Bonifica dei siti contaminati: responsabile e proprietario a confronto

Bonifica dei siti contaminati: responsabile e proprietario a confronto

La disciplina ideata dal legislatore in materia ambientale si presenta al lettore come una normativa confusa, disordinata, poco intuitiva.

Tale effetto, ancorché non agognato dallo stesso operatore del diritto, appare, in subiecta materia, quasi inevitabile in ragione di una faticosa visione unitaria della normativa nazionale, oltre che della incalzante richiesta di adattamento della medesima normativa alle cogenti ingerenze comunitarie.

Lo sforzo interpretativo che si chiede, pertanto, non è affatto minimale, ma impone una conoscenza profonda ed accurata della materia, e presuppone una certa elasticità di ragionamento di talché risulti più agevole comprenderne la ratio senza inciampare in antinomie o in disposizioni prive di un’immediata intuizione.

A tale riguardo, già lo stesso concetto di ambiente (da amb – ciò che sta intorno – ed entis – participio del verbo ire, andare) è stato in passato al centro di un dibattito dottrinale: se in un primo momento, infatti, veniva percepito in una prospettiva frammentaria e riconnesso, quindi, alle singole componenti ambientali – aria, acqua, suolo, fauna, flora – solo successivamente, grazie ad un revirement giurisprudenziale, si è accolta una nozione di ambiente come “bene unitario”.

Il mancato riferimento espresso a livello costituzionale, poi, non ha sicuramente agevolato la ricostruzione della tematica ambientale, dovendosi procedere attraverso un’interpretazione evolutiva degli artt.9.2 e 32 Cost; solo a seguito della riforma del titolo V del 2001 l’ambiente ha fatto pieno ingresso nella Carta Costituzionale all’art.117 e, in particolare, al secondo e al terzo comma, ove si afferma, rispettivamente, la potestà legislativa esclusiva statale con riferimento alla “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e la competenza concorrente tra Stato e regioni in materia di “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.

Ciò posto, il legislatore si è occupato in maniera significativa della tematica ambientale e, precisamente, delle tecniche di tutela dell’ambiente dinanzi al verificarsi di un danno, con la Legge n.349 del 1986 disponendo all’art.18 che “qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comunque comprometta l’ambiente ad esso arrecando danno alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato”.

Dalla lettura di tale dettato normativo è di tutta evidenza come l’interprete, accolta una nozione di ambiente in senso unitario, individui ai fini del riconoscimento dell’autore del danno ambientale, un criterio di imputazione della responsabilità di tipo soggettivo, imperniato sugli elementi del dolo e della colpa, in ossequio al principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga”.

Tale impostazione, tuttavia, si è trovata dopo poco meno di un ventennio a scontrarsi con l’assetto comunitario che, per mezzo della Direttiva 2004/35/CE “Sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno all’ambiente”, configurava un doppio binario di responsabilità: oggettiva, per i soggetti esercenti attività ritenute pericolose, di per sé idonee a generare un “rischio per la salute umana o per l’ambiente”, e soggettiva, per i soggetti esercenti attività considerate non intrinsecamente pericolose.

Pertanto, reagendo a tali richieste i conditores legum riorganizzavano la materia ambientale e la dotavano di una nuova organicità elaborando il Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152 del 2006); tale operazione, tuttavia, nonostante rispondesse a criteri di connessione e sistematicità della disciplina, non ottemperava nella sostanza a quanto predisposto dalla Direttiva 2004/35/CE e manteneva, così, il criterio generale di imputazione soggettiva della responsabilità di cui all’art.18 della Legge n.349 del 1986.

Orbene, a fronte del mancato recepimento da parte del legislatore italiano del disposto comunitario, veniva avviata la procedura di infrazione n.2007/4679 con cui si criticava proprio la mancata applicazione di un regime di responsabilità oggettiva per attività pericolose; in ossequio a quanto contestato a livello europeo, l’operatore di diritto interveniva più volte sull’art.311.2 del Codice dell’Ambiente, prima con il D.l. 135 del 2009, poi con la Legge n.97 del 2013, sino all’enucleazione odierna in cui si legge che “Quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell’allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all’adozione delle misure di riparazione di cui all’allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all’art.314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa. Solo quando l’azione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti.

