.

In che limiti, i Bitcoin possano rientrare nell’ambito applicativo degli articoli 1277-1278 c.c.?

La modalità di pagamento tramite Bitcoin non è intermediata da banche, ma da utenti singoli, che collegandosi alla rete svolgono transazioni. Come già accennato è discusso se la moneta sia un bene in senso giuridico ai sensi dell’articolo 810 c.c., infatti molti affermano che in realtà il diritto di proprietà ai sensi dell’articolo 832 c.c. potrebbe rappresentare un importante ostacolo nel qualificare la moneta come bene giuridico. Tale ultima disposizione qualifica la possibilità di godere e disporre esclusivamente di un bene. Ecco, della moneta si può disporre ma difficilmente se ne può godere: la funzione della moneta intesa come strumento di pagamento comporta la sua cessione ad altri come corrispettivo. Se la moneta non è un bene giuridico, ed il Bitcoin non può essere qualificato come moneta, ancor di più è sostenibile la tesi che equipara la criptovaluta come bene giuridico ai sensi dell’articolo 810 c.c.

Le monete virtuali possono essere qualificate semplicemente come mezzi o beni idonei ad adempiere alle obbligazioni se le parti lo vogliono. Sulla sua natura la BCE si è espressa, deducendo che si tratti di monete prive di apparati normativi attraverso la quale è possibile stabilirne la funzione di mezzo di adempimento obbligazionario, e quindi non sono moneta. Tra le difficoltà sollevate, si pensi alle questioni ereditarie quando l’eredità è fondata solo su criptovalute. La questione è nata in virtù di un accaduto del nove dicembre Gerald Cotten morì in India, malato ormai da tempo. Il Sig. Cotten era l’unico che era a conoscenza della password di accesso alla piattaforma QuadrigaCX: da quando il fondatore morì nessuno è stato in grado di accedere alla piattaforma, causando la perdita complessivamente di un patrimonio di 150 milioni di dollari espresse in criptovaluta. La vedova Jennifer Robertson ha dichiarò alla Corte Suprema di non conoscere la password per poter accedere alla piattaforma tramite il Pc personale del de cuius. Questo accaduto potrebbe esprimere nuovamente i limiti che pone questo mondo monetario virtuale e digitale, poiché manca un quadro normativo capace di garantire tutele adeguate in situazioni del genere come quelle ereditarie e non solo. Se le chiavi di accesso le conosce solo chi muore, è impossibile sapere se una persona detenga una fortuna o non detenga niente, poiché i c.d. portafogli contengono numeri illimitati di indirizzi, a cui vengono assegnati numeri sconosciuti di Bitcoin.

L’assenza di strumenti di risoluzione delle controversie e quindi di un sistema a tutela delle parti comporta la presenza di elevati rischi per gli utenti, per esempio una eventuale inadempimento o frode, potrà risolversi tramite il consenso e l’accordo volontario delle parti.

La direttiva dell’Unione Europea del 2018 n. 843 costituisce un primo intervento europeo derivante dal crescente allarme legato al rischio di attività illecite attraverso l’utilizzo di valute virtuali. In Italia però il Decreto Legislativo n. 231 del 2007 ha anticipatamente cercato di qualificare la criptovaluta come una rappresentazione digitale di valore, non emessa da banca centrale o da un autorità pubblica, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi, trasferita e archiviata elettronicamente: approccio confermato anche dalla direttiva V antiriciclaggio recepita con il Decreto Legislativo del 4 Ottobre del 2019 n.125 che ha ampliato certamente la definizione della criptovaluta. Si tratta quindi sempre di una rappresentazione di valore che non necessariamente debba essere collegata ad una moneta avente corso legale: è evidente sul piano giuridico che si è delineato e qualificato un fenomeno difficilmente codificabile. Le valute di cui tratta il precedente citato decreto legislativo del 2007 n. 231, include nella definizione di valuta virtuale, non solo quelle in senso stretto, ma anche le varie tipologie di cripto-asset e tutte le finalità sottese alla loro emissione e circolazione. Questa inclusione ampia e generale implica che nella qualificazione di criptovalute possono sussistere sia assetriconducibili alla categoria dei beni, ai sensi dell’articolo 810 c.c., di documenti, o titoli di legittimazione, di strumenti finanziari, a seconda di come vengono emessi o di come avviene la circolazione. In via conclusiva, il quadro normativo posto in essere relativo alla prevenzione del reato di riciclaggio di denaro e finanziamento di attività terroristiche tramite il settore delle criptovalute è ancora prettamente agli albori.

