Clausole atipiche immediatamente escludenti: pendolo tra impugnativa dei bandi e principio di tassatività delle cause di esclusione

Clausole atipiche immediatamente escludenti: pendolo tra impugnativa dei bandi e principio di tassatività delle cause di esclusione

Un tempo, erano gli araldi medievali, meglio conosciuti come i banditori, a scendere in piazza e a suon di grida, notiziavano il vulgus, proclamando bandi e informandolo delle disposizioni delle autorità ivi contenute.

Oggi, fieri dell’importanza da sempre ricoperta, i bandi hanno abbandonato i ricchi orpelli sui leggevano gli araldi e, adeguandosi ai tempi che corrono, indossano vesti tecnologiche con la pubblicazione telematica in Gazzetta Ufficiale.

Ai sensi dell’art. 129 del D.lgs. n. 50 del 2016, per tutte le procedure è possibile utilizzare come mezzo di indizione di una gara il bando, nel cui interno vengono resi noti i requisiti di ammissione, le modalità e condizioni di partecipazione, i criteri di aggiudicazione e altre informazioni prescritte nell’allegato XIV, parte II.

Se ne deduce, quindi, che il bando di gara è l’atto con cui si predispongono le regole di un gioco, un gioco che coinvolge interessi importanti, specie quando, attraverso la sua pubblicazione, si apre la procedura evidenziale: infatti, le amministrazioni aggiudicatrici, nel procedere ad appaltare lavori, servizi e forniture, sono tenute a far precedere la stipula del contratto da un procedimento amministrativo (appunto, la procedura evidenziale), che assumendo connotati sempre più eurocomunitari, necessita di essere governato da disposizioni chiare, precise e puntali, che permettano di garantire parità di trattamento, non discriminazione e libera concorrenza, come ribadito anche all’art. 30 del Cod. App.

Come accade spesso nelle discussioni giuridiche, però, anche il bando di gara è stato oggetto di un parlare dai toni fortemente discordanti, specie quando, al centro si è posta la sua natura giuridica: se da un lato, echeggiano le voci dei civilisti che accostano il bando di gara ad un invito ad offrire o ad un offerta al pubblico; su una nota diversa, si è fatta strada la tesi di coloro che ne ravvedono una chiara matrice pubblicistica, assimilandolo ad un regolamento o qualificandolo come un atto amministrativo generale.

Lunge il dibattito dall’essere meramente una disquisizione sterile, la qualificazione giuridica del bando di gara si riflette come un come un boomerang sulla possibilità dei mezzi di impugnativa offerta all’operatore economico.

Infatti, considerandolo come regolamento, il bando finirebbe per essere una sorta di lex specialis rispetto agli altri atti di gara che rivolgendosi erga omnes, potrebbe tanto essere impugnato attraverso il sistema della doppia impugnativa, quanto sarebbe predicabile anche la tecnica della disapplicazione.

Ad oggi, però, la giurisprudenza prevalente, quella più attenta, andando oltre l’apparenza del bando che, sebbene si rivolge a chiunque, in sostanza, è privo del carattere di astrattezza proprio dei regolamenti, perché programma regole concretamente poi applicate alla gara, propende per la qualificazione di atto amministrativo generale.

E, allora, dando l’assunto per vero, non essendo possibile il ricorso alla disapplicazione, il bando di gara può costituire oggetto di impugnativa di un privato solo attraverso i successivi atti attuativi, tangibilmente lesivi della sua posizione e che, in una procedura evidenziale, potrebbero essere, tanto, una aggiudicazione, quanto, un contratto stipulato.

Ebbene, posta la regola non è tardata ad arrivare l’eccezione che la confermi: infatti, si è precisato che un bando di gara, contenente una lesione puntuale e precisa dell’interesse del privato, possa essere impugnato nell’immediatezza, ossia senza attendere il successivo provvedimento di esso attuativo.

In tal senso, ha statuito l’Adunanza Plenaria nel 2003 che, in chiave garantistica, giustifica una anticipazione della soglia di tutela per il privato, il quale lamenta l’esclusione dalla gara in virtù di clausole poste nel bando, non giustificate da una logica di ragionevolezza.

Si pensi, a tal punto, ad un bando cd. fotografia che palesemente “fotografa” requisiti in possesso di una sola impresa, escludendo irragionevolmente altri operatori del mercato.

Invero, quanto detto ha trovato spazio all’interno del Codice di procedura amministrativa e precisamente al comma 5, dell’art. 120, in cui è previsto che i bandi autonomamente lesivi possono essere immediatamente impugnati dalla data di pubblicazione e, sulla scorta dell’art.119, comma 2, c.p.a., i termini decadenziali, essendo un atto della procedura evidenziale, sono dimezzati a 30 giorni.

Si precisa, poi, che, impugnato il bando, i successivi atti della procedura evidenziale saranno impugnati dal ricorrente con i motivi aggiunti c.d. impropri, così come previsto dall’art. 120, comma 7 c.p.a.