Da tale novella normativa emerge con chiarezza come il legislatore abbia voluto introdurre in materia di danno ambientale un criterio di responsabilità che non sia più esclusivamente soggettivo, ma che postuli una distinzione fondata sulla natura giuridica dell’operatore: mentre per l’operatore professionale, infatti, la responsabilità non presuppone gli elementi soggettivi del dolo e della colpa, nelle altre ipotesi, di contro, il soggetto agente risponderà solamente a titolo di dolo o colpa.

Inquadrato in maniera così sommaria l’excursus che ha contraddistinto l’ubi consistam della responsabilità per danno ambientale, ai fini che qui interessa, occorre soffermarsi su un altro profilo ambientale analizzato a fondo dal legislatore, una disciplina che si interseca inevitabilmente con quella poc’anzi richiamata: la bonifica dei siti contaminati.

Originariamente il legislatore si era occupato della materia di bonifica attraverso il D.Lgs. n.22 del 1997 in cui, diversamente dal criterio di imputazione soggettiva della responsabilità previsto dal già menzionato art. 18 della Legge n.349 del 1986 – che prevedeva non solo l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, ma anche un danno effettivo riconnesso ai concetti di “alterazione, distruzione, deterioramento” – si statuiva all’art.17 che la bonifica dei siti contaminati poteva imputarsi anche in assenza di danno, e dunque per la mera sussistenza di un “pericolo di danno”, accogliendo, pertanto, un criterio di imputazione della responsabilità di tipo oggettivo.

Ne conseguiva, in sostanza, che l’ente deputato ad occuparsi della procedura di bonifica, una volta accertato il superamento delle soglie di tollerabilità della contaminazione, poteva imporre al responsabile l’esecuzione delle misure di prevenzione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino con spese a suo carico, oppure, in caso di mancato avvio delle suddette procedure, disponeva lo stesso ente le misure necessarie, rivalendosi poi in un secondo momento sul soggetto responsabile per il recupero dei costi sostenuti.

Tale prospettazione, tuttavia, ha subito una profonda modifica con l’emanazione del Codice Ambiente che riprende totalmente il procedimento di bonifica disciplinandolo dettagliatamente nella Parte IV, Titolo V, agli artt. 239 ss.

Posto che per “bonifica” si intende l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), l’art.240 del D.Lgs. 152/2006 fornisce altre fondamentali definizioni ai fini di tale trattazione, quali le concentrazioni soglia di contaminazione o di rischio (lett.b e c), sito potenzialmente contaminato, contaminato e non contaminato (lett.d, e, f), misure di prevenzione e di riparazione (lett.i, l), messa in sicurezza d’emergenza, operativa e permanente (lett.m, n, o), ripristino e ripristino ambientale (lett.q).

Tale quadro puramente descrittivo, tuttavia, deve necessariamente trovare un punto di contatto con i soggetti che, in una qualsivoglia misura, rivestono un ruolo significativo nella vicenda ambientale – e dunque il responsabile, il soggetto interessato e il proprietario del sito – e pone nuovamente l’interprete in condizione di dover chiarire l’ubi consistam della responsabilità che può essere imputata in capo ai suindicati soggetti.

A tale riguardo, affiora inevitabilmente una riflessione: se in termini di risarcimento del danno ambientale si è data la stura ad un criterio di responsabilità colpevole, – salvo espressa diversa previsione – in un’ottica di interpretazione sistematica della disciplina del danno ambientale e della disciplina di bonifica dei siti contaminati, ancorché non disciplinate all’interno della stessa parte del Codice dell’Ambiente, si ritiene di dover far applicazione del medesimo criterio di imputazione della responsabilità, anche in tema di bonifica.

