Buoni Postali Fruttiferi. La posizione delle Sezioni Unite e possibili profili di criticità sulla variazione dei tassi e la comunicazione all’interessato
Sommario: 1. Disamina della normativa – 2. Disamina della giurisprudenza – 3. La Sentenza 11 febbraio 2019 n. 3963 emessa dalle SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione – 4. Conclusioni
1) Disamina della normativa
I Buoni Postali fruttiferi sono titoli di investimento finanziario sottoscrivibili e rimborsabili presso ciascun ufficio postale.
Essi hanno la peculiarità di assicurare la restituzione dell’intero capitale investito, in qualsiasi momento, maggiorato degli interessi determinati dalla tabella recata a tergo degli stessi.
Ciò emerge dal disposto dell’art. 1 del D.L. 30 settembre 1974, n. 460, conv. in L. 25 novembre 1974, n. 588, che modifica l’art. 173 del Testo Unico in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156.
Al 3° comma di tale disposizione si prevede che “gli interessi vengono corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni”, statuendo altresì che “tale tabella, per i titoli i cui tassi siano stati modificati dopo la loro emissione, è integrata con quella che è a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali”.
Pertanto, gli interessi dei quali il Risparmiatore viene edotto al momento della sottoscrizione del BFP, sono suscettibili di modifiche, in melius o in pejus.
Tale facoltà deriva dal 1° comma della suddetta disposizione, in virtù del quale “le variazioni del saggio d’interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per le poste e le telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie”.
Il legislatore interviene nuovamente ad emendare la disciplina dei tassi d’interesse con il D.M. n. 145 del 23 giugno 1997, prevedendo che per “Per i buoni delle serie ordinarie contraddistinte con le lettere “Q”, “R”, e “S” emessi fino al 31 dicembre 1996 a favore di qualsiasi soggetto, gli interessi continueranno, per i primi vent’anni di vita del titolo, ad essere capitalizzati annualmente al netto della ritenuta fiscale”.
Il Testo Unico in materia postale è stato infine abrogato dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, il quale prevede tra le disposizioni finali che “I rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti continuano ad essere regolati dalle norme anteriori. Detti decreti possono disciplinare le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti già in essere, al fine di consentire una disciplina dei rapporti più favorevole ai risparmiatori”.
Il legislatore muta atteggiamento vietando che alcun Decreto attuativo al D.Lgs. n. 284/1999, possa rideterminare in pejus le condizioni contrattuali tra Risparmiatore ed Intermediario.
Nel 2001 interviene il D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, “Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta”, il quale all’art. 1 ricomprende nell’espressione “risparmio postale” la raccolta fondi attraverso libretti di risparmio postale e “buoni postali fruttiferi” effettuati da Poste per conto della Cassa depositi e prestiti.
All’art. 2, comma 1, inoltre, è statuito che a “Poste si applicano in quanto compatibili, le disposizioni attuative previste per le banche, salva l’adozione di disposizioni specifiche da parte delle autorità competenti”.
2) Disamina Giurisprudenziale
A seguito dei suddetti provvedimenti normativi che hanno mortificato le aspettative dei Risparmiatori, si sono susseguite numerose azioni legali volte ad accertarne eventuali profili di illegittimità, in quanto determinanti una variazione in pejus dei tassi d’interesse, rispetto a quelli riportati a tergo dei Buoni.
Non appare superfluo affermare che la circostanza non sia irrilevante, in quanto i tassi rappresentano la principale ragione che determina i risparmiatori ad acquistare o meno tali titoli.
Innanzitutto, occorre principiare da due pronunce della Cassazione fondamentali in subiecta materia:
1) Cass. Civ., Sez. I, 16 dicembre 2005, n. 27809
La Suprema Corte asserisce che i Buoni sono “strumenti di raccolta del risparmio diffuso” e non titoli di credito, differendo da quest’ultimi per l’assenza dell’elemento della letteralità.
Essi sono meri titoli di legittimazione, stante la prevalenza, sul loro tenore letterale, delle successive determinazioni ministeriali in tema di interessi.
Sulla scorta di tale assunto, la Cassazione ha ritenuto pienamente legittima l’eterointegrazione del contratto intercorrente tra il Risparmiatore e le Poste Italiane S.p.A., comportante delle modificazioni anche peggiorative dei predetti tassi per mezzo dell’emanazione di Decreti Ministeriali;
2) Cass. Civ., SS.UU., 15 giugno 2007, n. 13979
Le Sezioni Unite stabiliscono che “nella disciplina dei buoni fruttiferi postali, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal D.M. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione”.