Negli anni si è cercato, poi, di allargare le maglie applicative dell’art. 120, comma 5, c.p.a., propugnando la tesi secondo la quale ogni lesione, sia essa formale che sostanziale, arrecata dalla pubblicazione di un bando, potesse permetterne la sua diretta impugnabilità.

Sul punto, recentemente, si è pronunciata l’Adunanza Plenaria che, in modo chiaro e conciso ha perimetrato il confine di applicabilità della norma, chiarendo, anzitutto, i soggetti che sono ritenuti legittimati processuali ad impugnare un bando contenente clausole non direttamente escludenti ma di cui se ne contesta la legittimità.

Nel 2018, la Plenaria ha logicamente ritenuto che solo l’operato economico che abbia inoltrato domanda di partecipazione alla gara, può ritenersi legittimato ad impugnare un bando recante clausole illegittime non escludenti: non potendo opinare in modo diverso, infatti, il soggetto che non ha manifestato il suo interesse alla procedura, non può dolersi di previsioni non direttamente escludenti, in quanto non riveste una posizione qualificata ma è parificato ad un quisque de populo.

Dato e non concesso che il ricorrente, avendo inoltrato la domanda di partecipazione alla gara, abbia facoltà di impugnare qualsiasi disposizione consideri illegittima, procedendo per assurdo, potrebbe decidere di impugnare anche la previsione tesa ad individuare il criterio di aggiudicazione, in quanto lo si consideri inesatto: in tal caso, l’erronea scelta del criterio non ha una propensione tale da arrecare una immediata offesa all’interesse del soggetto ricorrente, lesione che, tutt’al più, potrà concretarsi solo con il successivo atto di mancata aggiudicazione.

Ebbene, permettere una impugnativa in questi termini, comporterebbe di arrivare al paradosso per cui, da un lato, si avrebbe una moltiplicazione esponenziale di ricorsi, in cui ogni soggetto partecipante adduce l’ipotetica lesione della propria posizione, ricorso meramente strumentale e che verrebbe abbandonato in caso di aggiudicazione; dall’altro, l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe decidere di sospendere la procedura, in attesa della decisione di merito, con una chiara lungaggine dei tempi.

Si comprende, allora, che un ragionamento siffatto non può reggere: accettarlo significa, non solo, ammettere una tutela dell’interesse procedimentale, ossia l’interesse ad avere una gara svolta secondo regole legittime, che non è tutelato nel nostro ordinamento, ma contrasterebbe anche con la logica di celerità insita nelle procedure evidenziali, in cui il legislatore ha avuto cura di escludere il ricorso al Capo dello Stato e di dimezzare i termini ordinari, non può, poi, permettere un simile rallentamento.

Pertanto, la decisione dell’A.P. di escludere la possibilità di impugnativa immediata dei bandi di gara contenente clausole non immediatamente escludenti, si incastra perfettamente nel sistema rimediale e garantistico del nostro ordinamento.

Dalla decisione in commento, si conferma, quindi, la possibilità per un bando di prevedere legittimamente clausole che limitano ovvero escludono l’accesso alla gara per determinati operatori economici.

Ecco, allora, che si apre lo scenario ad un principio assai rilevante nonché molto discusso in tema di bandi di gara: quello della tassatività delle cause di esclusione, raccolto nell’alveo del comma 8, art. 83, Cod. App. e, sulla scia del quale, le prescrizioni a pena di esclusioni inserite nelle regole del bando non possono essere ulteriori a quelle già disposte dalla normativa vigente.

Sennonché, come nell’arte, la chiave di lettura di una norma può essere oggetto di differenti interpretazione: ci si può fermare a guardare l’apparenza, ciò che emerge dal dato testuale, oppure intraprendere l’arduo compito di guardare le norme nel loro sinergico collegamento.

Soffermandosi, allora, alla mera lettera del comma 8, si deduce che se le prescrizioni sono previste dalla legge, è condizione sufficiente ad escludere l’impresa; di conseguenza, ciò implica che per scartare la domanda di partecipazione di un operatore economico è necessario che il requisito a pena di esclusione si rintracci nelle disposizioni legislative: pertanto, ogni altra causa escludente atipica inserita all’interno del bando è da considerarsi nulla.

A ben vedere, come anticipato, la giurisprudenza ha approcciato in maniera differente alla questione, chiarendo che l’art. 83 e il suo ottavo comma vadano letti in collegamento con la disposizione di poco precedente, l’art. 80 Cod. App., laddove, si apprende che i requisiti richiesti a pena di esclusione agli enti offerenti assumono curvature differenti: ai sensi dell’art. 80, alle imprese è richiesta la sussistenza di requisiti generali, quali l’assenza di reati, di misure interdittive antimafia nonché la non sottoposizione a misure concorsuali; invece, ai sensi dell’art. 83, gli operatori economici devono essere dotati dei requisiti speciali inseriti nel bando, volendo riferirsi con questi ultimi a particolari capacità tecniche e professionali nonché a capacità economiche e finanziarie che l’impresa offerente deve possedere.