Per quanto concerne la figura del responsabile dell’inquinamento, l’art.242 del Codice Ambiente individua la procedura operativa che grava sullo stesso: ebbene, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione; una volta attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia id contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione; qualora, invece, l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alla provincia competente con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate e nei successivi trenta giorni presenta il piano di caratterizzazione.

Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) e qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza di servizio, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento; qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica e messa in sicurezza, operativa o permanente e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.

I criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza, operativa o permanente, nonché per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. – Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle normative comunitarie sono riportati nell’Allegato 3 alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006.

Con riferimento, invece, ai soggetti interessati e al proprietario del sito, l’art.245, rubricato “Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione”, distingue le due posizioni: mentre i soggetti interessati non responsabili possono attivare su loro iniziativa le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal Titolo V del D.Lgs. 152/2006, il proprietario o il gestore dell’area  (fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’art.242), che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art.242; è comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità.

Ne deriva, in sostanza, che se da un lato la norma impone la comunicazione dell’evento inquinante agli enti competenti per l’avvio delle procedure di cui all’art.242 e delle misure preventive, per le successive procedure di bonifica viene riconosciuta in capo al soggetto incolpevole una mera “facoltà” di intervento e non un obbligo.

A conferma di tale ricostruzione si pone l’art.253 ai sensi del quale la ripetizione delle spese può essere esercitata, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo dell’inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.

In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 Agosto 1990, n.241, le spese degli interventi adottato dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi; nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito.

Alla luce della struttura normativa testé delineata è indubbio come l’art.245 escluda un criterio di imputazione della responsabilità di tipo oggettivo in capo al proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento che risponderà, pertanto, solamente per la relazione che lo lega al bene in oggetto; pur non essendo lo stesso proprietario incolpevole, infatti, immune da un coinvolgimento nella procedura dei siti contaminati – essendogli richiesto di attuare le misure preventive ex art.242 – la  norma precisa come l’avvio diretto dell’attività di bonifica rimanga una mera facoltà e non un obbligo.

Sul punto preme rilevare come in tempi recenti anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza 7 Novembre 2016, n.4647 abbia rimarcato tale impostazione.

In particolare i giudici di Palazzo Spada chiariscono che la direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi (Conferma della sentenza del T.a.r. Marche, Ancona, sez. I, n. 857/2009).

Richiamando tale principio, poi, anche il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR Lombardia – Milano, Sez. IV, Sentenza 20 Gennaio 2017, n.144) ha escluso che il proprietario incolpevole possa essere ritenuto oggettivamente responsabile dei comportamenti criminali di terzi, specie se tempestivamente denunciati alle Forze dell’Ordine (nel caso in esame veniva dichiarata illegittima un’ordinanza sindacale con la quale era stato ingiunto al legale rappresentante di una società di rimuovere, smaltire e/o recuperare, a proprie spese, i rifiuti abbandonati su un terreno di proprietà della suindicata società, nonché di provvedere alla bonifica del sito, con ripristino dello stato dei luoghi, ancorché la stessa società avesse previamente sporto denuncia ai Carabinieri per l’abbandono abusivo di rifiuti sul terreno di sua proprietà da parte di soggetti terzi non individuabili ed avesse anche dimostrato di aver delimitato adeguatamente l’area con rete, filo spinato e sbarra in ferro collegata per l’apertura ad un lucchetto).

In definitiva, appare incontestabile l’oramai consolidato orientamento del Consiglio di Stato (ex multis, Cons. Stato, Sezione VI, Sentenza n. 550 del 2016; Cons. Stato, Sezione VI, Sentenza n. 4225 del 2015) che esclude il coinvolgimento coatto del proprietario di un’area inquinata, non responsabile dell’inquinamento, nelle attività di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza. Al più tale soggetto, in qualità di proprietario dell’area, potrà essere chiamato, nel caso, a rispondere sul piano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto dell’art. 253 del Codice dell’ambiente.


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