Se la criptovaluta non è una moneta, conseguentemente non è considerabile come uno strumento finanziario, ma è un valore che rappresenta relativi diritti ad esso connesso, la considerazione di criptovaluta come bene giuridico sembrerebbe maggiormente confermarsi. Ai sensi dell’articolo 810 c.c.:” Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”. Infatti, sebbene sia chiaro che si è di fronte ad una categoria nuova suscettibile di una autonoma disciplina, non è detto che semplicemente per il fatto che si tratti di entità di componente tecnologica e virtuale, non possano essere compresi nelle definizioni già esistenti all’interno del nostro codice civile ed all’interno del nostro ordinamento in generale. Inquadrare la criptoattività nella categoria dei beni giuridici, significherebbe applicare la normativa esistente relativa ad essi.109 Il contenuto della definizione adottata dalla Consob, conferma il suo approccio volto alla necessaria inquadratura e regolamentazione del fenomeno. Se le criptovalute non sono monete ma beni giuridici ai sensi dell’articolo 810 c.c., è valevole inevitabilmente la relazione opposta secondo la quale la moneta non può essere qualificata come bene giuridico. La moneta rappresenta infatti, la disciplina giuridica di un potere economico, della sua disponibilità e del suo esercizio. Tale affermazione richiede qualche passo a ritroso partendo proprio dalla concezione tradizionale che identifica la moneta con la res. Tale identificazione consentiva di ricorrere allo schema proprietario, secondo cui con il pagamento si realizza il trasferimento della titolarità dei pezzi monetari al creditore. Ricondurre il denaro alla categoria dei diritti reali si è dimostrato complesso tanto che ha spinto gran parte della dottrina ad escludere la moneta dal regime giuridico posto ai sensi dell’articolo 810 c.c. La disponibilità di una certa somma di denaro quindi, andrebbe più che altro a configurare un’unica situazione giuridica, ma non riconducibile alla tradizionale ripartizione dei rapporti giuridici in reali e obbligatori. La qualificazione della criptovaluta non può prescindere dalla qualificazione giuridica della moneta. Quanto appena esposto dimostra ulteriormente l’inidoneità del diritto di proprietà a rappresentare il legame che sussiste tra soggetto e banconota. Il diritto di proprietà infatti è caratterizzato dal potere di godimento e di disponibilità. Alla moneta sicuramente non appartiene il primo dei poteri indicati essendo che l’utilità monetaria si risolve nel compiere nuovi acquisti e quindi nel perdere il possesso monetario. Ancora, in relazione alla situazione possessoria, laddove i beni materiali assorbono una situazione di possesso tale da ampliare la sfera giuridica patrimoniale del titolare mediante l’ingresso del bene, con riguardo alla moneta il possesso delle banconote realizza una situazione dinamica, il cui utilizzo realizza una uscita del relativo valore dalla sfera giuridica del disponente. Logiche diverse e diverse discipline che rendono difficile l’identificazione del denaro con le banconote, poiché non rileva il substrato materiale, tanto da spingere la dottrina a qualificare la moneta, un bene immateriale: anche questa impostazione però ha suscitato forti dubbi. Le entità immateriali infatti, sono dei beni strumentali, attraverso lo sfruttamento economico di quest’ultime si realizza la loro utilità: si pensi alle opere di ingegno. Pur individuando nella moneta una certa strumentalità, non significa necessariamente che i fenomeni possano essere sovrapposti. L’opera di ingegno è di per se idonea a conferire diverse utilità, tra cui il diritto di esclusiva. Pur mancando di rappresentazione concreta e reale, l’idea di ingegno conserva una sua rilevanza giuridica poiché si ogettivizza nel bene di nuova realizzazione ed invenzione, stillato dall’idea stessa. L’ordinamento 93 semplicemente si limita a riconoscere una realtà esistente in natura, idonea a conferire una utilità diretta. Per la moneta non è così. L’utilità conferita alla moneta richiede inevitabilmente l’intervento normativo: il denaro non rappresenta un bene esistente in natura. Quindi manca quella fase di oggettivizzazione che si realizza nei beni immateriali in quanto non sussiste una realtà naturale da riconoscere o qualificare, è l’ordinamento che selezionando gli interessi meritevoli, da vita a quell’utilità che il denaro può realizzare. La moneta è una produzione del diritto: e si risolve quindi in una disciplina applicabile allo scambio di beni e servizi. Tali argomentazioni inducono in definitiva a non poter qualificare la moneta come entità alla quale è applicabile la disciplina dei diritti reali né di credito.

