Carte di credito revolving: ecco i più ricorrenti profili di illegittimità

Carte di credito revolving: ecco i più ricorrenti profili di illegittimità

Le carte di credito “revolving” sono una tipologia di credito molto diffuso negli ultimi anni con cui il cliente acquista beni e servizi nell’immediato e li rimborsa mediante rate di importo costante solitamente da corrispondersi all’inizio del mese successivo.

L’addebito all’inizio del mese, infatti, non avverrà a saldo, come avviene con le carte di credito tradizionali, bensì mediante il pagamento di rate mensili il cui importo è già stato contrattualmente stabilito.

Volendo spiegare più chiaramente il funzionamento delle carte di credito revolving mediante un esempio pratico, il cliente potrà effettuare una spesa nei limiti del credito concesso per un dato costo (ad es. €500,00), rimborsando lo stesso con rate mensili di importo costante (ad es. di € 50,00). In tal modo, egli godrà di disponibilità economica immediata da restituire però con tempi più lunghi rispetto alle carte di credito tradizionali.

Detta forma di credito presenta tuttavia anche risvolti negativi per il cliente poiché –a fronte dei vantaggi illustrati- le finanziarie richiedono interessi corrispettivi di consistente entità, anche considerato che il tasso soglia oltre il quale scatta il reato di usura è in genere decisamente più elevato per le carte revolving in confronto a ogni altra tipologia di finanziamento.

E’ un prodotto che ha suscitato notevoli polemiche tra alcuni clienti delle finanziarie, i quali talvolta hanno lamentato di non essere stati consapevoli sin dall’inizio del tipo di finanziamento che stavano contraendo e di essersi trovati pertanto coinvolti in una spirale di pagamenti da cui sarebbe risultato difficile uscire.

Lo scopo del presente elaborato, in pratica, è quello di analizzare le casistiche più ricorrenti affrontate dalla giurisprudenza in tema di carte di credito “revolving”, soffermandosi in particolare su quelle in cui siano stati ravvisati rilevanti profili di illegittimità, cosicché i clienti potranno acquisire informazioni preziose per valutare la legittimità dei contratti da loro stipulati.

1) NULLITA’ DEL CONTRATTO DI CARTA DI CREDITO REVOLVING PER MANCANZA DI FORMA SCRITTA EX ART. 117 T.U.B.

Come è noto, i contratti in materia bancaria e finanziaria devono essere redatti per iscritto a pena di nullità poiché tale forma solenne è espressamente prevista ed imposta dall’art. 117 del Testo Unico Bancario (T.U.B.).

Qualora un dato contratto di finanziamento (per es. finalizzato ad acquistare un’autovettura) contenga al suo interno una o più clausole che, di fatto, costituiscano un secondo contratto diverso da quello principale ed avente ad oggetto, quest’ultimo, la concessione di una carta di credito revolving, occorrerà chiedersi se il requisito della forma scritta possa reputarsi osservato anche per la seconda delle contrattazioni sottoscritte.

Per risolvere il presente quesito, è indispensabile analizzare la ratio dell’art. 117 T.U.B. il quale, come è risaputo, intende garantire la piena trasparenza nei rapporti contrattuali tra l’istituto di credito ed il cliente, allo scopo di consentire a quest’ultimo di conoscere e di verificare le condizioni contrattualmente previste.

Invero, sul punto la pressoché unanime giurisprudenza, anche dell’Arbitro Bancario Finanziario, ha ritenuto nulli i contratti di carte di credito revolving che siano stati inclusi in altri e differenti contratti di finanziamento, rilevando al riguardo che la “mera sottoscrizione di una clausola scritta in caratteri minuti e contenuta in un modulo avente a oggetto la richiesta di un prodotto bancario e/o finanziario del tutto diverso da una carta revolving, le cui condizioni sono riportate in documenti separati e nemmeno sottoscritti dal ricorrente, non può in alcun modo soddisfare il requisito della forma scritta imposta dal TUB, che è finalizzato a soddisfare le esigenze informative del cliente” (v. Tribunale Chieti Sez. Ortona n. 230/2017; nonché decisioni ABF Collegio di Coordinamento n. 3257/2012; ABF Collegio di Milano n. 650/2012; ABF Collegio di Roma n. 6183/2013).

