Cass. pen., Sez. 3, sent. n. 7434/2021: una rilettura dei principi delle Sezioni Unite Lucci

Cass. pen., Sez. 3, sent. n. 7434/2021: una rilettura dei principi delle Sezioni Unite Lucci

Nel caso di specie i ricorrenti impugnavano l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta laddove prevedeva il limitarsi del vincolo cautelare anche con riferimento al sequestro per equivalente alle somme indicate nei capi di imputazione ascritti agli indagati e confermava il decreto di sequestro preventivo nei confronti delle persone giuridiche beneficiarie dei reati tributari in contestazione in caso di incapienza anche per equivalente nei confronti degli indagati per delitto di cui all’artt. 10-quater dlgs n. 74/2000, ovvero indebita compensazione. 

Contro l’ordinanza, gli indagati ricorrevano per cassazione per due motivi: in primo luogo deducevano l’inosservanza di legge in relazione al principio del ne bis in idem dal momento che, il provvedimento emesso dal Gip rappresenterebbe la reiterazione di un precedente decreto, emesso per i medesimi addebiti e nei riguardi dei medesimi indagati; in secondo luogo i ricorrenti contestavano la violazione di legge dal momento che il vincolo reato posto si ravvisa su somme di denaro depositate sui conti correnti bancari della Società successivamente alla commissione dei fatti di reato ed in forza di titoli leciti, non avendo quindi, in tal senso, natura di prodotto del denaro. 

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per le ragioni che seguiranno. 

Il primo motivo è da considerarsi manifestamente infondato dal momento che, eccependo la violazione del principio di  ne bis in idem cautelare non è stato tenuto in considerazione che, per l’orientamento maggioritario della Cassazione in materia, “è legittima l’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo, dopo che un primo analogo provvedimento sia stato revocato (…), purché la revoca intervenuta in sede di riesame o di appello sia basata su profili formali e/o processuali e non sulla insussistenza del humus delicti”. 

La Suprema Corte con tale sentenza ha potuto chiarire i limiti di applicabilità e di operatività del cd. giudicato cautelare, statuendo che “opera solo nel caso in cui vi sia stato un effettivo apprezzamento, in fatto o in diritto, del materiale probatorio e dell’imputazione provvisoria” non ravvisando la vigenza del giudicato cautelare in presenza invece di decisione che definiscono lì incidente cautelare in relazione ad aspetti meramente procedurali.

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile, dal momento che, ricostruendo la giurisprudenza in materia, la sezione terza ricostruisce a contrario i connotati del sequestro a fini di confisca diretta del profitto di un reato. 

Infatti, attraverso il richiamo alle Sezioni Unite Lucci (Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617) laddove viene chiarito che “ove il prezzo o il profitto cd. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato”, con un ragionamento a contrario dal principio statuito dalle Sezioni Unite Lucci, la terza sezione ha statuito che “ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato, le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del manco versamento delle imposte e, dunque, non sono sottoponibili al sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, necessaria per poter procedere ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta.” 

Con tale ragionamento a contrario, la terza sezione della Suprema Corte, prendendo come punto di partenza il principio delle Sezioni Unite Lucci, ha statuito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in forma diretta del profitto derivante da reato tributario omissivo, nel caso di specie delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, può avere ad oggetto solo il saldo attivo presente sul conto corrente al momento della consumazione del reato, nel caso di specie momento coincidente con la presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato. 

Rimane pertanto onere della difesa allegare delle circostanze specifiche da cui desumere che “alla data di consumazione del reato, non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro sequestrato sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati successivamente a tale momento.”


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti