Circonvenzione di incapaci: contratto nullo perché contrario a norma imperativa
La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con la sentenza 20 marzo 2017, n. 7081 si è pronunciata sulle sorti del contratto concluso per effetto di circonvenzione di persona incapace. La Suprema Corte ha altresì evidenziato i presupposti applicativi, da un alto, dell’art. 643 c.p. e, dall’altro, dell’ipotesi di annullabilità del contratto stipulato da persona incapace di intendere e di volere ai sensi dell’art. 428 c.c.
L’art. 643 c.p. (circonvenzione di persone incapaci) punisce chiunque, per procurare a sè o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso. Il soggetto passivo del reato è l’incapace, portatore dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, e non il terzo per cui gli atti dispositivi siano risultati pregiudizievoli. Con riferimento allo “stato d’infermità” e allo stato di “deficienza psichica”, entrambi presentano il connotato comune consistente nella riduzione anomala delle facoltà intellettive o volitive. Ai fini della consumazione del reato, non è sufficiente la risoluzione, cagionata dall’induzione, di compiere un atto che importi effetti dannosi, essendo necessario che si verifichi il compimento dell’atto stesso, oggetto della risoluzione. L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto di carattere non necessariamente patrimoniale ed è sufficiente che si ingeneri un pericolo di pregiudizio per il soggetto passivo, in quanto l’art. 643 c.p. configura un reato di pericolo.
In base all’art. 1425, comma 2, c.c., è annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall’art. 428 c.c., il contratto stipulato da persona incapace d’intendere e di volere. In particolare, gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore; l’incapacità naturale è causa di annullamento del contratto solo se, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la mala fede dell’altro contraente.
La Corte di Cassazione, richiamando l’orientamento già espresso dalla Sezione Prima Civile con la sentenza 19 maggio 2016, n. 10329, ha rilevato che l’ipotesi di annullamento disciplinata dall’art. 428 c.c. e la fattispecie di reato prevista dall’art. 643 c.p. hanno presupposti differenti. Tant’è che il giudicato formatosi sull’insussistenza dell’incapacità naturale richiesta per l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 428 c.c., è inopponibile nel giudizio volto a far dichiarare la nullità del medesimo contratto per circonvenzione di incapace. Mentre l’art. 428 c.c. richiede l’accertamento di una condizione espressamente qualificata di incapacità di intendere o di volere, ai fini dell’art. 643 c.p. è, invece, sufficiente che l’autore dell’atto versi in una situazione soggettiva di fragilità psichica derivante dall’età, dall’insorgenza o dall’aggravamento di una patologia neurologica o psichiatrica anche connessa a tali fattori o dovuta ad anomale dinamiche relazionali che consenta all’altrui opera di suggestione ed induzione di deprivare il personale potere di autodeterminazione, di critica e di giudizio. La Suprema Corte ha inoltre sottolineato come lo “stato d’infermità o deficienza psichica”, di cui all’art. 643 c.p., non costituisca un maius rispetto allo stato d’incapacità di intendere o di volere di cui all’art. 428 c.c., bensì piuttosto un minus, come già evidenziato dalla richiamata sentenza 27 gennaio 1986, n. 532 pronunciata dalla medesima Corte, Sezione Terza Civile.
Con riferimento, invece, alle cause di nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. è nullo il contratto contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Trattasi della cosiddetta “nullità virtuale”, che si suole contrapporre a quella testuale, espressamente comminata da una disposizione di legge. La norma penale è per sua natura imperativa e la sua trasgressione può avvenire nell’ambito della conclusione di un contratto. La dottrina distingue a tal proposito i “reati-contratto”, ossia i reati che colpiscono la stipulazione del contratto medesima, e i “reati in contratto”, caratterizzati dal fatto che la norma incriminatrice vieta solo il comportamento tenuto nella fase prenegoziale da uno dei contraenti a danno dell’altro. Il “reato-contratto” produce la nullità virtuale per violazione di norma imperativa penale.
La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7081/2017, ha opportunamente ravvisato nell’art. 643 c.p. una norma imperativa. Pertanto il contratto concluso a fronte della circonvenzione di persona incapace produce la violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sulla annullabilità dei contratti. La Sezione Seconda Civile ha finanche sottolineato che lo scopo dell’art. 643 c.p. va ravvisato, più che nella tutela dell’incapacità in sé e per sé considerata, nella tutela dell’autonomia privata e della libera esplicazione dell’attività negoziale delle persone incapaci. Tanto premesso, il contratto concluso per effetto diretto della consumazione del reato di circonvenzione di persone incapaci deve essere dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., in quanto contrario a norma imperativa.
Ai fini della declaratoria di nullità del contratto, il Giudice civile è tenuto nonché abilitato ad accertare incidenter tantum l’effettiva sussistenza del reato, con riferimento sia all’elemento oggettivo sia all’elemento soggettivo. A conferma di tale affermazione, la Sezione Seconda ha evidenziato che, a seguito dell’introduzione del nuovo testo dell’art. 295 c.p.c., come modificato dalla legge 353 del 1990, deve ritenersi non più operativo il riferimento all’art. 3 c.p.p. abrogato. L’art. 295 c.p.c., infatti, nell’attuale formulazione prevede che il giudice disponga la sospensione del processo in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa. Pertanto, come sottolineato dalla Suprema Corte, al principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale si è sostituito quello dell’autonomia e separazione tra i giudizi.
La Corte ha inoltre analizzato il caso in cui il processo penale per il reato di circonvenzione di incapace, che comporti il conseguimento di un ingiusto profitto a seguito della stipulazione di atti di compravendita, si concluda con una sentenza di assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 649 c.p., che sancisce la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti. In tal caso, l’azione volta al risarcimento del danno derivante dalla condotta illecita di cui all’art. 643 c.p., proposta dalla persona offesa in sede penale, può dallo stesso essere riproposta in sede civile, non trovando ostacolo nella predetta sentenza penale di assoluzione.
Pertanto, secondo l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, qualora il Giudice civile accerti che il contratto è stato concluso per effetto diretto della consumazione del reato di circonvenzione di persona incapace, di cui deve verificare incidenter tantum gli elementi costitutivi, il contratto medesimo dovrà essere dichiarato nullo poiché contrario a norma imperativa ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.
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