La Suprema Corte ha dato prevalenza alle condizioni pattuite in sede di sottoscrizione, fondando la propria decisione sulla natura privatistica del rapporto intercorrente tra il Risparmiatore e Poste Italiane S.p.A., poiché tale attività è caratterizzata per essere organizzata e gestita in forma d’impresa.
Essi affermano anche che i Buoni “per struttura e funzione, sostanzialmente non si discostano dagli analoghi servizi resi sul mercato delle imprese bancarie (cfr. Corte Cost. n. 463 del 1997)”, stabilendo che la condotta di Poste Italiane S.p.A. deve sempre rispettare i principi contrattuali previsti dagli artt. 1173 c.c. e ss. oltre alla normativa prevista dal T.U.B.
Nel caso di specie, vi era stata una modifica unilaterale delle condizioni sottoscritte in una forza di una normativa di legge, senza che il risparmiatore venisse avvisato.
L’art. 173 del D.P.R 29/03/1973 presume infatti, tramite una operazione ex lege, il rimborso integrale del buono e la modifica degli interessi in forza di una differente tabella a disposizione di Poste Italiane.
Tale condotta sembrerebbe in palese violazione con il principio cardine della disciplina legale delle obbligazioni sancito dall’art. 1375 c.c.: “esecuzione di buona fede”, in virtù del quale le parti, nel dare esecuzione al contratto, devono comportarsi secondo lealtà e correttezza.
La disposizione codicistica non è altro che un corollario del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., il quale tratta dei doveri di solidarietà sociale.
La violazione della predetta norma determina un inadempimento contrattuale dal quale scaturisce l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato (ex plurimis Cass. Civ., Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23273).
Un dovere al quale le Poste Italiane S.p.A. devono attenersi, stante la natura privatistica del rapporto che intrattiene con i Risparmiatori.
In quanto applicabili anche le disposizioni del T.U.B., assume rilevanza l’art. 118, 2° comma, ove prevede che “qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’, con preavviso minimo di 2 mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito e per il Risparmio). La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”.
L’adempimento imposto all’istituto di credito permette di rendere edotto il risparmiatore in ordine alle modifiche che subirà il suo rapporto contrattuale, dovendo consentire all’utente stesso di esercitare il diritto di recesso, laddove ritenga la modifica non accettabile.
Al fine di incentivare il rispetto di tale normativa il legislatore ha previsto al successivo 3° comma della già citata disposizione che “le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente” ripristinando l’accordo sottoscritto tra le parti.
Nel caso di specie Poste Italiane S.p.A. procedeva, senza avvisare i sottoscrittori, ad una fittizia operazione bancaria consistente nell’emissione di un B.F.P. a condizioni diverse da quello sottoscritto ab origine.
Un operazione illegittima, poiché l’emissione di un Buono a condizioni contrattuali sconvenienti per il risparmiatore, avveniva senza che il risparmiatore fosse stato edotto di ciò, non prestando alcun consenso al mutamento dei tassi d’interesse.
La mancanza di una qualsiasi forma di assenso costituisce motivo di nullità del contratto ex art. 1418 c.c. per mancanza di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 1325 c.c.
A seguito dell’intervento della Cassazione, anche i Giudici di merito hanno iniziato a riconoscere la legittimità delle rimostranze dei risparmiatori.
Molto scalpore ha destato la soluzione adottata dal Tribunale di Catania, Sez. IV, ord. n. 6430/2016, nella quale si afferma che “non è possibile ritenere che la mera apposizione di un timbro che modifichi la serie dei Buoni e che si sovrapponga alla tabella di calcolo degli interessi possa superare il contenuto proprio del titolo per come emesso”.
Tale orientamento è stato seguito anche dal Tribunale di Cassino, il quale, a più riprese, ha premiato i risparmiatori:
Trib. Cassino, 9 settembre 2016, n. 974 nella quale il Giudice, riportandosi alla relazione effettuata dal C.T.U., ha chiarito che “dalla lettura del D.Lgs. n. 284/1999, le modalità di applicazione ai rapporti già in essere consentono una disciplina più favorevole ai risparmiatori e non condizioni peggiorative”;
Trib. Cassino, 20 aprile 2018, n. 517, con la quale si è affermato che “la mancata informazione [della modifica delle convenzioni di interesse] ha senz’altro leso il ricorrente e va pertanto censurata a titolo di risarcimento del danno”, in quanto è stata preclusa al risparmiatore la possibilità di distrarre le somme investite nei Buoni, qualora avesse avuto contezza della modifica in corso d’opera dei tassi di interesse.
