Carcere e Covid 19: sovraffollamento e paura del contagio, tra diritto alla salute ed assistenza sanitaria. Un punto di ripartenza per ripensare la detenzione

Carcere e Covid 19: sovraffollamento e paura del contagio, tra diritto alla salute ed assistenza sanitaria. Un punto di ripartenza per ripensare la detenzione

Sommario: 1. Premessa – 2. Il sovraffollamento dei carceri nella Giurisprudenza di Strasburgo contro l’Italia – 3. Diritto alla salute e assistenza sanitaria – 4. Conclusioni

 

1. Premessa

Il presente lavoro, senza voler creare polemiche politico – ideologiche, ha l’intento principalmente di porre l’accento su alcune questioni relative alla vita in carcere dei detenuti tra cui il diritto alla salute, all’assistenza sanitaria, costituzionalmente orientato, ma molto più resosi necessario ed obbligatorio nell’era Covid che il paese sta attraversando.

A tali diritti e alla loro probabile carenza in ambito carcerario, del resto la sanità è al collasso nel paese – e questo è un dato di fatto – fanno da contrappeso la giusta paura del contagio e il sovraffollamento.

Di tutti questi dati, come dell’emergenza pandemica, se ne può avere immediata contezza leggendo i numeri, anche se ciò ovviamente non giustifica le recenti proteste vilente dei detenuti.

Si legge infatti che “ad oggi, negli istituti italiani sono presenti 61.230 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti e di una capienza effettiva di poco più di 47.000”.[1]

Va dato atto, per inquadrare il problema e sgombrare il campo da ogni dubbio che l’art. 3 della Cedu “ha da sempre svolto una funzione di presidio dei diritti dei detenuti, ed anzi questo costituisce uno dei filoni più articolati della giurisprudenza di Strasburgo”.[2]

2. Il sovraffollamento dei carceri nella Giurisprudenza di Strasburgo contro l’Italia

È proprio la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha pronunciato sentenze contro l’Italia, ritenendo che l’assenza di un seppur ridottissimo spazio personale è considerato, di per sé, un trattamento inumano o degradante”.[3]

Basti pensare, che la questione del sovraffollamento nelle carceri è un problema sempre esistito, tant’è vero che con la Legge n. 117/2014, si modificava l’Ordinamento penitenziario

In particolare, l’art. 1, recando modifiche alla legge sull’O.P., legge 26 luglio 1975, n. 354 introducendo l’art. 35-ter, così rubricato Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’Articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati.

Nella sentenza della Cedu del 2016, la Corte rammenta che l’articolo 3 della Convenzione ri­guarda uno dei valori fondamentali delle società democratiche”.[4]

Correttamente la Cedu, nella citata sentenza “non sottovaluta le gravi ripercussioni che il so­vraffollamento carcerario può avere sui diritti dei detenuti, ivi compreso il diritto di non essere sottoposto a trattamenti inuma­ni o degradanti”.[5]

Il problema del sovraffollamento carcerario viene definito dalla Cedu come “sistematico[6]

3. Diritto alla salute e assistenza sanitaria

Il sovraffollamento carcerario è certamente di portata più ampia se si pensa che conseguentemente, nell’era pandemica, vi è la possibilità per i detenuti e per il personale penitenziario di contagiarsi.

Il rimedio sarebbe prima facie concedere ai detenuti la misura alternativa della detenzione domiciliare, ma sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità, ponendo dei paletti.

In particolare la Corte di Cassazione ha enunciato il principio – salutato dalla dottrina come “inedito[7] – secondo il quale, deve essere prevista “una situazione di concreta ed effettiva, non anche di ipotetica o potenziale, incompatibilità tra le condizioni di salute del recluso e il suo stato di detenzione, se del caso valutate come tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.”[8]

Pertanto, la summenzionata sentenza della Cassazione, ha sostenuto, contrariamente alla giurisprudenza ormai consolidata che “occorre verificare la situazione in concreto esistente nella casa circondariale in cui si trova l’interessato; la presenza di misure di precauzione adottate, nel rispetto delle prescrizioni di legge e di quelle regolamentari, per garantire una distanza di sicurezza tra detenuti “a rischio”, nonché la possibilità che i reclusi che si trovano in condizioni di salute più precarie possano godere del trasferimento presso atri istituti o presso strutture sanitarie più adeguate del circuito penitenziario[9].

