Cartelle di pagamento, opposizione anche senza doppia notifica: Cass. n. 2480/2020
Con la recentissima Ordinanza n. 2480 del 4 febbraio 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che il contribuente che si oppone alla cartella di pagamento, dopo che il fisco è decaduto dall’accertamento, non è tenuto a notificare il ricorso anche all’Agente della Riscossione.
Prima di giungere a questa conclusione la Corte di Cassazione ha chiarito che il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario.
In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, se non vuole rispondere dell’esito della lite, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ex art. 39 del decreto legislativo n. 112 del 1999, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un litisconsorzio necessario.
Alla luce di questo principio, considerato che nel caso di specie l’opposizione iniziale era stata dal contribuente proposta nei confronti dell’Agenzia delle entrate (Ufficio di Acireale) e questa scelta non era priva di una radice di natura sostanziale dal momento che l’opposizione in questione era stata proposta per intervenuta decadenza dal potere impositivo ai sensi dell’art. 25 decreto del presidente della Repubblica n. 602 del 1973[1], la Corte ha affermato che ha errato la CTR nel disconoscere all’Agenzia delle Entrate la legittimazione passiva, così disconoscendo la sentenza di primo grado, che era ad essa opponibile, in quanto aveva travolto la pretesa creditoria.
Fatto
La Commissione Tributaria regionale della Sicilia (di seguito, per brevità, CTR), con la sentenza in epigrafe, decidendo sull’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso del contribuente S.F., riformava totalmente la sentenza di primo grado, rigettando il ricorso del contribuente sulla seguente motivazione, che integralmente si riporta:
“La Commissione rileva che, il ricorso di primo grado nonostante il contrario assunto dell’agenzia dell’entrate, non è stato notificato la Serit Sicilia, secondo l’esame degli atti del fascicolo. Premesso che il ricorso è regolare quanto al difensore, la cui firma per autentica è sufficiente per l’obbligatoria difesa tecnica, si osserva che l’unico motivo di censura riguarda la tardività della notifica della cartella. Poichè tra il Concessionario per la riscossione e l’Ente impositore non v’è litisconsorzio necessario, secondo le disposizioni sull’impugnabilità della cartella per vizi propri, ne discende che S. ha omesso di chiamare in causa il soggetto legittimato, in via principale, laddove l’Agenzia delle entrate aveva ed ha interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c.. Essendo quindi ampiamente trascorso il termine per impugnare nei confronti del concessionario, il ricorso è infondato. E’ opportuno osservare che, per quanto detto, è inammissibile la citazione in appello dell’Agenzia delle entrate nei confronti del Concessionario, che non è stato parte in primo grado. Quest’ultima circostanza la ribadisce, ed emerge anche dall’intestazione della sentenza appellata che ignora il Concessionario. Le spese possono essere compensate. P.Q.M. Il Collegio, in totale riforma della sentenza n. 577 dell’8 luglio 2008, della commissione tributaria provinciale di Catania, rigetta il ricorso di S.F..”.
S.F. ricorre, con cinque motivi di ricorso, avverso tale sentenza.
L’Amministrazione finanziaria, resiste con controricorso.
S.F. in prossimità dell’udienza camerale ha depositato memoria ex art. 380 – bis l c.p.c..
Diritto
Con il primo motivo di ricorso – rubricato: “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – vizio di extra petizione dell’impugnata sentenza” – il ricorrente deduce che nonostante l’Amministrazione erariale avesse eccepito la propria carenza di legittimazione passiva al ricorso con conseguente richiesta di estromissione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 10, i giudici di secondo grado hanno ritenuto l’infondatezza del ricorso in quanto non proposto nei confronti del concessionario. Con il secondo, rubricato: “violazione dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio”- deduce l’errore dei secondi giudici “che hanno deciso la controversia sollevando d’ufficio la questione dell’infondatezza del ricorso introduttivo perchè non notificato al Concessionario della riscossione, senza che però sia stato assegnato all’odierno ricorrente alcun termine per presentare memorie sulla questione compromettendone gravemente il diritto di difesa (in tal senso, da ultimo, si veda Corte di Cassazione n. 11928 del 13 luglio 2012).[2]”.