La suddetta giurisprudenza ha trovato pieno conforto anche in sede di giustizia amministrativa, dal momento che il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (sentenza n. 14/2012), a conferma di  una precedente decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha reputato scorretta la pratica commerciale avente ad oggetto l’utilizzo di documentazione precontrattuale e contrattuale unitaria per due prodotti finanziari sostanzialmente diversi, se da essi si evincano informazioni precise ed esaustive solo per il primo di tali prodotti.

Nel caso di specie, infatti, l’importo del finanziamento concesso per l’acquisto di un bene veniva addebitato su una carta rilasciata al cliente all’atto dell’acquisto contestualmente all’apertura di una linea di credito revolving.

Ne consegue che in queste casistiche il cliente sarà tenuto a corrispondere all’istituto di credito soltanto il capitale ricevuto -oltre agli interessi al tasso legale- ma non gli interessi nella misura pattuita nel contratto nullo.

Ciò in quanto, qualora il cliente abbia estinto la carta di credito dopo aver già saldato l’intera esposizione con la finanziaria, egli potrà richiedere comunque la restituzione dell’importo illegittimamente versato che sarà pari alla differenza tra quanto corrisposto (capitale + interessi convenuti) e la somma tra il capitale e gli interessi legali, come risulta più compiutamente dalla formula matematica che segue:

(CAPITALE + INTERESSI CONVENUTI) – (CAPITALE + INTERESSI LEGALI)

In tema di prescrizione, infine, il termine per richiedere la ripetizione degli indebiti sarà pari a dieci anni dalla data di estinzione del finanziamento, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto (v. su tutte, sentenza Sezioni Unite Corte di Cassazione n. 24418/2010).

2) NULLITA’ DEL CONTRATTO DI CARTA REVOLVING NON EMESSA DA AGENTE IN ATTIVITA’ FINANZIARIA

Un’ulteriore casistica che ha impegnato a lungo la giurisprudenza, soprattutto dell’Arbitro Bancario Finanziario, si ha quando l’agente commerciale che promuova le vendite di un determinato prodotto (ad es. il concessionario dell’autovettura), promuova altresì la stipula di contratti di finanziamento (quale è il caso del contratto di carta di credito revolving).

Il comunicato della Banca d’Italia n. 313116/2010 ha chiarito che anche in riferimento alle carte di credito revolving è vigente l’obbligo degli intermediari finanziari di avvalersi di agenti in attività finanziaria (vale a dire di figure professionali specificamente disciplinate), ai fini della promozione e della conclusione di contratti di finanziamento.

Esso, infatti, è un obbligo previsto espressamente dal d.lgs. n. 374/1999 nonché dal regolamento attuativo emanato con d.m. 13 dicembre 2001, n. 485.

La conseguenza è che qualora l’operazione sia stata posta in essere direttamente dall’agente commerciale, essa dovrà ritenersi nulla sempre che risulti dimostrato il reale utilizzo della carta di credito revolving (v. decisione ABF Collegio Napoli 9474/2015; ABF Collegio Napoli n. 3265/2015; ABF Collegio di Roma n. 3574/2012).

Anche in tal caso, peraltro, sarà possibile richiedere indietro un importo pari alla differenza tra quanto già corrisposto (ovvero capitale + interessi convenuti) e la somma tra il capitale e gli interessi legali, seppur nel rispetto del termine di prescrizione di dieci anni che decorre dalla data di estinzione della carta revolving.

3) L’ANATOCISMO NELLE CARTE DI CREDITO REVOLVING

Come è noto, l’anatocismo bancario consiste nella prassi in base alla quale gli interessi maturati nel periodo di riferimento, sommati al capitale, determinano la base su cui calcolare gli interessi per il periodo successivo.

A questo proposito, si parla di “capitalizzazione” per indicare nello specifico l’aggiunta degli interessi maturati al capitale, dopo un dato periodo, per la determinazione del montante.

Si tratta di un’operazione in linea generale vietata dall’art. 1283 c.c. che la ammette soltanto qualora gli usi negoziali tra le parti la consentano, o anche nel caso di convenzione tra le parti successiva alla scadenza, oppure, infine, dal giorno della domanda giudiziale e purché si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.

Con riferimento alle carte di credito revolving, si ritiene che l’anatocismo debba reputarsi vietato in ogni tempo, rilevato che le deroghe al divieto ex art. 1283 c.c. non riguardano la diversa fattispecie delle carte di credito revolving e che inoltre il loro carattere di norme speciali preclude un’interpretazione analogica delle stesse.

