Cassazione, contratti bancari: nulli se firmati solo dal cliente
Deciso cambiamento di rotta della Cassazione. I contratti bancari contenenti la sola sottoscrizione del cliente e non anche quella della banca non sono più considerati validi per il semplice fatto di essere stati prodotti in giudizio. La sanzione è, dunque, quella della nullità.
È quanto ha affermato la Cassazione Civile, sez. I, con la sentenza n. 5919 depositata il 24 marzo 2016.
Il caso
Un correntista conveniva in giudizio una banca premettendo di avere conferito mandato a quest’ultima per la negoziazione di strumenti finanziari, sottoscrivendo, un ordine di acquisto di 753.000 obbligazioni “Repubblica Argentina 9,25% 99/2002”, con un esborso di 774.600,60, titoli – come noto – colpiti dal default argentino del 21 dicembre 2001.
A fondamento della sua azione deduceva, tra l’altro, la nullità dell’operazione in quanto posta in essere in assenza del contratto scritto di negoziazione di cui della L. n. 1 del 1991, art. 6 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e del regolamento Consob numero 11.522 del 1998.
Su tali premesse, il correntista concludeva per la dichiarazione di nullità ovvero per l’annullamento o la risoluzione del contratto di investimento nelle predette obbligazioni con condanna della banca alla restituzione ovvero al risarcimento commisurato all’entità della somma investita.
Il giudice di prime cure rigettava la domanda.
Proposto gravame, la Corte d’appello di Milano, in totale riforma della sentenza impugnata, dichiarava invece la nullità dell’operazione di investimento per l’assenza di un valido contratto scritto di negoziazione.
Contro la sentenza la banca proponeva ricorso per cassazione.
Il precedente orientamento di legittimità
La questione è se la validità del “contratto quadro” possa essere ricollegata alla produzione in giudizio da parte della banca del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto.
Un precedente di legittimità, Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, ha affermato, con riguardo ad una vicenda simile, pure involgente la stipulazione di un contratto bancario da redigersi per iscritto:
1) che la dicitura contenuta nel documento mancante della sottoscrizione proveniente dalla banca, secondo cui “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato“, rendeva ragionevole affermare che l’esemplare consegnato recasse per l’appunto la sottoscrizione della banca;
2) che la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, muovendo dalla premessa che nei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, ha più volte ribadito il principio secondo cui tanto la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, quanto qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte, dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante;
3) che, nella specie considerata, anche in mancanza di una copia del contratto firmata dalla banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risultava comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto, da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastando a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto che al precedente “non possa darsi continuità”.
La decisione
La Suprema Corte ha più volte ribadito che la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intende avvalere (Cass. 5 giugno 2014, n. 12711 ove si precisa che, per il perfezionamento dell’accordo è necessario non solo che la produzione in giudizio del contratto avvenga su iniziativa del contraente che non l’ha sottoscritto, ma anche che l’atto sia prodotto per invocare l’adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti; Cass. 17 ottobre 2006, n. 22223; Cass. 5 giugno 2003, n. 8983; Cass. l luglio 2002, n. 9543; Cass. 11 marzo 2000, n. 2826; Cass. 19 febbraio 1999, n. 1414; Cass. 15 maggio 1998, n. 4905; Cass. 7 maggio 1997, n. 3970; Cass. 23 gennaio 1995, n. 738; Cass. 24 aprile 1994, n. 5868, ove si precisa che il principio non trova applicazione allorché il giudizio sia instaurato non nei confronti del sottoscrittore, bensì dei suoi eredi; Cass. 28 novembre 1992, n. 12781; Cass. 7 agosto 1992, n. 9374; Cass. 24 aprile 1990, n. 3440; Cass. 7 luglio 1988, n. 4471; Cass. 11 settembre 1986, n. 5552, che ammette il principio solo quando il contraente invochi in proprio favore il contratto ed intenda farne propri gli effetti, e non quando la produzione in giudizio del documento esprima essa stessa la volontà contraria ad alcuni suoi contenuti, come quando sia effettuata al fine di dimostrare con la mancata sottoscrizione del documento la non avvenuta conclusione del contratto contenutovi; Cass. 18 gennaio 1983, n. 469; Cass. 8 novembre 1982, n. 5869; Cass. 23 aprile 1981, n. 2415, ivi, 1981, 2415; Cass. 8 gennaio 1979, n. 78).