Con il terzo motivo – rubricato: “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – deduce che non sussiste alcun obbligo in capo al ricorrente di notificare il ricorso avverso la cartella di pagamento oltre che all’Agenzia dell’entrate anche al concessionario della riscossione. Richiama in proposito, varie pronunce della Corte di Cassazione, tra cui la sentenza n. 14934 del 2011 nonchè il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U. n. 16412 del 2007.
Con il quarto motivo – rubricato: “violazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 324, 325 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Intervenuto giudicato interno su un punto decisivo della controversia”- deduce che nonostante i giudici di primo grado avevano accolto il ricorso per tardività della notifica della cartella di pagamento e intervenuta decadenza dei sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, l’Agenzia delle entrate con il proprio atto di appello ha omesso di contestare tale statuizione di tardività, limitandosi a sostenere la propria estraneità alla controversia per difetto di legittimazione passiva, il che ha determinato il formarsi del giudicato interno sul vizio di nullità della cartella di pagamento per intervenuta decadenza. Il ricorrente richiama le sentenze della Corte di Cassazione n. 6754 del 2003 e n. 15657 del 2001.
Con il quinto motivo – rubricato: “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” – omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia – deduce l’omissione di qualsiasi pronuncia sulla nullità della cartella di pagamento che costituiva oggetto principale d’esclusivo della sentenza di prime cure.
I primi due motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte, sono infondati.
La Commissione regionale, anche se con motivazione che non brilla per chiarezza, ha inteso, in realtà, affermare la carenza di litisconsorzio necessario tra l’Agenzia delle entrate ed il concessionario alla riscossione trattandosi di vizi formali della cartella (tardività della notificazione della cartella), in relazione ai quali l’Amministrazione erariale non era legittimata a proporre appello, ritenendo che, invece, tali vizi fossero ascrivibili esclusivamente all’operato dell’agente della riscossione. In tali termini, dunque, ha ritenuto che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’Agenzia fosse fondata.
A fronte di tale decisione, risulta inconferente, dunque, il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente assume il vizio di ultra petizione, vizio che non sussiste, avendo la Commissione di secondo grado, deciso la controversia rispettando il principio tra chiesto e pronunciato.
Egualmente risulta infondato il secondo motivo di gravame, atteso che, nessun termine doveva essere concesso a mente dell’art. 101 c.p.c., avendo rettamente escluso nella specie la sussistenza del litisconsorzio necessario (v. motivazione della sentenza: poichè tra il Concessionario per la riscossione e l’Ente impositore non v’è litisconsorzio necessario, secondo le disposizioni sull’impugnabilità della cartella per vizi propri..). D’altro canto, la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che anche nel caso di litisconsorzio necessario processuale, la necessità di integrare il contraddittorio sussiste sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 c.p.c.), il che – per i motivi più avanti esposti – non è nella specie (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 26433 del 08/11/2017, Rv. 646163-01).
Il terzo motivo di gravame è fondato e va accolto per quanto qui di seguito esposto.
E’ oramai consolidato l’orientamento, inaugurato dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 16412 del 25/07/2007, Rv. 598269-01, richiamata anche dal ricorrente, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un litisconsorzio necessario (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 9762 del 07/05/2014, Rv. 630633-01; Sez. 5, Sentenza n. 8370 del 24/04/2015, Rv. 635173-01; Sez. 5, Ordinanza n. 10528 del 28/04/2017, Rv. 644101-01; Sez. 5, Sentenza n. 8295 del 04/05/2018, non massimata).
Il concessionario, dunque, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, è parte quando oggetto della controversia è l’impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili, nel caso cioè – di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora. In tale ipotesi l’atto va impugnato chiamando in causa esclusivamente il concessionario, al quale è direttamente ascrivibile il vizio dell’atto, non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con l’ente impositore (cfr. sez. 5, n. 5832 del 2011 richiamata anche da Sez. 5, Sentenza n. 22729 del 09/11/2016, Rv. 641884-01).