Come più volte sottolineato dalla giurisprudenza intervenuta sul tema, infatti, “la deliberazione del CICR del 9 febbraio 2000 (attuativa dell’art. 120, comma 2 TUB nel testo allora vigente) autorizza la capitalizzazione esclusivamente con riguardo ai conti correnti bancari, peraltro a condizione che sia assicurata la medesima periodicità nel conteggio degli interessi attivi e passivi, di guisa che il giudicante non può in proposito che confermare anche qui l’indirizzo per cui, con riferimento a operazioni similari a quella oggetto di questa decisione (che sono estranei al ridetto ambito applicativo) non sono da ritenere operanti eccezioni alla portata della più generale prescrizione di cui all’art. 1283 c.c., con conseguente impossibilità di riportare a capitale la quota di remunerazione già maturata finché non sopravvenga domanda giudiziale o convenzione tra le parti posteriore alla scadenza” (v. decisioni ABF nn. 2059/2016; 1716/2011; 597/2011; 1043/2011; 1668/2011; 1172/2011; 1883/2011, nonché la decisione del Collegio di coordinamento n. 7854/15).

Pertanto, posto che il finanziamento concesso tramite carta revolving è senz’altro estraneo al suddetto ambito applicativo (ovvero quello dei conti correnti bancari), si ritiene applicabile il divieto all’anatocismo imposto dalla norma imperativa di cui all’art. 1283 del codice civile, conseguendone per l’effetto l’impossibilità di riportare a capitale la quota di remunerazione già maturata, quantomeno fino a quando non sopravvenga una domanda giudiziale o una convenzione tra le parti posteriore alla scadenza.

4) L’USURA NELLE CARTE DI CREDITO REVOLVING

Vale la pena analizzare, inoltre, un ulteriore profilo di illegittimità tipico dei contratti di finanziamento, vale a dire quello attinente il fenomeno dell’usura.

L’usura, infatti, è il reato che commette chi, sfruttando il bisogno di denaro di un altro individuo, concede un prestito chiedendone la restituzione a un tasso d’interesse superiore al cosiddetto “tasso soglia” consentito dalla legge (art. 644 c.p.), per cui in sostanza oltre tale tasso gli interessi sono sempre usurari.

Il tasso soglia viene aggiornato ogni tre mesi mediante decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze e risulta differente a seconda della tipologia di finanziamento concesso.

In particolare, per quanto concerne i finanziamenti attraverso carte di credito revolving, il tasso soglia raggiunge le sue vette più elevate (alla data del presente articolo esso era pari al 24,1488%) alla luce del fatto che mediante tale tipologia di finanziamento il cliente gode di una dilatazione dei tempi di rimborso molto più ampia delle forme di credito tradizionali.

Quest’ultimo aspetto ha talvolta ingannato i clienti delle carte revolving i quali hanno spesso ritenuto a torto di aver subito l’applicazione di interessi di oltre il tasso di soglia dell’usura, benché detti tassi, magari applicati in misura molto elevata, risultavano comunque nei limiti delle soglie massime consentite.

Va detto, però, che vi sono state anche delle casistiche in cui effettivamente era stato rilevato uno sconfinamento del tasso soglia di usura, per cui è pur sempre opportuno analizzare altresì questo profilo di illegittimità.

L’usura originaria e l’usura sopravvenuta

L’analisi delle conseguenze del fenomeno usurario, da un punto di vista strettamente civilistico, richiede di distinguere l’ipotesi di usura c.d. originaria da quella c.d. sopravvenuta.

1) L’usura originaria si verifica quando alla data di stipula del contratto il tasso effettivo convenuto -al netto di tutte le spese connesse all’operazione eccettuate quelle di natura fiscale e notarile (anche se quest’ultime non riguardano in concreto le carte revolving)- risulti superiore al tasso di soglia di usura applicabile in quel contesto temporale.

In tal caso, in forza del comma 2° dell’art. 1815 c.c., non sono dovuti interessi al creditore, dovendo il debitore restituire soltanto il capitale.

In pratica, se ad esempio il contratto è stato stipulato in data odierna (09.02.2018) e il tasso effettivo comprensivo delle suddette spese accessorie al finanziamento risulti superiore al tasso soglia di usura del momento (ovvero 24,188%), il cliente dovrà restituire all’istituto di credito soltanto il capitale e non gli interessi.

2) E’ ben diverso, invece, il caso dell’usura sopravvenuta che a differenza dell’usura originaria non è prevista espressamente da nessuna norma giuridica.