Considerazioni finali

Il mercato dei Bitcoin attualmente rappresenta quello di maggiore valore che ha dato vita ad una vera e propria guerra dei soldi, chi investe in Bitcoin ha tra i suoi principali obbiettivi quello del rendimento costante. Il Bitcoin è una entità virtuale di cui il prezzo è in continuo mutamento. Internet è oggi, una piattaforma attraverso la quale lo scambio di informazioni avviene senza alcun tipo di censura. In un mondo in cui lo scambio di informazioni è libero e infinito non c’è da meravigliarsi se ad un certo punto l’uomo è giunto persino a scambiare il valore. I sostenitori del mercato cripto hanno affermato addirittura di voler realizzare un sistema capace di sostituirsi interamente al sistema economico e di mercato odierno, tuttavia resta ancora, al momento, uno strumento di speculazione. Chi compra Bitcoin spera principalmente di arricchirsi. Tra le principali vicende recenti che hanno avuto a che fare con il fenomeno cripto si può prendere in considerazione quella di Elon Musk, imprenditore patron di Tesla che ha annunciato, all’interno di piattaforme social network, che avrebbe accettato pagamenti in Bitcoin. Questo annuncio ha generato un improvviso aumento del loro valore e poche settimane dopo, lo stesso Elon Musk ha messo in dubbio la sostenibilità ambientale delle monetecripto, causando un crollo del valore di Bitcoin di ben 40 mila dollari. Se ElonMusk avesse cercato di influenzare l’andamento di un titolo nel mercato concorrenziale attuale, al di fuori del sistema critpo, sarebbe stato accusato di reato, poiché avrebbe avuto un comportamento contrario alle norme imposte dalle autorità centrali. In mancanza di istituzioni o entità di controllo, è ovvio che per Elon Musk questo comportamento è stato possibile, poiché si è di fronte ad un meccanismo senza censure. Tornando alla sostenibilità ambientale dei Bitcon alla quale ha fatto riferimento anche Elon Musk, è un qualcosa che dovrebbe realmente essere preso in considerazione, soprattutto perché i così detti miners (minatori) di Bitcoin, per crearli utilizzano schede elettroniche particolarmente costose. I computer sono alimentati da diverse schede che risolvono con la loro potenzialità di calcolo, operazioni molto complesse. I miners cioè i minatori del futuro sono quindi armati di schede grafiche e processori che generano una vera e propria corsa all’oro del nuovo millennio. I miners hanno una strumentazione adatta alla creazione di criptovalute. Si tratta di una attrezzatura rara e costosissima ma che ha spinto alcuni ad utilizzare antiche miniere idroelettriche sfruttandole come miniere digitali mediante energia a basso costo. Vere e proprie macchine da soldi. E’ proprio da qui che si afferma l’insostenibilità ambientale dei Bitcoin. Infatti dietro questi ultimi vi è una vera e propria ideologia: eliminare totalmente gli intermediari finanziari che in questo momento hanno soffocato il sistema monetario e creare una vera e propria moneta del popolo e riprodurre in sostanza la scarsità dell’oro: così come l’oro è prezioso in quanto scarso, anche il valore dei Bitcoin sale quanto più è difficile ottenerli. Siamo di fronte ad una delle innovazioni più grandi da un punto di vista digitale ed ecco cosa sono i miners in realtà: dei veri e propri certificatori di transazioni. Se però dietro l’atto di un bonifico vi è la banca atta a certificare la sicurezza della transazione, i blockhain che sono qualificabili come gli atti di trasferimento, sono