Proprio la seconda delle due pronunce appena citate, invoca il parametro costituzionale dal quale promanerebbe una siffatta decisione. E’ innegabile che una siffatta condotta degli intermediari finanziari violi l’art. 47, comma 1 della Costituzione, poiché una disposizione di legge che consenta all’emittente di ridurre in corso di rapporto la remunerazione dell’investimento, non stabilendo che l’investitore sia opportunamente avvertito di tale eventualità e dei rischi conseguenti, non tutela il risparmiatore, ponendolo anzi in posizione deteriore.
Occorre, pertanto, una ricostruzione costituzionalmente orientata dell’art. 173, co. 1, alla luce del fatto che la via dell’informazione mirata risulta l’unica capace di tutelare il Risparmiatore.
Da ultimo, non possono tacersi due pronunce della Cassazione, tra le quali vi è un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite:
Cass., Sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4761, in cui si statuisce che “i buoni postali fruttiferi non hanno natura di titoli di credito ma vanno considerati titoli di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 c.c.”, ribadisce che “il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli è destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti”.
Cass., Sez. I, 31 agosto 2018, ord. rim. n. 21543, nella quale la Corte afferma come il 1° comma dell’art. 173 cod. post., sia chiaro “nell’escludere ogni eventualità di allineamento automatico dei tassi delle diverse serie”, attribuendo però al Ministro competente un vero “potere discrezionale di modifica unilaterale delle condizioni economiche dell’investimento di cui al buono, precisandone le modalità di esercizio”.
Nell’ordinanza la Corte afferma che la Sentenza delle Sezioni Unite n. 13979 del 2007, ben può essere estesa al caso in esame, nel quale, a maggior ragione, dovrà essere tutelato colui che abbia acquistato – sin dall’origine – un buono postale corredato da una tabella per la liquidazione dei tassi perfettamente corrispondente a quella prevista dalla normativa che lo ha istituito, nella mancanza di informativa contrattuale circa la possibilità di successiva variazione dei tassi anche in senso peggiorativo”.
L’investimento in Buoni Postali va a collocarsi inevitabilmente nell’alveo del sistema generale dei contratti, nel quale la legge, qualora riconosca la possibilità – eccezionale – di modificare unilateralmente patti e obblighi convenzionalmente assunti, nel contempo, deve prevedere delle tutele ad hoc per l’altro contraente, in primis, assicurando una specifica informativa in sede di formazione del rapporto (cfr. art. 118, comma 1, TUB).
Non mancano, tuttavia, delle sentenze di segno contrario. Si segnala, infatti, la sentenza del Tribunale di Bologna 19 maggio 2017, n. 881, che si schiera a favore delle Poste Italiane S.p.A., in quanto eventuali modifiche dei tassi d’interesse, benché non menzionate sui Buoni, non ledono l’affidamento dei sottoscrittori se rese conoscibili in quanto pubblicate sulla G.U (così come il T.U. in materia postale aveva previsto).
L’art. 173 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, prevedere infatti che le variazioni dei tassi recate dai Decreti Ministeriali, siano pubblicate in Gazzetta Ufficiale, lasciando intendere – più di qualche dubbio permane, come si dirà in seguito – che in tal modo si sia assolto correttamente lo scopo informativo che animerebbe detta disposizione.
Manca una disposizione di legge che prevede una comunicazione individualizzata della modifica sul rendimento dei Buoni Postali, poiché le tabelle presenti sui documenti devono reputarsi integrate con quelle, riportando a suffragio di tale posizione anche delle pronunce dell’ABF (Coll. Milano 1465/12 e 206/14).
3) La Sentenza 11 febbraio 2019 n. 3963 emessa dalle SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione
Come prima affermato, nel 2018, la questione della retroattività dei Buoni Fruttiferi Postali era stata oggetto di un’ordinanza di rimessione dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La Suprema Corte si è pronunciata all’inizio del 2019, con una sentenza che, a parere di chi scrive, non ha composto la questione con la necessaria risolutezza.