Si noti, infatti, che i tassi soglia di usura cambiano nel tempo (esattamente ogni tre mesi) e può accadere che i tassi nominali contrattualmente previsti siano in parte agganciati ad indici di riferimento anch’essi soggetti a variazione temporale (è il caso ad es. dell’indice “Euribor sei mesi” frequente soprattutto nei contratti di mutuo).

Indipendentemente dalla volontà in tal senso dell’istituto di credito, infatti, potrebbe accadere che nel corso del rapporto creditizio alcuni addebiti oltrepassino il tasso soglia massimo consentito in quel dato arco temporale.

Ciò può verificarsi in conseguenza di fenomeni di natura economica i quali abbiano comportato un innalzamento (o un abbassamento) dei tassi soglia di usura ovvero dei tassi di interessi corrispettivi o di quelli moratori in un dato momento storico.

Invero, il problema giuridico sta nel fatto che l’art. 1815 c.c., 2° comma, fa esclusivo riferimento all’ipotesi dell’usura originaria ma non si esprime affatto in merito all’usura sopravvenuta che, quindi, non ha nessuna copertura normativa.

La soluzione che aveva elaborato la giurisprudenza prevalente, anche dell’Arbitro Bancario Finanziario in tema di carte revolving (v. decisioni ABF Collegio Napoli n. 3090/2017; ABF Collegio Napoli n. 1796/2013), consisteva -da una parte- nell’escludere l’applicabilità dell’art. 1815 c.c. limitando esso ai soli casi di usura originaria -dall’altra- nel riconoscere il diritto del cliente ad ottenere la restituzione, o la decurtazione, dei soli importi pagati di natura usuraria.

Pur tuttavia, il quadro giurisprudenziale sopra illustrato è stato messo a dura prova da una recente ed autorevole sentenza della Corte di Cassazione in composizione a Sezioni Unite (n. 24675/2017), la quale ha negato espressamente l’esistenza dell’usura sopravvenuta non essendo essa prevista dalla legge.

In futuro, è ben probabile quindi che anche le autorità giudiziarie di rango inferiore alla Corte di Cassazione, aderiscano a tale orientamento che seppur non vincolante risulta alquanto autorevole.

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LE POSSIBILI STRADE PER FAR VALERE L’ILLEGITTIMITA’ DELLE CARTE REVOLVING

Innanzitutto, il cliente dovrà inviare all’intermediario un formale reclamo, indicando succintamente le ragioni in fatto e in diritto delle proprie doglianze e poi attendere la sua risposta.

In seguito al mancato riscontro da parte dell’intermediario nel termine di 30 giorni dal ricevimento dello stesso, ovvero successivamente all’eventuale riscontro negativo, il cliente avrà a disposizione due strade alternative tra loro se vorrà vedere tutelati i propri diritti:

1) o presentare un ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario che presenta il vantaggio di avere tempi contenuti e costi irrisori, anche se le sue decisioni non sono vincolanti ed esso non consente di citare testimoni o richiedere consulenze tecniche d’ufficio. Possibilità, questa, che pare consigliabile alla luce della natura strettamente documentale della controversia, ogniqualvolta si intenda far valere i citati profili di nullità del contratto per mancanza della forma scritta ovvero perché le carte revolving erano state emesse fuori sede da agenti commerciali;

2) in alternativa, il cliente potrà instaurare un ordinario giudizio civile che è soggetto all’esperimento preventivo della mediazione obbligatoria e che presenterà tempi più lunghi e costi più elevati ma le sue pronunce saranno pienamente vincolanti e la sua fase istruttoria risulterà più approfondita rispetto alla procedura dinanzi all’Arbitro Bancario Finanziario.

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Il termine prescrizionale e lo smarrimento della documentazione

Un ultimo profilo che si intende trattare attiene al termine di prescrizione per richiedere indietro le somme indebitamente versate.

Esso è pari a dieci anni a decorrere dalla data di estinzione della carta di credito revolving.

Per far valere la nullità del contratto, al contrario, non vi sono termini prescrizionali in quanto essa è imprescrittibile.

In caso di smarrimento dei documenti necessari ad agire in via contenziosa, sarà comunque possibile ottenerne una copia, richiedendoli direttamente alla finanziaria.

Essa, infatti, è obbligata a conservare e consegnare al cliente ogni documento relativo al rapporto di credito risalente agli ultimi dieci anni dalla data della richiesta.


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