controllati dai miners. I miners certificano la sicurezza delle transazioni. L’industria generata da questo meccanismo è diventata gigantesca. E’ ovvio che grande potenza di calcolo implica grande utilizzo di energia a basso costo. Gli esempi che è possibile riportare derivano proprio dal territorio Italiano. a Vincenza è stata istituita all’interno di una antica miniera metallurgica una struttura per la realizzazione di miners: è stata tramutata quindi, in una struttura che ospita al suo interno grandi e potenti macchinari che generano criptovaluta Bitcoin. Il meccanismo è quello di convertire l’energia in potenza di calcolo per produrre valuta virtuale. A Vicenza è nata addirittura una sturt up che produce impianti di calcolo al fine di fornire i macchinari per i miners di bitcoin. Un Bitcoin vale miliardi, oggi. In Trentino per esempio sussiste la Bitcoin Valley, un laboratorio che produce il Bitcoin. In Trentino è possibile incontrare giornalai che accettano pagametni in Bitcoin ed anche i saloni di bellezza. Finchèla domanda di 99 Bitcoin cresce, cresce anche il suo consumo energetico e questo richiederà sempre maggiore sfruttamento del consumo energetico, di vecchie centrali in disuso molte delle quali ancora alimentate con carbonio e fossili, particolarmente inquinanti. Le manifestazioni di coloro che lottano contro la tutela del nostro ecosistema ambientale sono state numerosissime. Buffalo negli USA per esempio è un territorio che presenta all’incirca 49 impianti. L’importanza di analizzare il ruolo e lo sviluppo incessante dei Bitcoin deriva dal fatto che alla base dei fautori di tali sistemi vi è la volontà di annientare gli intermediari finanziari e la macchinosa struttura formata da istituzioni economiche e politiche. L’obbiettivo principale dei sostenitori della moneta virtuale è proprio quello di sostituire il sistema economico globale attuale, che si fonda sulla esistenza di monete legali, e sulla regolamentazione monetaria proveniente dal sistema bancario. Tuttavia la vigilanza delle banche ad oggi è necessaria al fine di garantire la tutela dei contraenti, dei consociati e del mercato concorrenziale. L’obbiettivo principale di questo elaborato ha riguardo la possibilità di individuare un inquadramento giuridico delle così dette criptovalute, poiché in mancanza di una specifica regolamentazione, qualificare tali entità all’interno del nostro ordinamento ed incardinarle negli schemi giuridici di istituti già presenti, consente una possibile regolamentazione, evitando vuoti normativi ma soprattutto vuoti di tutela e di garanzie.

Lasciare scoperti fenomeni così impellenti e di rapida crescita potrebbe infatti rappresentare un pericolo per le strutture democratiche attuali.

Nonostante possano esserci questioni giuridiche ancora aperte, e su cui diversi studiosi cercano di orientarsi, un intervento congruo tra economisti, informatici, giuristi è importante al fine di infrangere in via definitiva le barriere che li divide. L’unione di esperti e di tali discipline potrebbe affrontare la sfida di realizzare una tecnologia adatta al fine di contrastare i vuoti normativi che inevitabilmente agevolano non sono fenomeni criminali, ma instabilità di mercato, elementi che ledono e che potrebbero ledere ancor di più il nostro sistema economico e conseguentemente la vita di ogni individuo.


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Claudia Castellano

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