Ad un’analisi più approfondita, non sfuggirà che il punctum dolens della vicenda, non consiste nella possibilità per il soggetto emittente i titoli in questione di variare gli interessi, facoltà riconosciuta dall’art. 173 cit., ma sull’obbligatorietà dell’informazione all’investitore, allo scopo di consentirgli di allocare il proprio risparmio (oggetto di tutela costituzionale) nella maniera a lui più congeniale.
Occorre, infatti, che detti interventi vengano adeguatamente pubblicizzati, così che il risparmiatore, una volta appreso della variazione, possa valutare l’opportunità di dismettere l’investimento.
La Suprema Corte ha condiviso l’assunto della giurisprudenza più favorevole agli intermediari, per la quale la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Ministeriale istitutivo dei nuovi tassi, basterebbe per renderli noti alla collettività.
In realtà quanto affermato stride con quanto disposto dal DPR 1092/85 (Testo Unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi), non tenendo conto dei principi recati dalla giurisprudenza della Cassazione stessa, nemmeno smentiti dalla motivazione della sentenza de qua, pertanto, ancora validi e condivisibili.
Dall’art. 15 del T.U. citato, infatti, si evince che la presunzione di conoscenza degli atti normativi non ricomprenda i Decreti Ministeriali, assolvendo per tali atti “esigenze di carattere informativo diffuso” (art. 18).
Corollario del diktat normativo è l’art. 113 c.p.c., il quale sottrae al principio iura novit curia gli atti amministrativi, i quali, pertanto, non devono essere necessariamente conosciuti dal Giudice, a meno che non siano allegati dalle parti dinanzi a lui costituite.
Alla luce di quanto detto, la notorietà del Decreto Ministeriale del 1986 non può fondarsi sulla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, perché si arriverebbe al paradosso di gravare il comune cittadino di un onere conoscitivo che non incombe nemmeno sui magistrati (!).
La natura amministrativa del decreto, giustifica l’onere recato dal 3° comma dell’art. 173 cit., di mettere a disposizione le tabelle integrative presso gli uffici postali, al fine di renderli conoscibili.
Tale interpretazione emergerebbe anche dai lavori preparatori della suddetta norma di legge, ulteriore argomentazione ad adiuvandum per sostenere, anche in ossequio alla voluntas legis recata dall’art. 12 delle preleggi, che la conoscenza della nuova prescrizione ministeriale va realizzata con la messa a disposizione delle tabelle integrative.
Una comunicazione che oggi potrebbe avvenire mediante strumenti telematici, ma che prima poteva essere effettuata con la predetta messa a disposizione presso gli Uffici Postali.
In secondo luogo, poiché il suddetto decreto ha natura amministrativa, andrebbe esclusa l’applicabilità dell’art. 1339 c.c., disposizione che permetterebbe la sostituzione automatica dei tassi con quelli presenti a tergo del buono.
La norma, tuttavia, richiede che a sostituire quanto previsto dalle parti possa essere soltanto una fonte primaria, mentre nel caso posto dinanzi alla Suprema Corte, si discute di una fonte secondaria priva di una tale efficacia normativa.
Ad abundantiam, si rileva che le Sezioni Unite nella già citata sentenza del 2007, avevano affermato che le norme che disciplinano i tassi e la durata dell’investimento in Buoni Postali, sono prive dell’imperatività necessaria a legittimare l’eterointegrazione automatica del contratto.
La natura amministrativa dell’atto nel quale è contenuto il precetto esterno da sostituire alle clausole contrattuale, non ostacolerà l’eterointegrazione soltanto ove detto precetto sia rinvenibile in una fonte primaria, la quale ne abbia fissato i criteri ed i limiti del potere di statuirlo.
L’art. 173 cit., pur essendo fonte primaria, non compie alcuna attività in tal senso, non orientando l’esercizio di tale potere, rendendolo imprevedibile nell’an, nel quantum e nel quomodo.
Pertanto, le nuove condizioni di rendimento divengono opponibili al titolare ed operative sul buono postale solo per via mediata, ossia attraverso le tabelle integrative, nel caso di Buoni emessi prima del 1986 ovvero per mezzo del timbro correttivo apposto sopra la tabella, nel caso di Buoni emessi dopo tale data con l’utilizzo di cartacei vecchi (Serie non più in vigore).
