Caso Cospito: il regime differenziato è davvero la risposta?
Con la recente presa di posizione del Tribunale di Sorveglianza di Milano, di concerto con quello di Sassari, in merito alla richiesta di differimento della pena per l’anarchico Alfredo Cospito in sciopero della fame da ormai 160 giorni, ritorna in auge la questione – in realtà sempre aperta – dell’adeguatezza del regime differenziato previsto all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario alla luce della nostra Carta costituzionale.
«Nessun differimento, sotto alcuna forma, può essere disposto». La volontaria prosecuzione dello sciopero della fame, secondo i giudici, fa venir meno le ragioni di umanità, atteso che trattasi di strumentale protesta contro il regime del 41 bis O.P. che Cospito porta avanti dall’ottobre 2022.
Il precario stato psicofisico dell’anarchico resta, ad ogni modo, dato inconfutabile proveniente dagli svariati pareri clinici emessi al riguardo. Innegabili, pertanto, i rischi di natura cardio-circolatoria e le gravi conseguenze neurologiche a seguito del protratto digiuno.
I giudici sottolineano in particolare che «egli appare determinato nel rifiuto delle terapie proposte, esprimendo così il suo spazio di autodeterminazione, al fine di provocare gli effetti di cambiamento a livello giudiziario, politico e legislativo dallo stesso auspicati».
Ma un altro dato è altrettanto certo: le sue condizioni di salute sono senz’altro incompatibili, sotto il profilo oggettivo, con la misura intra moenia, a prescindere dal regime di carcerazione previsto.
Ma facciamo un passo indietro. Quali accuse gravano su Alfredo Cospito?
Innanzitutto l’aver piazzato, nel 2006, due ordigni presso la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano che solo accidentalmente non causarono né vittime né feriti. Poi la rivendicazione da parte della FAI (Federazione Anarchica Informale) dell’attentato all’AD di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, gambizzato nel 2012. L’indubbio clamore mediatico che ruota attorno a tale vicenda processuale, del resto, deriva proprio dall’essere Cospito, dal 1986 – anno di introduzione del regime del cosiddetto carcere duro – il primo anarchico ad essere sottoposto al 41 bis O.P.
Al di là delle considerazioni di merito, è utile in questa sede vagliare i presupposti giustificativi del mantenimento del regime detentivo differenziato, in linea col doveroso bilanciamento tra diritti fondamentali del detenuto e presidio alla sicurezza e all’ordine pubblico. In questa prospettiva, pertanto, il sindacato giudiziario effettuato dal Tribunale di Sorveglianza in ordine al decreto applicativo del 41 bis O.P. non può sic et simpliciter interessare unicamente la violazione delle norme, ma deve necessariamente coinvolgere altresì lo status soggettivo del detenuto, e ciò al fine di valutare la sua capacità di tessere le fila con le organizzazioni criminali di provenienza. E la pericolosità sociale in questi termini espressa, si badi, deve necessariamente ancorarsi temporalmente alla fase esecutiva della pena, effettuando una valutazione prognostica facente leva su attualità e concretezza del periculum.
Ed è proprio la carenza giustificativa in ordine alla dimostrazione dei collegamenti di Cospito con l’organizzazione criminale di appartenenza che suscita non lievi dubbi in ordine all’opportunità della misura inflitta.
Del resto, prima del rigetto del ricorso difensivo ad opera della Suprema Corte avutosi lo scorso febbraio, lo stesso procuratore generale aveva prospettato la fondatezza delle censure mosse dalla difesa dell’anarchico, denuncianti carenza della motivazione dell’ordinanza emessa lo scorso dicembre dal Tribunale di Sorveglianza di Roma con cui si respingeva il reclamo che contestava il regime differenziato. Nella sua requisitoria scritta, il procuratore generale presso la Corte di cassazione asseriva che le argomentazioni poste a fondamento dello speciale regime carcerario non sembrano «compendiare un effettivo discorso giustificativo in ordine alla dimostrazione dei collegamenti di Cospito con l’organizzazione criminale di appartenenza o, quantomento, del concreto pericolo di essi (…) La motivazione non pare essersi effettivamente confrontata con elementi potenzialmente decisivi segnalati dalla difesa che, se considerati, singolarmente o nella loro globalità, avrebbero potuto anche determinare un esito opposto del giudizio».
Nonostante le prospettate argomentazioni, il 24 febbraio i giudici di Piazza Cavour hanno messo un punto al filone giudiziario in discorso: Alfredo Cospito resta in regime di carcere duro. Lo stesso non dicasi dello scenario politico; questo, proprio a fronte di tale decisione, sembra più aperto che mai.
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Avv. Giovanni Ciscognetti
Nato nel 1992, ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo con il Prof. Vincenzo Maiello una tesi in Diritto Penale dal titolo "Le circostanze del reato". È iscritto all'Albo degli Avvocati di Napoli. È attualmente membro della Scuola Forense Enrico De Nicola.
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