Chi inquina paga? La Corte di Giustizia “chiarisce” il Ministero dell’Ambiente
La normativa Italiana all’art 178 del D.lgs 152/2006 (Codice dell’Ambiente) e la normativa Europea all’art 191 del TFUE introducono all’interno del nostro sistema normativo il principio del “Chi inquina paga”.
Sul principio, nonostante la chiarezza, è intervenuta, a marzo del 2015, la Corte di Giustizia con un importante pronuncia frutto della causa C-534/13. La causa C-534 ha avuto origine da una richiesta di rinvio pregiudiziale operata dal Consiglio di Stato (ITALIA) a causa dell’estrema incertezza della giurisprudenza amministrativa e a causa di una curiosa interpretazione delle norme europee proposta dal Ministero dell’Ambiente. Per poter capire meglio i contorni della questio non possiamo prima non analizzare i fatti.
Tra il 2001 e 2011 la Fipa group srl, insieme ad altre tre società, acquistano dalla Montedison (Attuale Edison spa) alcuni terreni siti nell’area industriale di Carrara in Toscana. I terreni oggetto della compravendita rientravano in un sito di interesse nazionale a causa del forte stato di inquinamento chimico causato dal precedente proprietario. Il Ministero dell’Ambiente decide, vista la drammaticità della situazione e il rischio per le falde acquifere di inviare un’ordinanza con la quale imponeva la realizzazione di misure finalizzate alla tutela e salvaguardia dell’ambiente. È quindi sorta una controversia tra gli attuali proprietari non responsabili della contaminazione e le autorità italiane sulla misura in cui essi possano essere chiamati a farsi carico della bonifica. Le tre società hanno infatti richiesto al TAR l’annullamento del provvedimento in quanto affetto dalla patologia della violazione di legge prevista dall’art 21 octies della L 241/90.
La nostra normativa nazionale prevede agli articoli 244, 245, 250 TUA (Codice dell’Ambiente) che l’amministrazione debba infatti attivarsi per individuare i responsabili degli illeciti ambientali e obbligare gli stessi alla bonifica. Ulteriormente si stabilisce, da un lato, la mera facoltà (non l’obbligo) per i proprietari non responsabili di bonificare e da un altro lato l’obbligo di bonifica da parte dell’Autorità amministrativa in caso in cui i responsabili non siano identificabili. Il Codice dell’Ambiente (D.lgs 152/2006) non permette quindi di imporre misure di prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento dei loro terreni.
Il Ministero dell’Ambiente, nonostante il TAR avesse dichiarato fondato il ricorso, decide allora di proporre appello al Consiglio di Stato affermando che il suo provvedimento era legittimo in quanto la nostra normativa non era conforme a quella europea. Il Min. Ambiente aveva quindi disapplicato il diritto nazionale in favore di quello europeo che però è stato re-interpretato in maniera molto discutibile. Il Ministero dell’Ambiente ha enunciato che il principio del “Chi inquina paga” non doveva essere inteso in senso soggettivo ma in senso oggettivo, in altre parole, affermava che non è chi ha causato il danno che deve bonificare ma chi è proprietario del terreno inquinato. Secondo tale teoria ne deriverebbe una responsabilità da posizione. Ulteriormente il principio di precauzione e di prevenzione dei rischi non potevano non obbligare il Ministero ad imporre tali misure che però non dovevano essere viste come “sanzioni”, ma misure di salvaguardia immediata.
Il Consiglio di Stato, di fronte a questa interpretazione e a causa di una giurisprudenza contraddittoria ha quindi deciso di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte affinché si pronunciasse sull’eventuale rapporto di contrasto tra norma italiana e norma europea. La Corte, pronunciatasi a marzo 2015, ha affermato che il principio di precauzione e del “chi inquina paga”, previsti dall’art 191 TFUE, sono principi generali che devono indirizzare le sole politiche dell’Unione e non possono essere invocati né dalla P.A a fondamento di provvedimenti amministrativi e né dai privati come causa di esonero dalla responsabilità. La Corte afferma ulteriormente che il caso potrebbe trovare soluzione grazie alla direttiva 2004/35/CE che prevede la necessità di un nesso di causalità tra attività dell’operatore e danno al patrimonio ambientale.
La direttiva, ai sensi della stessa, troverebbe però applicazione soltanto per i casi di inquinamento dal 2006 in poi e quindi dovrà essere il giudice nazionale, ai fini della sua applicabilità, a capire se l’inquinamento sia perdurato fino a dopo il 2006 o sia stato realizzato prima. Comunque l’applicabilità o meno della direttiva 2004/35/CE è un finto problema perché, dice la Corte, se essa fosse applicabile troverebbe piena corrispondenza col diritto Italiano, se non fosse applicabile, ci troveremo di fronte ad un caso non normato dalla normativa dell’Unione e quindi la normativa italiana non sarebbe in contrasto proprio con nulla. Quindi, volendo avviarci alle conclusioni, la Corte dichiara in maniera chiara e precisa che la nostra normativa nazionale contenuta nel Codice dell’Ambiente che non prevede la possibilità di imporre misure di prevenzione, riparazione e bonifica a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento non è in contrasto con la normativa europea.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.