Cassazione: in udienza penale non basta più la delega orale al collega

Cassazione: in udienza penale non basta più la delega orale al collega

Cassazione Penale, Sez. V, 11 giugno 2018 (ud. 26 aprile 2018), n. 26606

Presidente Palla, Relatore Settembre

La Sentenza in commento origina dal ricorso promosso avverso l’ordinanza di archiviazione emessa ai sensi dell’art. 410 c.p.p. dal GIP del Tribunale di Roma, in un procedimento avviato per il reato di diffamazione.

Nello specifico, il difensore lamentava la violazione del contraddittorio poiché, in udienza, era stato impedito al collega nominato sostituto per delega verbale di esporre le proprie ragioni.

La Suprema Corte, rigettando il prefato ricorso, chiarisce la portata ermeneutica dell’art. 102 c.p.p. nella parte in cui, riconosciuta la possibilità di delega da parte del difensore officiato, non esplicita la modalità di conferimento, ovvero non contempla se la stessa debba essere ufficializzata necessariamente per iscritto oppure se possa essere conferita anche semplicemente oralmente.

Gli Ermellini sposano la prima interpretazione, con richiamo in primis all’art. 96/1 c.p.p., in virtù del quale l’imputato ha il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia, e “la nomina è fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata” (comma 2); in secundis, ex art. 34 delle D.A.C.P.P. –  rubricato peraltro “designazione del sostituto del difensore”, la modalità di designazione del sostituto, viene effettuata con un sostanziale rimando al 96/2 c.p.p..

Sicché, la chiave di lettura deve essere individuata proprio nell’art. 96/2 c.p.p. per il quale la nomina (così come la designazione del sostituto) deve essere documentata per iscritto, poiché solo in tal modo suscettibile di esplicare effetti dinanzi all’Autorità Giudiziaria.  

A sostegno, la Corte evidenzia che, a mente del predetto articolo, quanto alle modalità di nomima, se la nomina è fatta con “dichiarazione resa all’autorità procedente”, essa è  gioco-forza insita in un verbale, non essendo pensabile una nomina affidata alla memoria degli operatori giudiziari;  nel caso in cui essa “è consegnata all’autorità procedente dal difensore”, certamente è stata acquisita per iscritto e poi consegnata all’Autorità giudiziaria; se, in ultima ipotesi, “è trasmessa con raccomandata” all’A.G., sicuramente è stata perfezionata in un atto scritto.

Quanto sopra esposto, a giudizio della Cassazione, è operante, a maggior ragione, per il sostituto del difensore delle altre parti private (art. 100 c.p.p.) e della persona offesa (art. 101 c.p.p.), preso atto che l’art. 34 D.A. c.p.p. si riferisce, indistintamente, ad ogni difensore, anche alla luce della sua collocazione sistematica (è ricompreso nel capo IV del titolo I, che detta norme per ogni “difensore”), e del suo contenuto semantico giacché parla, genericamente, del “difensore”.

Ed invero, diversamente non potrebbe essere, anche tenuto conto del fatto che già per il difensore della parte civile, del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria l’attribuzione del ministero deve avvenire per procura speciale, trattandosi di soggetti che agiscono nell’ambito di un rapporto civilistico seppur inserito nel processo penale; si aggiunga pure che, anche per il difensore della persona offesa, la forma scritta è prescritta dall’art. 101 c.p.p.., con rimando, ancora una volta, all’art. 96/2 c.p.p..

Pure sotto l’inquadramento giudico, il Supremo Consesso ribadisce come la sostituzione processuale è sussumibile nello schema della rappresentanza (art. 1387 c.c.): “il che conferma che il conferimento dell’incarico deve avvenire con le forme previste per la nomina del difensore” (art. 1392 c.c.. e 96 c.p.p.).

In ogni caso, a sostegno, gli Ermellini richiamano la modalità di documentazione della qualità di difensore all’autorità procedente,che può avvenire ex art. 27 D.A.c.p.p solo in forma scritta.

Per di più, la conclusione è rinfiancata anche avuto riguardo alla disciplina positiva della professione forense, contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) e nella legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).

Infatti, proprio l’art. 9 del R.D.L. 1578/33 prevede espressamente che “il procuratore può, sotto la sua responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso uno dei Tribunali della circoscrizione della Corte d’appello e Sezioni distaccate. L’incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata”.[1]

Da ultimo la Suprema Corte precisa che la disposizione contenuta nell’art. 14/2 della legge 247/2012 –  richiamata dal difensore dell’imputato – , secondo la quale “gli avvocati possono farsi sostituire o coadiuvare da altro avvocato, con incarico anche verbale” è valida ma unicamente al di fuori del processo (laddove rilevano esclusivamente i rapporti tra parti private), mentre, nel processo penale vige la regola ah hoc dettata dagli artt. 96/2 cod. proc. pen. e 34 D.A. c.p.p. che impone il conferimento della delega in forma scritta.


[1] Tale norma non è stata abrogata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), dal momento che l’art 65 della legge suddetta fa salve le norme anteriori fino all’entrata in vigore dei regolamenti previsti dalla stessa legge (regolamenti che non risultano – allo stato – emanati) e dal momento che non risulta esercitata la delega prevista dall’art. 64 della medesima legge (secondo cui il Governo avrebbe potuto adottare, entro ventiquattro mesi, uno o più decreti legislativi contenenti un testo unico di riordino delle disposizioni vigenti in materia di professione forense).


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Valeria Picaro

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