Si è ritenuto, infatti, che la produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto la scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto, perfezionamento che si verifica ex nunc, e non ex tunc (ed infatti il contratto formale intanto si perfeziona ed acquista giuridica esistenza, in quanto le dichiarazioni di volontà che lo creano siano state per l’appunto formalizzate), tant’è che il congegno non opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non è più in vita nel momento della produzione, perché la morte determina di regola l’estinzione automatica della proposta (v. art. 1329 c.c.) rendendola non più impegnativa per gli eredi (in senso diverso sembra rinvenirsi soltanto Cass. 29 aprile 1982, n. 2707, secondo cui la produzione in giudizio del documento sottoscritto da una sola parte non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza di sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione).
Nel caso in discorso, la produzione in giudizio del contratto da parte della banca, senza la relativa sottoscrizione, avrebbe determinato il perfezionamento del contratto solo dal momento della produzione, la quale, perciò, non può che rimanere senza effetti, per i fini della validità del successivo ordine di acquisto delle obbligazioni argentine, tale da richiedere a monte (e non ex post) un valido contratto quadro.
D’altro canto, far discendere la validità dell’ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del “contratto quadro”, non è pensabile, stante il principio dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c..
Quanto affermato esime, quindi, dal soffermarsi sull’ulteriore questione se la produzione da parte della banca possa determinare il perfezionamento del contratto, sia pure ex nunc, in presenza di una condotta quale quella posta in essere dal correntista, il quale ha agito in giudizio per la dichiarazione di nullità dell’ordine di acquisto in mancanza di un valido “contratto quadro”, avuto riguardo al rilievo che la domanda rivolta alla declaratoria di nullità è domanda di mero accertamento e, a differenza di quelle costitutive, quali quelle di annullamento o di risoluzione, non presuppone l’avvenuta conclusione del contratto.
Per tali ragioni, dunque, il “contratto quadro” non può dirsi utilmente perfezionato (sì da sorreggere il successivo ordine di acquisto) per effetto della sua produzione in giudizio da parte della banca.
Il problema dell’anteriorità del perfezionamento del “contratto quadro” non si porrebbe, invece, se potesse attribuirsi rilievo alla volontà della banca di avvalersi del contratto desumibile dalle contabili.
Ma così non è. In generale, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo (Cass. 7 giugno 2011, n. 12297).
E, fin da epoca remota, la Suprema Corte ha affermato che il documento ha valore, per i fini del soddisfacimento del requisito formale, “in quanto sia estrinsecazione diretta della volontà contrattuale” (Cass. 7 giugno 1966, n. 1495). La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto (Cass. 1 marzo 1967, n. 453; Cass. 22 maggio 1974, n. 1532; Cass. 7 maggio 1976, n. 1594; Cass. 9 marzo 1981, n. 1307; 30 marzo 1981, n. 1808; 18 febbraio 1985, n. 1374; Cass. 15 novembre 1986, n. 6738; Cass. 29 ottobre 1994, n. 8937; Cass. 15 dicembre 1997, n. 12673; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234; Cass. 30 marzo 2012, n. 5158; da ultimo Cass. 12 novembre 2013, n. 25424, secondo cui non soddisfa l’esigenza di forma scritta ad substantiam l’attestazione di pagamento sottoscritta dall’accipiens e dal solvens).
Nel caso di specie, la documentazione depositata dalla banca (contabili, attestati di seguito, estratti conto), indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture, non possiede i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale“, tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale.
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Avv. Giacomo Romano
Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.
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