Cappato e Welby assolti. Il diritto al suicidio assistito
Marco Cappato e Mina Welby sono stati assolti per avere aiutato a morire Davide Trentini, malato di sclerosi, il giorno 13 aprile 2017, in una clinica di Basilea, in Svizzera.
Pronuncia fondamentale perché apre ancora di più gli spazi di libertà per il fine vita: le condizioni per l’assoluzione dal reato di istigazione e aiuto al suicidio, di cui all’articolo 580 c.p., si sono allargate, ma ancora una volta, in assenza di una legge.
Ad oggi si auspica un legge per garantire a tutti il diritto al suicidio assistito, a determiniate condizioni.
Sommario: 1. Il reato di istigazione e aiuto al suicidio nel Codice Penale – 2. Il caso Dj Fabo – 3. Il caso Trentini
1. Il reato di istigazione e aiuto al suicidio nel Codice Penale
Il dispositivo dell’art. 580 c.p. recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima”.
La norma tutela il bene della vita anche contro la volontà del titolare, in una visione dunque collettiva della vita stessa, punendo la volontaria determinazione in altri di un proposito suicida prima inesistente ed il rafforzamento di un proposito suicida preesistente o, infine, nella volontaria agevolazione dell’esecuzione del suicidio altrui.
La condotta punibile si concreta, pertanto: in atti diretti a formare l’altrui proponimento, facendo sorgere in altri un proposito suicida precedentemente assente (determinazione); nell’attività diretta a rafforzare un proposito suicida già presente (istigazione); negli atti di ausilio prestato al suicida, ad esempio fornendo il mezzo per attuare il suicidio, creando situazioni favorevoli, dando istruzioni idonee all’esecuzione (aiuto).
Non dovrà, peraltro, esserci alcuna cooperazione diretta nell’esecuzione, altrimenti la condotta ricadrebbe nell’alveo del reato di omicidio del consenziente ex art. 579 c.p.
In Italia, dal 31 gennaio del 2018, è in vigore la cosiddetta legge sul testamento biologico, rubricata “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Secondo la legge nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata, che può dunque rifiutarsi anche preventivamente, anche se questo dovesse comportare la conseguenza della morte.
Di contro, ancora oggi in Italia l’eutanasia attiva, quando è il medico a somministrare il farmaco necessario a morire, ed il suicidio assistito, quando il farmaco viene assunto in modo autonomo dalla persona, così come l’aiuto al suicidio, sono vietati.
Come vedremo, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 242/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
2. Il caso Dj Fabo
Nel 2017 si è svolto il procedimento nei confronti di Marco Cappato per il suicidio assistito di Antoniani Fabiano, conosciuto come Dj Fabo, presso la Corte di Assise di Milano.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in data 2 maggio 2017, presentava nei confronti dell’indagato richiesta di archiviazione, nella quale si proponeva un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., tale per cui la condotta doveva ritenersi penalmente irrilevante.
Durante l’udienza in camera di consiglio (fissata dal G.I.P. del Tribunale di Milano per il giorno 6 luglio 2017) i pubblici ministeri chiedevano al Giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. in relazione alla parte in cui incrimina la condotta di partecipazione fisica o materiale al suicidio altrui, senza tuttavia escludere la rilevanza penale della condotta di chi aiuta il malato terminale o irreversibile a porre fine alla propria vita, quando il malato stesso ritenga le sue condizioni di vita fonte di una lesione del suo diritto alla dignità.
La richiesta veniva inizialmente rigettata e Cappato veniva imputato del reato previsto e punito dall’art. 580 c.p. “per aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano (detto Fabo), affetto da tetraplegia e cecità a seguito di incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso la sede dell’associazione Dignitas, a Plaffikon in Svizzera, e attivandosi per mettere in contatto i familiari di Antoniani con la Dignitas fornendo loro materiale informativo; inoltre, per aver agevolato il suicidio dell’Antoniani, trasportandolo in auto presso la Dignitas in data 25 febbraio 2017, dove il suicidio si verificava il 27 febbraio 2017».
Successivamente (udienza del 14 febbraio 2018) la Corte di Assise di Milano pronunciava ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale.
Tramite la sentenza n. 242 del 2019 la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».
La pronuncia della Corte, che non era intervenuta direttamente sul diritto al suicidio assistito, ma su chi sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire, costituisce un precedente storico di fondamentale importanza, dal momento che stabilisce che, a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile.
