Body-cam alle forze dell’ordine: il Garante della Privacy esprime parere positivo

Body-cam alle forze dell’ordine: il Garante della Privacy esprime parere positivo

Premessa. L’utilizzo di body-cam da parte delle forze dell’ordine in Italia è ormai realtà. Sono già molti i Comandi di Polizia Locale che utilizzano questi nuovi sistemi di videosorveglianza invasiva e ora il Garante per la protezione dei dati personali ha dato il via libera alla Polizia di Stato. La decisione è seguita a un lungo periodo di sperimentazione: il Dipartimento della pubblica sicurezza ha, infatti, sperimentato l’uso di un sistema di ripresa visiva attraverso l’assegnazione di microtelecamere a personale specificamente individuato dei Reparti mobili della Polizia di Stato di Torino, Milano, Roma e Napoli, per l’eventuale ripresa di quanto avviene in situazioni di criticità, rispetto al quale il Garante ha precisato condizioni e limiti del trattamento. Il Ministero dell’Interno-Dipartimento della pubblica sicurezza, ha inviato alla predetta Autorità la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (cd. DPIA) e un “disciplinare operativo” relativi a un sistema di telecamere indossabili, da parte dei Reparti mobili della Polizia di Stato, per la documentazione audio e video di situazioni critiche per l’ordine e la sicurezza pubblica, in occasione di eventi o manifestazioni pubbliche. Il sistema di body-cam “a regime”, oggetto del parere, si discosta dalla precedente sperimentazione per il ricorso ad una nuova architettura di sistema.

L’articolo 24, comma 1, lettera b), del Decreto legislativo n. 51 del 2018, recante attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al  trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati, stabilisce che il titolare del trattamento deve consultare il Garante prima del trattamento di dati personali che figureranno in un nuovo archivio di prossima creazione, quando “una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati indica che il trattamento presenterebbe un rischio elevato in assenza di misure adottate dal titolare del trattamento per attenuare il rischio, oppure il tipo di trattamento presenta un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati anche in ragione dell’utilizzo di tecnologie, procedure o meccanismi nuovi ovvero di dati genetici o biometrici” (comma 4). La necessità di utilizzare adeguatamente le immagini registrate raffiguranti persone (identificate o identificabili) riprese in contesti pubblici ove sono commessi atti illeciti, ha indotto il Dipartimento della pubblica sicurezza a svolgere una valutazione di impatto sulla protezione dei dati, per individuare quel disciplinare organizzativo più idoneo a mitigare i rischi per i diritti e le libertà degli interessati e a consultare il Garante “pur non ritenendosi necessario”. Tuttavia, nel caso di specie, poste le finalità del trattamento, il Garante ritiene che “i rischi potenziali per gli interessati appaiono elevati o molto elevati, spaziando dalla discriminazione alla sostituzione di identità, al pregiudizio per la reputazione e all’ingiusta privazione di diritti e libertà, per cui, qualora si verificassero in concreto, l’impatto derivante in danno degli interessati sarebbe elevato o molto elevato”. Alla luce di tali valutazioni appare doverosa la consultazione preventiva dell’Autorità di controllo.

Ratio e fonti normative. Il Ministero, nella valutazione d’impatto inviata al garante, rappresenta che il personale del Reparto mobile è addestrato e impiegato per effettuare, “in prima linea”, l’azione di contrasto delle condotte violente e di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica, con l’obiettivo di assicurare ai cittadini il libero esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti in occasione di eventi o manifestazioni pubbliche. Gli operatori del Reparto mobile sono spesso destinatari di condotte violente in occasioni cd. ‘’di piazza’’ e ciò ha indotto il Ministero a individuare proprio nelle body-cam – si legge nella DPIA- “lo strumento indispensabile per raccogliere, in un teatro operativo particolarmente complesso, preziosi elementi probatori in ordine a condotte di natura penale”, o per “l’applicazione delle misure di prevenzione personali, anche riguardanti l’ambito delle manifestazioni sportive (DASPO)”. Vi sarebbe, inoltre, un effetto deterrente del sistema, “specialmente per quanto riguarda le aggressioni rivolte direttamente agli operatori di polizia”. Lo strumento, se da un lato riflette la necessità di offrire maggiori tutele agli operatori di pubblica sicurezza in occasioni di criticità, dall’altro innegabilmente rappresenta un’importante garanzia per i partecipanti alle predette manifestazioni, atteso che tale sistema di video registrazione consente di mettere al bando quei comportamenti lesivi del bene giuridico ‘’ordine pubblico ’’ e tutelare le posizioni di coloro che tengono un atteggiamento corretto.

Diverse sono le fonti normative indicate dal Ministero a fondamento di tale intervento. Rileva innanzitutto l’articolo 55, comma 1, c.p.p., che prescrive alla polizia giudiziaria – tra l’altro – di “…compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova...”; l’articolo 234, comma 1, c.p.p., che consente alla polizia giudiziaria “…l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo…”; l’articolo 10, comma 6-quater, del decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14 (in materia di sicurezza nelle città), secondo cui “Nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l’arresto ai sensi dell’articolo 380 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’articolo 382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto… ».

La DPIA, inoltre, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di dati personali, richiama l’articolo 23, comma 1, del d.P.R. n. 15 del 2018 (regolamento adottato ai sensi dell’articolo 57 del Codice in materia di protezione dei dati personali), secondo cui  “…L’utilizzo di sistemi di ripresa fotografica, video e audio per le finalità di polizia di cui all’articolo 3, è consentito ove necessario per documentare: una specifica attività preventiva o repressiva di fatti di reato, situazioni dalle quali possano derivare minacce per l’ordine e la sicurezza pubblica o un pericolo per la vita e l’incolumità dell’operatore, o specifiche attività poste in essere durante il servizio che siano espressione di poteri autoritativi degli organi, uffici e comandi di polizia”.

