Cassazione: non è impugnabile il provvedimento che nega l’accesso al programma di giustizia riparativa

Cassazione: non è impugnabile il provvedimento che nega l’accesso al programma di giustizia riparativa

Nella sentenza 14 febbraio 2024, n. 6595, la Corte di Cassazione penale, Sez. II, pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale aveva rigettato la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129 bis c.p.p., ha disatteso la tesi difensiva secondo cui il giudice non aveva adeguatamente motivato in merito al mancato invio dell’imputato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, in violazione dell’ art. 44 D.Lgs. n. 150/2022, che prevede la possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa «senza preclusioni in relazione alla fattispecie del reato o alla sua gravità».

Nel testo della sentenza in esame è infatti sancito il principio secondo cui la mancata previsione dell’impugnabilità, nell’ambito del procedimento penale, dell’ordinanza che nega all’indagato/imputato l’accesso ad un programma di giustizia riparativa non pone problemi di legittimità costituzionale, poiché il procedimento riparativo di cui all’art. 129 bis c.p.p. non ha natura giurisdizionale, bensì si concretizza in un servizio pubblico di cura relazionale tra persone, disciplinato da regole non mutuabili da quelle del processo penale, che talora risultano incompatibili con queste ultime, quali la volontarietà, l’ equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, la consensualità, la riservatezza, la segretezza. Dato che l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi principi. Dunque, la mancata previsione da parte del legislatore per i provvedimenti in materia di giustizia riparativa di un regime impugnatorio ad hoc non è ingiustificata, bensì scelta consapevole ricollegata alla “speciale” natura, non giurisdizionale, del nuovo istituto.

D’altro canto, la stessa Cassazione[1] aveva precedentemente stabilito che la possibilità per il giudice di disporre “ex officio” l’invio delle parti ad un centro di mediazione è rimessa a una sua valutazione discrezionale, non sussistendo un obbligo in tal senso, né dovendo tale scelta essere motivata, sicché, ove non risulti attivato il percorso riparativo di cui all’ art. 129 bis c.p.p. o sia stato omesso l’avviso alle parti della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa previsti dall’art. 419, comma 3 bis, c.p.p., non è configurabile alcuna nullità.

Occasione è stata utile anche per la verifica da parte dei Supremi Giudici della legittimità costituzionale della mancata previsione dell’impugnabilità dell’ordinanza con la quale sia rigettata la richiesta di accesso ad un programma di giustizia riparativa e a tal proposito si è evidenziato come il D.Lgs. n. 150/2022, attuativo della cosiddetta “riforma Cartabia”, ha strutturato il rapporto tra sistema penale e giustizia riparativa in chiave di complementarietà “integrativa”, dunque la giustizia riparativa si innesta nel procedimento penale in qualsiasi stato e grado e senza preclusioni in relazione alla tipologia di illecito.

Le uniche due ipotesi nelle quali l’accesso ai programmi di giustizia riparativa prescinde dal procedimento/processo penale, perché, rispettivamente, l’iter della giustizia punitiva si è concluso, e dunque la responsabilità penale è stata accertata e la pena è stata eseguita, oppure quando esso non è ancora iniziato, e potrebbe non iniziare mai, sono: quella prevista dall’art. 44, comma 2, D. Lgs. n. 150/2022, secondo cui l’accesso ai programmi di giustizia riparativa anche dopo l’esecuzione della pena e dunque quando la giustizia punitiva ha fatto il suo corso; quella prevista dall’art. 44, comma 3, stesso D.Lgs., che, per i reati perseguibili a querela di parte, consente il ricorso alla giustizia riparativa anche prima della proposizione della querela e dunque dell’inizio del procedimento penale.

 

 

 

 

 

[1] Cass. pen., Sez. VI, sentenza 9 maggio 2023, n. 25367

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