Captatore informatico: cosa succede se l’indagato si sposta all’estero?
Cass. pen., sez. II, 22 ottobre 2020, n. 29362
La sentenza in esame rigetta il ricorso proposto dal ricorrente avverso il provvedimento del 07/08/2019 con il quale il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, confermava l’ordinanza del 08/09/2019 con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare.
Il ricorrente lamentava, con il primo dei motivi del ricorso, l’assoluta illogicità e illegittimità della motivazione in ordine al rigetto della questione preliminare proposta nel riesame, relativa alla inutilizzabilità del risultato delle captazioni effettuate sul territorio canadese attraverso il captatore informatico. Il ricorrente ribadiva, infatti, l’illegittima acquisizione ed utilizzazione delle conversazioni ambientali captate sul suolo canadese in quanto acquisite senza aver adottato la procedura della rogatoria internazionale.
Come noto, la rogatoria internazionale è uno strumento di collaborazione giudiziaria tra gli Stati, per mezzo del quale uno Stato può chiedere il compimento di attività di istruzione probatoria ad altro Stato. È regolata dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria di Strasburgo, dalle altre norme di diritto internazionale, anche convenzionali e, in via suppletiva, dal codice di procedura penale (artt. 723-729 c.p.p.).
A giudizio della difesa, le conversazioni captate sul suolo canadese non potevano essere utilizzate in modo legittimo perché l’intercettazione, la ricezione e la registrazione delle comunicazioni era stata interamente compiuta sul territorio straniero: aveva avuto origine sul suolo internazionale e le conversazioni erano state registrate dal Trojan (captatore informatico) e scaricate sul server per la memorizzazione solo per il tramite di una rete wi-fi situata sul territorio straniero e, dunque, avrebbero necessitato l’adozione della procedura di rogatoria internazionale.
Sul punto, la Cassazione ha ritenuto privo di ogni fondamento il suddetto motivo e ha formulato il seguente principio di diritto: “l’intercettazione ambientale a mezzo di captatore informatico inoculato in Italia ed eseguita anche all’estero per lo spostamento della persona intercettata, non richiede l’attivazione di una rogatoria, atteso che l’installazione del captatore avviene in territorio nazionale e la captazione nei suoi sviluppi finali e conclusivi si realizza in Italia attraverso le centrali di ricezione che fanno capo alla Procura della Repubblica”.
Invero, la Suprema Corte ha ritenuto non condivisibile la tesi del ricorrente. Il captatore informatico è stato inoculato in Italia sugli apparecchi telefonici dell’indagato collegati ad un gestore italiano, utenze utilizzate sia in territorio italiano sia in territorio estero. I sistemi di captazione, peraltro, comprendono oltre al malware, cioè il Trojan, che viene inoculato sul telefono, anche le piattaforme necessarie per il loro funzionamento, che ne consentono il controllo e la gestione da remoto e che ricevono i dati inviati dal captatore.
Sebbene la memorizzazione sulle piattaforme sia avvenuta per mezzo di una rete wi-fi situata sul territorio straniero, questa attività ha rappresentato solo una fase intermedia di una più ampia attività di captazione iniziata e conclusa sul territorio italiano. Pertanto, l’atto investigativo risulta compiuto sul territorio italiano e le conversazioni captate risultano legittimamente utilizzabili.
La decisione in esame sembra in linea con l’orientamento consolidatosi relativamente all’intercettazione di comunicazioni telematiche protette tramite il servizio c.d. pin to pin gestito tramite server collocati su territori stranieri, i cui dati vengono registrati nel territorio italiano per mezzo degli impianti installati presso la Procura della Repubblica.
La tecnologia pin to pin è un sistema tramite il quale le comunicazioni confluiscono nel server della società straniera, unico in grado di decriptare i messaggi inviati al fine di renderli intellegibili.
Orbene, la Suprema Corte ritiene che anche nell’ipotesi in cui le comunicazioni intercettate siano protette e necessitino della decriptazione ad opera del server collocato su territorio straniero non sia necessario ricorrere alla rogatoria internazionale, dal momento che le comunicazioni intercettate vengono registrate esclusivamente dagli impianti presenti sul territorio nazionale (ex plurimis Cass. Pen. III Sez., 13 maggio 2020, n. 14725; Cass. Pen. IV Sez., 12 dicembre 2017, n. 32146).
La questione sottoposta sembra sovrapponibile all’ipotesi in cui una microspia per la captazione delle conversazioni venga installata, in territorio nazionale, all’interno di un’autovettura e quest’ultima transiti dal territorio nazionale verso un territorio straniero. In tale circostanza, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto non solo legittima l’intercettazione ambientale così effettuata, a condizione che l’ascolto delle conversazioni sia regolarmente autorizzato dall’autorità giudiziaria italiana e che la registrazione delle medesime si svolga e venga verbalizzata in Italia, con l’utilizzo di apparecchiature installate presso la Procura della Repubblica (Cass. Pen. I Sez., 23 marzo 2018, n. 35212); ma ha altresì ritenuto non necessaria l’attivazione della procedura della rogatoria internazionale (Cass. Pen. II Sez., 04 novembre 2016, n. 51034).
Alla luce di quanto sopraesposto, quindi, il solo fatto che le conversazioni captate possano essere in parte eseguite all’estero a causa dello spostamento dell’apparecchio intercettato e del suo utilizzatore non implica il ricorso alla rogatoria internazionale. Lo strumento dell’intercettazione ambientale mediante captatore informatico è, infatti, per sua stessa natura itinerante.
D’altronde, la procedura di cui all’art. 727 e ss. codice di procedura penale riguarda esclusivamente le attività istruttorie che devono compiersi all’estero, per mezzo dell’esercizio della sovranità dello Stato estero. Sovranità che, nel caso in esame, viene legittimamente esercitata dallo Stato italiano, trattandosi di intercettazione di fatto autorizzata e realizzata in Italia secondo la procedura stabilita dal codice di rito.
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Elena Avenia
Nata ad Agrigento nel 1994. Laureata con pieni voti e lode nel luglio del 2018, presso l'Università degli studi di Enna Kore, con una tesi in diritto processuale penale dal titolo "L'ascolto del minore nel processo penale". Diplomata nel luglio 2020 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Catania. Abilitata alla professione forense il 21 settembre 2020.
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