La pratica di assistenza al suicidio, difatti non è equiparabile all’istigazione al suicidio (sebbene siano entrambe ricondotte sotto l’alveo dell’articolo 580 c.p.).
Le condizioni di cui sopra, volendo riassumere, sono le seguenti: se quella persona ha una patologia irreversibile; se la patologia irreversibile le provoca sofferenze fisiche o anche solamente psicologiche per lei intollerabili; se la persona è pienamente capace di decidere liberamente e consapevolmente; se è tenuta in vita da trattamenti medici di sostegno vitale.
3. Il caso Trentini
Nella recentissima sentenza, delle cui motivazioni si attende ancora il deposito, si legge che “il fatto non costituisce reato“, non trattandosi della fattispecie di aiuto al suicidio.
Difatti, sebbene in Italia ancora non trovi una disciplina legale, il fatto compiuto da Mina Welby e Marco Cappato (che il 13 luglio 2017 accompagnarono Davide Trentini, 53 anni, malato di SLA, a morire in una clinica Svizzera) è stato ritenuto non punibile ma degno di assoluzione.
Durante l’udienza, tenutasi il giorno 27 luglio 2020 davanti alla Corte d’Assise di Massa, lo stesso Pubblico Ministero, nel chiedere la condanna dei due imputati, ha chiesto tutte le attenuanti generiche ed i minimi di legge, probabilmente in considerazione dei nobili intenti.
In conclusione della Camera di Consiglio i due imputati sono stati assoluti con formula assolutoria ex art. 530 c.p.p., dall’accusa di istigazione al suicidio perché il fatto non sussiste (il fatto storico ricostruito dalla pubblica accusa non rientra nella fattispecie di reato dal punto di vista degli elementi oggettivi) ed altresì dall’accusa di aiuto al suicidio perché in questo caso il fatto non costituisce reato (il fatto non può essere considerato un illecito penale perché manca l’ elemento soggettivo del dolo, colpa ovvero preterintenzione).
Così come era già successo per il recente caso di Dj Fabo, assistiamo, dunque, ad un’altra sentenza storica. Tuttavia l’uomo, a differenza di Fabiano Antoniani, non era tenuto in vita da macchinari.
Il processo in questione ha, dunque, un valore aggiuntivo rispetto al caso Dj Fabo: la sentenza emessa a settembre 2019 dalla Consulta, ha dichiarato non punibile l’accesso al suicidio assistito in presenza delle quattro condizioni elencate in precedenza. Nel caso Trentini erano presenti tutte le condizioni indicate dalla Corte Costituzionale nel 2019 affinché l’assistenza al suicidio non venisse punita, tranne una. Erano presenti la patologia irreversibile fonte di sofferenze intollerabili e la piena capacità di decidere per sé, ma Trentini non era sottoposto a trattamenti di sostegno vitale classicamente intesi, ossia non era tenuto in vita da terapie che richiedessero macchinari.
La presente sentenza rafforza, dunque, ed allarga le maglie del diritto al suicidio assistito, in quanto Davide Trentini non aveva sostegni vitali, cioè macchine. Probabilmente i giudici hanno interpretato in senso più ampio l’idea di sostegno vitale includendovi anche terapie farmacologiche e pratiche manuali necessarie alla sopravvivenza: non solo macchinari ma anche terapie.
Tuttavia si dovranno comunque attendere le motivazioni per poter entrare nel dettaglio e capire se effettivamente i giudici abbiano formulato questa interpretazione.
Resta ferma, peraltro, l’indicazione della Consulta: “In attesa di un indispensabile intervento del legislatore”. La Corte Costituzionale aveva chiesto al parlamento di intervenire legiferando, cosa che tuttavia non è ancora accaduta. Quella della Corte Costituzionale, così come quella della Corte d’Assise di Massa, difatti restano singole sentenze su un singoli casi, seppur molto importanti. In assenza di una legge sono stati di nuovo i giudici a dover decidere sulle circostanze della morte di Davide Trentini. Per citare la stessa Welby l’obiettivo rimane quello di ottenere la legge in quanto “Serve per garantire un diritto a tutti i cittadini. Non possiamo più accettare che ci sia una discriminazione sulla base della tecnica con cui sei tenuto in vita, e non invece un diritto di libertà che dipende dalla tua volontà e dalla tua sofferenza”.
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Claudia Ruffilli
Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.
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