Breve analisi del giudizio abbreviato. Il difficile rapporto con la pena dell’ergastolo
Il rito abbreviato costituisce un’ipotesi alternativa all’instaurazione della fase dibattimentale, dal momento che perviene al giudizio allo stato degli atti, sulla base del materiale raccolto in prevalenza dalla pubblica accusa nel corso delle indagini preliminari. Da qui deriva il carattere deflattivo del rito abbreviato, che rinuncia alla fase dibattimentale e prevede una riduzione della pena, equivalente alla metà nel caso di contravvenzione e a un terzo nel caso di delitto. In questo modo con il rito abbreviato si ottiene una riduzione di pena, a discapito delle ordinarie tempistiche processuali. Il rito abbreviato è disciplinato dall’art. 438 c.p.p.. La riforma Cartabia ha introdotto delle novità circa l’applicazione dei riti alternativi, e nello specifico, del rito abbreviato, dal momento che ne ha ampliato la portata, con la possibilità di ammettere un’integrazione probatoria, qualora sia necessaria ai fini della decisione, nel rispetto del principio di economia processuale, come alternativa all’instaurazione della fase dibattimentale.
La legge prevede due tipologie di rito abbreviato: 1) ordinario o secco, cioè l’imputato può chiedere di essere giudicato solamente sulla base della documentazione contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, rinunciando di fatto ad un giudizio frutto di un quadro probatorio tipico della fase dibattimentale, in cui ha diritto ad essere difeso e adduce prove a proprio favore; 2) condizionato, nel senso che l’imputato pospone la richiesta di rito abbreviato ad una integrazione probatoria ( quindi, ad esempio, può chiedere che venga fatto testimoniare un soggetto terzo a suo favore in quanto ritenuto importante per la sua difesa). Per entrambe le tipologie di richiesta, il giudice procede ad un’analisi per ritenere ammissibile l’istanza avanzata: nel caso di rito abbreviato ordinario, il giudice effettua un controllo meramente formale, per cui verifica se sono state rispettate le tempistiche per presentare la richiesta, con possibilità di rigetto, conseguente a dichiarazione di inammissibilità, in caso di mancata osservanza dei requisiti formali; nel caso di richiesta di rito abbreviato condizionato, invece, il controllo, oltre ad essere formale, intende anche verificare l’effettiva necessità dell’integrazione probatoria a cui l’istanza stessa è soggetta. Qualora l’integrazione probatoria sia ritenuta non pertinente rispetto al giudizio, l’istanza è rigettata, con la possibilità di reitera.
La richiesta di rito abbreviato è un atto personalissimo, in quanto può essere avanzata direttamente dall’imputato, ovvero dal suo difensore, purché dotato di procura speciale. Essa può essere presentata fino a che non siano formulate le conclusioni all’esito dell’udienza preliminare, per i reati per cui essa è prevista, ovvero fino al momento in cui il difensore espone le proprie conclusioni definitive o dopo la formulazione delle conclusioni del pubblico ministero. Inoltre sulla richiesta il giudice decide con ordinanza, con cui dispone il rito abbreviato e qualora l’imputato lo richieda a seguito del deposito dei risultati delle indagini difensive, con la concessione al pubblico ministero di un termine di 60 giorni per le indagini suppletive, l’ordinanza con cui si dispone il rito abbreviato non può essere emessa prima di tale termine.
Il punto su cui si pone l’attenzione è la circostanza di avanzare una richiesta di rito abbreviato nell’ipotesi di reato punito con la pena dell’ergastolo, dal momento che risulta problematico parlare di una riduzione di pena, che è conseguenza dell’instaurazione del rito alternativo in esame, in presenza di ergastolo, che non ha fine. Il problema è stato sollevato varie volte, con interventi legislativi che hanno cercato di equilibrare il difficile rapporto tra rito abbreviato e pena dell’ergastolo. Tale rapporto pone in luce ulteriori punti di riflessione, soprattutto legati alla natura da attribuire all’art. 438 c.p.p. e alla essenza che contraddistingue la pena dell’ergastolo. La norma poc’anzi citata è contenuta nel codice di procedura penale e ne consegue la disciplina alla luce della procedura, dei requisiti e delle condizioni per ricorrere al rito abbreviato. Tuttavia il riferimento alla pena dell’ergastolo e in particolare la preclusione allo stesso nelle ipotesi in cui si giudica un reato punito con l’ergastolo solleva riflessioni circa la natura di tale norma, che ha in sé un sostrato sostanziale. Ebbene, l’art. 438 c.p.p. pone in relazione la non applicabilità del rito abbreviato con la natura di reati che assumono il massimo grado di pericolosità e gravità ( come l’omicidio o il sequestro di persona), e che sono considerati altamente riprovevoli da un punto di vista sociale. Nella versione originaria dell’art. 442 c.p.p. era previsto che, in caso di richiesta di rito abbreviato per reato punito con l’ergastolo, la pena da cui partire per operare la riduzione fosse di 30 anni, ponendo di fatto nel nulla la portata applicativa della pena perpetua ed evitando così di ricorrere a calcoli artefatti per ridurla. L’iniziativa del legislatore è stata oggetto di analisi della Corte Costituzionale, che con la sentenza 176/1991 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell’art. 442 c.p.p., nella parte in cui prevedeva la possibilità di ricorrere al rito abbreviato per reati puniti con l’ergastolo. Infatti la Corte Costituzionale ha ritenuto arbitraria la scelta del legislatore di consentire il rito abbreviato per reati di questo tipo, dal momento che la legge delega consentiva la riduzione di pena solo in quelle ipotesi in cui la stessa fosse temporanea ovvero pecuniaria, escludendo, dunque a priori, la possibilità di riduzioni di pena in caso di ergastolo. Si evince, pertanto, una forzatura da parte del legislatore del tempo, che non ha tenuto conto dei criteri riportati dalla legge delega e ha posto in essere un artificio per consentire il ricorso al rito abbreviato in caso di ergastolo, con la sua “conversione” a pena di 30 anni.