Al fine di far fronte all’emergenza pandemica nei luoghi di detenzione, l’OMS ha redatto un document con il quale “vengono individuate azioni di contenimento che passano attraverso una capillare fornitura di presidi preventivi e che in tanto sono efficaci, in quanto possa garantirsi adeguata distanza tra le persone detenute[10], nel quale si legge che “le persone private della propria libertà, come quelle in carcere ed altri luoghi di detenzione, siano più vulnerabili al contagio da Covid-19 rispetto alla popolazione libera, proprio a causa delle condizioni di confinamento in cui vivono insieme ad altri per lunghi periodi di tempo”.[11]

Ne discende che non può disattendersi ancora un sistema sanitario ed un’assistenza sanitaria innovative, del tutto da rivedere e ripensare.

Come fa notare una parte della dottrina, “negli istituti penitenziari si fa ancor più difficile l’accesso di specialisti, così come, per altro similmente al resto della popolazione, soltanto nei casi di assoluta gravità si può far ricorso al ricovero in luogo esterno di cura ex articolo 11 dell’ordinamento penitenziario, con dilazioni di numerosi interventi chirurgici e accertamenti diagnostici già da lungo tempo calendarizzati, dopo liste di attesa significative”.[12]

4. Conclusioni

Il virus, nei luoghi di detenzioni, ha modificato certamente in peius la vita delle persone in essi recluse, nonché del personale amministrativo che ci lavora.

Non ha reso evidente solo una carenza di mezzi e l’inadeguatezza delle strutture sanitarie, ma ha anche penalizzato il diritto di visita dei detenuti.

Non tutti i mali vengono per nuocere, come si suol dire.

Ai detenuti si deve cercare, nell’era Covid 19 di dare innanzitutto solidarietà, nonché augurarsi che venga arginata la paura e stigmatizzare il liberi tutti.

Svuotare le carceri perché le strutture non sono idonee è una sconfitta in partenza per lo Stato.

Ex adverso,  trovare soluzioni alternative ed oculate, nel rispetto della dignità della persona, del diritto all’assistenza sanitaria e alle cure, creare eventualmente ove fosse possibile in caso di contagio da Covid 19 delle sezioni anti covid all’interno degli istituti penitenziari, creare ambienti sani e consoni, sarebbe certamente un punto di ripartenza ed un modo di ripensare la detenzione.

 

 

 

 


[1] Papa M., “Il vecchio carcere al tempo del nuovo colera”, in www.quetionegiustizia.it
[2] Gori P., “Art. 3 Cedu e risarcimento da inumana detenzione” in www.questionegiustizia.it.
[3] Gori P., op.cit.
[4] Norbert Sikorski c. Polonia, No.17599/05, [C] 22 ottobre 2009, § 131.
[5] Norbert Sikorski c. Polonia, No.17599/05, op.cit.
[6] Torreggiani ed altri c. Italia, No. 43517/09, [C] 8 gennaio 2013.
[7] Natalini A., “Per la misura cautelare domestica non basta invocare rischi ipotetici”, Guida al Diritto n. 46, 2020, pag. 71 e ss.
[8] C. Cass. Pen, Sez. VI, Sent. n. 27917/2020
[9] C. Cass. Pen, op.cit.
[10] Natalini A., op.cit.
[11] Organizzazione mondiale della sanità, 15 marzo 2020
[12] Natalini A., op.cit.

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Avv. Emanuele Mascolo

Dal 17 gennaio 2022 Avvocato iscritto presso il COA Trani. Dall'11 dicembre 2020 Mediatore Civile e Commerciale. Nell'A.A. 2018/2019 ho frequentato il master di II Livello in Criminologia Clinica presso Unicusano - Roma. Nell'A.A. 2017/2018 ho frequentato il master di I Livello in Criminologia e sicurezza nel mondo contemporaneo presso Unicusano - Roma. il 19.04.2012 ho conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Foggia. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche nonchè relatore ad eventi e convegni giuridici.

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