E’ stato soggiunto che la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio, sicchè la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario; nell’ipotesi in cui il concessionario fosse stato fatto destinatario dell’impugnazione, sarebbe stato onere di quest’ultimo chiamare in giudizio l’ente titolare del credito, laddove non volesse rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (ex plurimis, da Sez. 5, Sentenza n. 22939 del 30/10/2007, Rv. 601121-01; Sez. 5, Sentenza n. 14032 del 27/06/2011, Rv. 617650-01) a Sez. 5 -, Ordinanza n. 10019 del 24/04/2018, Rv. 647963-01).
Alla luce di tali principi, considerato che, nel caso di specie, l’opposizione iniziale era stata dal contribuente proposta nei confronti dell’Agenzia delle entrate (Ufficio di Acireale) e questa scelta, non era priva di una radice di natura sostanziale, dal momento che l’opposizione in questione era stata proposta per intervenuta decadenza dal potere impositivo ai sensi del D.P.R. nn. 602 del 1973, art. 25 (trattandosi di somme dovute a seguito di liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per l’anno 1997, la notifica sarebbe dovuta avvenire nei termini previsti dalla norma in parola), ha errato il giudice di secondo grado nel disconoscere all’Agenzia delle entrate la legittimazione passiva, così disconoscendo la sentenza di primo grado, che era ad essa opponibile, in quanto aveva travolto la pretesa creditoria.
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del terzo, atteso che la riconosciuta sussistenza della legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, assorbe assorbe le ulteriori questioni (se sussista o meno la dedotta tardività della notifica della cartella e la nullità della cartella di pagamento) che dovranno essere oggetto di esame di parte del giudice di rinvio.
Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione; quest’ultima, ormai acclarata la legittimazione ad impugnare dell’Agenzia delle entrate, valuterà nel merito l’appello proposto, erroneamente dichiarato inammissibile. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo, assorbiti il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione la motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020
[1]“1. Il concessionario notifica la cartella di pagamento, al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede , a pena di decadenza, entro il 31 dicembre: a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; (64) b) del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36-ter del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973; c) del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio. 2. La cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. 2-bis. La cartella di pagamento contiene anche l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo. 3. Ai fini della scadenza del termine di pagamento il sabato èconsiderato giorno festivo”.
[2]“La disposizione in esame innanzi tutto non impone al contribuente, come emerge con chiarezza dall’uso del verbo “consentire”, alcun onere di impugnare cumulativamente l’atto successivo e l’atto presupposto del quale sia stata omessa la notificazione e nemmeno suggerisce un simile percorso di contestazione: una siffatta interpretazione sarebbe in patente contraddizione con la ratio del nuovo processo tributario, che è ispirato alla tutela dei diritti del contribuente (e in particolare dell’inalienabile diritto di difesa), nel quadro di una assimilazione ai caratteri del processo civile, nonché con i principi “forti” che, alla luce L. n. 212 del 2000, caratterizzano l’attuale sistema tributario nella direzione di un “riequilibrio” delle posizioni delle parti in contraddittorio. Imporre al contribuente l’impugnazione cumulativa dell’atto successivo e dell’atto presupposto del quale sia stata omessa la notificazione, significherebbe privilegiare immotivatamente l’Amministrazione finanziaria, recuperandone in via processuale l’azione impositiva esercitata in violazione della specifica scansione procedimentale dettata dalle regole di diritto sostanziale: sarebbe un modo per togliere sostanza e vigore a quelle regole e per rendere, in ultima analisi, assolutamente “libero” l’agire dell’Amministrazione”.
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Giovanni Pasquariello
Giovanni Pasquariello
Dottore di Ricerca (PhD) in: Fiscalità, Contratti e Imprese tra Diritto Tributario e Diritto Civile - Cultore della materia in: Economia Aziendale e Metodologia Quantitative D'Azienda - Dottore Commercialista - Revisore Legale
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