Successivamente, nel 1999, con la legge Carotti, viene ripristinata l’operatività del rito abbreviato. Le vicende del rito alternativo non si esauriscono agli inizi degli anni 2000, ma continuano con una ulteriore riforma avanzata dalla legge 33/2019, composta di 5 articoli, ognuno dei quali apporta una specifica novità in tema di applicazione di rito abbreviato. Il più significativo intervento è quello riportato dall’art. 1, lett. a) di tale legge, che ha introdotto il comma 1bis all’art. 438 c.p.p., che espressamente prevede che “non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo”. Alla lett. b) l’art. 1 prevede poi la possibilità di reiterare la richiesta di rito abbreviato, rigettata all’esito dell’udienza preliminare, nell’ipotesi in cui vi sia una riqualificazione del fatto. Sul punto si è nuovamente espressa la Corte Costituzionale davanti alla quale sono state sollevate varie questione di legittimità costituzionale, relativamente al comma 1bis dell’art. 438 c.p.p.; il giudice delle leggi ha deciso per la dichiarazione di legittimità costituzionale del summenzionato comma, perché non in contrasto con taluni principi costituzionali, tra cui il principio di uguaglianza, così come disciplinato dall’art. 3 della Costituzione e il principio del diritto di difesa, previsto dall’art. 24 della Costituzione.
In relazione all’art. 3 della Costituzione, i giudici che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale affermano che la preclusione al rito abbreviato per reati puniti con l’ergastolo comporta una disparità di trattamento rispetto ad altri reati, determinando così una violazione del principio di uguaglianza. La Corte Costituzionale è giunta a ritenere che la contestazione sollevata dal giudice remittente sia infondata e che dunque il principio di uguaglianza non sia compromesso; infatti il giudice delle leggi sostiene che l’oggetto contestato non sia pertinente rispetto alla questione relativa alla preclusione del rito abbreviato in caso di ergastolo: secondo la Corte Costituzionale, il giudice remittente, piuttosto che la preclusione al rito abbreviato, avrebbe dovuto contestare, proprio perché ha inteso tutelare e rispettare il principio di uguaglianza, la ragionevolezza della scelta di comminare la pena dell’ergastolo. Una ulteriore questione di legittimità costituzionale riguarda l’art. 24 della Costituzione. Secondo i giudici remittenti la preclusione alla scelta del rito abbreviato comporterebbe una violazione del diritto di difesa, nel senso che è negato l’accesso ai riti che hanno carattere premiale. Sul punto la Corte Costituzionale ha sostenuto, partendo dal riconoscere al legislatore la possibilità di limitare l’accesso ai riti alternativi, per talune tipologie di reato, la circostanza che l’imputato, a cui è attribuita la commissione di un fatto punito con l’ergastolo, sia giudicato a porte aperte, nel rispetto del principio di pubblicità delle udienze. Dunque il giudizio aperto al pubblico altro non è per l’imputato sinonimo di garanzia e di tutela. In sintesi la Corte ha ritenuto infondate le varie questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438 c.p.p. comma 1bis c.p.p., soprattutto in ragione della necessità di ricorrere alle vie ordinarie per reati puniti con l’ergastolo, del momento che ci sono specifiche ragioni di politica criminale che devono essere bilanciate con un accertamento compiuto e completo della responsabilità, tipico del rito dibattimentale.
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Emanuela Fico
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