Il risparmiatore viene rimborsato in base ai tassi indicati sul cartaceo, se non vi è applicata un timbro correttivo. Allo stesso modo andrebbero applicati i tassi originari, in assenza delle tabelle integrative.
La soluzione adottata dalla Cassazione, invece, appare incoerente in quanto conferisce ai DM istitutivi delle variazioni, ora una natura dispositiva, se entrati in vigore prima del collocamento dei buoni che vanno a modificare, ora una natura imperativa, se entrati in vigore successivamente.
Nel primo caso, pertanto, sarà impraticabile l’eterointegrazione automatica dei tassi, se non in presenza di una timbratura ad hoc; nel secondo caso, invece, la natura più autorevole legittima la sostituzione dei tassi e l’inutilità delle tabelle.
Da tale distinzione, basata esclusivamente sul momento di acquisto del buono, discendono delle controversie inaccettabili, con riferimento alla tutela del risparmio, la quale dovrebbe essere assicurata e non minata dallo Stato.
4) Conclusioni
La normativa recata dal D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 attribuiva ai Decreti Ministeriali di modificare gli interessi dei Buoni già emessi, circostanza puntualmente avvenuta con successivi Decreti Ministeriali.
Ciononostante, non si può tacere quanto il D.Lgs. 30 luglio 1999, n.284 abbia statuito all’atto dell’abrogazione del predetto Decreto del Presidente della Repubblica: per i rapporti ancora in essere, non si può procedere ad una rideterminazione in pejus delle condizioni contrattuali tra le parti.
L’intermediario avrebbe dovuto comunicare la variazione dei tassi di interesse ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. (v. Trib. Roma, 22 febbraio 2013, n. 4019; Trib. Cassino, 9 settembre 2016, n. 974 e 20 aprile 2018, n. 517; GDP Savona, 30 settembre 2015, n. 559).
Tuttavia, la necessarietà di uno specifico onere informativo, ulteriore rispetto alla mera pubblicazione del Decreto Ministeriale in Gazzetta Ufficiale, non trova conforto nella pronuncia della Cassazione da poco pubblicata.
Una decisione che non sembra aver posto una pietra tombale sul punto, ma che lascia spazio a nuove incertezze, in attesa che si reputi opportuno un nuovo intervento.
Cass. Civ., SS.UU., 15 giugno 2007, n. 13979;
Cass. Civ., Sez. I, 16 dicembre 2005, n. 27809;
Cass. Civ., Sez. I, 27 ottobre 2006 n. 23273;
Corte Cost. n. 463 del 1997;
Collegio di Milano ABF n. 1465 del 2012;
Collegio di Milano ABF n. 206 del 2014;
Giudice di Pace di Savona, 30 settembre 2015, n. 559;
Tribunale di Cassino, 9 settembre 2016, n. 974;
Tribunale di Catania, Sez. IV, ord. n. 6430/2016;
Tribunale di Bologna, Sez. II, 19 maggio 2017, n. 881;
Cass., Sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4761;
Tribunale di Cassino, 20 aprile 2018, n. 517
Cass., Sez. I, 31 agosto 2018, ord. rim. n. 21543;
Cass.; SS.UU., 11 febbraio 2019, n. 3963;
www.altalex.it, Buoni postali: ennesimo scacco alla tutela del risparmio, Avv. Marta Buffoni del 4 marzo 2019
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Augusto Valente
Avv. Augusto Valente
Nel 2020 ha conseguito l'abilitazione forense presso la Corte d'Appello di Roma, è iscritto presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Cassino (FR).
Ha conseguito, in entrambi i casi presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, la laurea in Servizi Giuridici per lo Sport, discutendo la tesi in Diritto del Lavoro Sportivo con il Prof. Luca Miranda, e la laurea magistrale in Giurisprudenza discutendo la tesi in Diritto Processuale Amministrativo con la Prof.ssa Margherita Interlandi.Ha collaborato, negli anni accademici 2018 e 2019 con le cattedre di Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo del Prof. avv. Raffaele Montefusco, presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.
Ha svolto la pratica forense presso lo Studio Legale Santopietro in Pontecorvo (FR), occupandosi prevalentemente di Diritto Civile e Diritto Amministrativo. Dal 2019 fa parte dello studio CLAvis - Consultants Lawyers & Accountants di Roma, occupandosi di Diritto Civile, Amministrativo e Sportivo. È autore di diverse pubblicazioni sulla rivista scientifica online Salvis Juribus.
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