Sicché deve inferirsi che i requisiti denominati di ordine generale, per loro natura, sono esclusivamente quelli previsti dalla legge, non potendo l’amministrazione prevedere altri reati o altre misure restrittive in presenza delle quali, l’impresa è esclusa dalla gara; viceversa, i requisiti speciali sono intrisi da una innegabile discrezionalità dell’amministrazione che li proporziona e li valuta in base all’opera, al lavoro che intende realizzare e, per questo, la tassatività di dette clausole va letta con una sfumatura diversa.

Sulla scorta di quanto rilevato, l’amministrazione, attraverso il bando, riceve una sorta di autorizzazione legislativa a prevedere requisiti speciali ulteriori a quelli previsti dalla legge e che non sono da considerare cause atipiche di esclusione: come, infatti, confermato dallo Consiglio di Stato in plurimi interventi, i requisiti speciali sono clausole con base legale, sebbene, indiretta.

Pertanto, se l’amministrazione ritiene necessario che l’impresa aggiudicatrice possegga determinati requisiti tecnici, in assenza di questi, l’impresa potrà essere legittimamente esclusa dalla gara, senza che ciò integri una violazione della prescrizione di cui al comma 8, art. 83, Cod. App, non dovendosi, altresì, ritenersi tali clausole nulle.

Fin ora sono stati delineati i problemi più spinosi che ruotano intorno alla pubblicazione di un bando, ossia l’impugnabilità diretta di cui gode lo stesso ed il principio di tassatività di cause di esclusione; si immagini, ora, che tra le due questioni avvenga una crasi e, l’indomani venga indetta una gara con un bando contenente una causa atipica immediatamente escludente.

Ebbene, per comprendere la corretta latitudine della questione, occorre, anzitutto, chiarire l’azione riservata al privato per dolersi della lesione, poi, svelare le sorti a cui va incontro il bando ormai mutilato e, infine, sciolto questo nodo gordiano, delucidare l’operatore economico, illegittimamente escluso, circa i termini decadenziali entro cui agire.

Secondo una prima opzione ricostruttiva, si potrebbe far leva sull’immediata lesività del bando, senza far rilevare che la stessa dipenda dalla presenza di una clausola atipica: volendo meglio esplicare quanto detto, l’art. 120, comma 5, c.p.a., nel prevedere la diretta impugnabilità dei bandi autonomamente lesivi, non specifica che la stessa derivi da una clausola atipica di esclusione ovvero da diversi motivi.

Pertanto, impostata in questi termini la questione, sarebbe gioco forza ritenere che un ricorso avverso il bando contenente clausole atipiche immediatamente escludenti, impugnato al momento della pubblicazione, se ritenuto fondato, comporterà la sua annullabilità e, i successivi atti della procedura di evidenza, verranno impugnati dal ricorrente attraverso i motivi aggiunti.

Proseguendo su questa impalcatura sistematica, si potrebbe, allora, sostenere che il privato, nell’impugnare il bando, solleciti al contempo i poteri di autotutela della pubblica amministrazione, che potrebbe ravvedersi delle sue scelte e intervenire, annullando il bando.

Accolto tale ragionamento, di immediata deduzione logica, è ritenere che anche in questo caso, come per l’annullamento di un bando immediatamente lesivo, il privato soccombente ha possibilità di agire nel termine decadenziale dimezzato dei trenta giorni.

Eppure, questa parabola ermeneutica non sembra convincere, specie, laddove, il legislatore ha previsto al comma 8, art. 83, Cod. App., una disposizione breve ma concisa, per cui le prescrizioni atipiche escludenti contenute nei bandi cadono sotto la scure della nullità.

Emerge che, essendo il rimedio della nullità una forma più grave di invalidità, si potrebbe suggerire che un bando con cause atipiche immediatamente escludenti, arreca una lesione puntale e concreta all’ente appaltatore che può impugnare l’atto attraverso l’azione di nullità, sulla scorta dell’art. 31, comma 4, c.p.a., nel termine decadenziale dei 180 giorni.

Quindi, se il ricorso verrà accolto, il bando di gara verrà dichiarato nullo: a questo punto, si aprono due strade, una delle due sicuramente più tortuosa da percorrere.

Potrebbe sostenersi che la dichiarazione di nullità del bando faccia caducare automaticamente tutti i successivi atti della procedura ma accogliere una soluzione del genere sarebbe al quanto eversiva.

Seguendo, allora, una differente impostazione, il bando nullo potrebbe equivalere ad un non bando: ossia una eventuale aggiudicazione definitiva e la successiva stipula del contratto si sarebbero avuti senza previa pubblicazione del bando.

Si integrerebbe a tal punto, un grave vizio previsto ai sensi dell’art. 121 c.p.a., per cui il giudice procederebbe con l’annullamento l’aggiudicazione definitiva e dichiarerebbe l’inefficacia del contratto, salvo la sussistenza di esigenze imperative che spingono per il mantenimento dello stesso.

Resta, infine, da vagliare il termine decadenziale che si è detto, in precedenza, che per l’azione di nullità è di 180 giorni ma, sulla scorta dell’art. 119, comma 2, c.p.a. nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, si prevede un rito accelerato per cui i termini processuali ordinari sono dimezzati e, pertanto, anche il termine dell’azione di nullità avrebbe dimezzato.


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