Viene, infine, richiamato il decreto del Ministro dell’interno 24 maggio 2017, rubricato “Individuazione dei trattamenti di dati personali effettuati dal Centro elaborazione dati del Dipartimento della pubblica sicurezza o da Forze di polizia sui dati destinati a confluirvi, ovvero da organi di pubblica sicurezza o altri soggetti pubblici nell’esercizio delle attribuzioni conferite da disposizioni di legge o di regolamento, effettuati con strumenti elettronici e i relativi titolari, in attuazione dell’articolo 53, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196” che prevede espressamente l’utilizzo dello strumento di cui si discute.

Modalità di utilizzo delle body-cam. Le telecamere vengono consegnate al personale del Reparto mobile preventivamente designato, come da ordine e foglio di servizio. L’attivazione delle stesse è disposta dall’Ufficiale di Pubblica Sicurezza responsabile del servizio, tuttavia, nei casi in cui lo stesso sia impossibilitato o le esigenze “di campo” non consentano il suo intervento, la registrazione può essere avviata anche d’iniziativa dal Capo contingente o dal Capo squadra o anche dal componente del reparto cui sono assegnate le videocamere, per l’urgente necessità di documentare episodi che configurino turbative dell’ordine pubblico o fatti di reato, a patto che l’Ufficiale venga informato il prima possibile. Il Garante, nel dare parere positivo all’utilizzo di tale strumento, ha individuato nella criticità il requisito principale per l’attivazione delle telecamere, stante la necessità di tutelare l’immagine dei partecipanti all’evento o alla manifestazione e ha dunque stabilito l’immediata interruzione della registrazione quando venga meno l’esigenza di documentare gli eventi. Proprio tale disposizione ha attirato le critiche di una parte degli addetti ai lavori che auspicavano la possibilità di un utilizzo continuato dello strumento de quo, slegato da qualsiasi valutazione sulla criticità e l’urgenza dell’intervento. L’Autorità ha altresì disposto come “occorra specificare nel documento che il sistema non integra dispositivi tecnici specifici diretti a consente l’identificazione univoca o l’autenticazione di una persona fisica (facial recognition)“. Per ciò che invece concerne il periodo di conservazione delle immagini acquisite, la DPIA individua il termine di sei mesi quale punto di equilibrio tra le esigenze di tutela dei dati personali e quelle dell’attività di polizia. Con riferimento a queste ultime, il Ministero dell’interno ha rappresentato che le registrazioni audio e video riproducono immagini relative all’evolversi rapido e concitato di manifestazioni pubbliche, i cui partecipanti talvolta mettono in atto le più disparate condotte, alcune delle quali rilevanti in funzione dell’attività di polizia giudiziaria ovvero di polizia di sicurezza. E’ necessaria, dunque, ai fini di un’utile ricostruzione dei fatti, la lavorazione di tutte le registrazioni disponibili riguardanti gli eventi presi in esame. Inoltre, la notitia criminis non sempre è immediatamente percepibile “sul campo” dagli operatori di polizia. Sovente, infatti, occorre esaminare successivamente le registrazioni per avere l’esatta qualificazione penale dei fatti e delle circostanze documentate. Alla luce di tali valutazioni, Il Dipartimento ritiene congruo il termine di sei mesi indicato nella valutazione inviata all’Autorità. Anche in questo caso Il Garante si è espresso positivamente, ritenendo il termine ragionevole e rispettoso dei principi previsti dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali. Inoltre la previsione della cancellazione automatica dei dati personali alla scadenza dei sei mesi ossequia, secondo l’Autorità, il principio della privacy by default, che impone il trattamento dei dati personali solo nella misura necessaria e sufficiente per le finalità previste e per il periodo strettamente necessario a tali fini.

Valutazioni conclusive dell’Autorità di controllo. Poste tali argomentazioni il Garante esprime parere favorevole in ordine alla valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali inviata dal Ministero dell’Interno ponendo però alcune condizioni. Innanzitutto specificare che il sistema non integra dispositivi tecnici diretti a consentire l’identificazione univoca o l’autenticazione di una persona fisica (facial recognition); specificare le caratteristiche tecniche delle body-cam, con riferimento alle chiavi di cifratura che consentono la visualizzazione del materiale da esse contenuto e gli accorgimenti attraverso i quali è assicurata la tracciabilità delle operazioni di cancellazione delle immagini; specificare che quando la registrazione può essere interrotta dal componente della squadra oggettivamente impossibilitato a contattare il Capo contingente o il Capo squadra o l’Ufficiale di pubblica sicurezza responsabile del servizio, il superiore gerarchico debba essere comunque informato. L’Autorità di controllo raccomanda infine all’Amministrazione di conseguire l’esigenza di condivisione del materiale registrato tra i soggetti autorizzati al trattamento, ma senza ricorrere alle copie di tali documenti, posto che diversamente opinando l’operazione stessa di creare copie (identiche) di uno stesso dato, non solo  rischia di vanificare l’efficacia delle misure di sicurezza individuate e poste a presidio della riservatezza dei dati personali , ma genera nuovi rischi legati all’integrità e, dunque, all’autenticità del dato che andrà nel tempo garantita.


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