CITTADINANZA: legittimo il diniego di fronte ad una evidente inadeguatezza nella comprensione della lingua italiana

CITTADINANZA: legittimo il diniego di fronte ad una evidente inadeguatezza nella comprensione della lingua italiana

L’Amministrazione può porre a base del diniego di riconoscimento della cittadinanza una contestata ed evidente inadeguatezza nella comprensione della lingua italiana.

Questo il principio espresso dalla sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, n. 4384 del 2015, decisa il 12 febbraio 2015 e depositata il 20 marzo 2015.

Nel caso di specie, un cittadino bengalese, abitante da oltre dieci anni in Italia, impugnava il decreto ministeriale con il quale gli è stata rigettata l’istanza di concessione della cittadinanza italiana, traendone argomento dal fatto che, nel corso di colloquio, tenutosi presso la Questura di Vicenza, l’interessato ha mostrato una scarsa conoscenza della lingua italiana ed un insufficiente livello di integrazione nella comunità nazionale, nonostante la sua presenza pluriennale nel territorio italiano.

I Giudici hanno affermato che è legittimo, e quindi va confermato, il provvedimento del Ministero dell’Interno con cui, accertata durante il colloquio in Questura la scarsa conoscenza della lingua italiana nonché dei principi fondamentali dell’ordinamento, venga negata, al soggetto extracomunitario richiedente, la concessione della cittadinanza italiana, nonostante la presenza pluriennale del medesimo in Italia.

Invero, va osservato che la cittadinanza si configura quale concessione e, quindi, provvedimento a carattere altamente discrezionale e di alta amministrazione (Cons. di Stato, n. 4748 del 2008): la legge speciale prevede, infatti, esclusivamente i presupposti per la presentazione dell’istanza (Cons. di Stato, Sez. IV, n. 798 del 1999).

È, quindi, necessaria un’attenta ponderazione del concreto interesse pubblico alla stabile accoglienza e dell’attitudine dello straniero ad assumersi tutti i doveri ed oneri (Cons. di Stato, n. 798 del 1999) e, cioè, di rispettare le regole del Paese ospitante: lo status civitatis è, infatti, collegato ad una capacità giuridica speciale recante diritti e doveri (Cons. di Stato, n. 196 del 2005).

Pertanto, devono sussistere elementi ultra tali da giustificare e motivare l’opportunità del provvedimento richiesto (Cons. di Stato, Sez. I, parere 4 maggio 1966, n. 914) e ciò anche onde evitare strumentalizzazioni della nuova cittadinanza che, peraltro, si aggiunge a quella dello Stato d’origine.

In altri termini, non si configura alcun obbligo automatico, a carico dello Stato, di concedere, e quindi riconoscere, la cittadinanza italiana in caso di mera sussistenza dei requisiti e della residenza decennale nonché di assenza di fattori ostativi.

Appare, quindi, condivisibile l’orientamento del T.A.R. secondo cui, in ambito di rapporti tra Autorità e privato e quindi tra legislazione interna e normativa comunitaria, la mancanza di padronanza linguistica da parte dell’extracomunitario si configura in termini di insufficiente integrazione nel tessuto sociale nazionale (Cons. di Stato, n. 2262 e n. 1152 del 2014, n. 8693 e n. 8694 del 2013): peraltro, gli agenti della P.A. procedente, per la funzione costantemente svolta cui sono preposti, non hanno l’obbligo di munirsi di ulteriori e specifici titoli professionali.


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