CNF: è vietato anche mettere in viva voce la telefonata con il collega

CNF: è vietato anche mettere in viva voce la telefonata con il collega

L’art. 38, 2 co., del Nuovo Codice Deontologico (già art. 22 Cdf) così stabilisce: ” 2. L’avvocato non deve registrare una conversazione telefonica con un collega; la registrazione nel corso di una riunione è consentita soltanto con il consenso di tutti i presenti”. Tale norma, così come anche i successivi artt. 48 e 51 del nuovo CDF, ha la funzione di garantire una efficace tutela al libero svolgimento dell’attività professionale ed ovviamente la corretta, oltre che riservata, corrispondenza tra colleghi che ne costituisce una delle caratteristiche più tipiche e frequenti. La riservatezza della corrispondenza tra avvocati è certamente da preservare e, sebbene non fosse stata espressamente esplicitata nell’art. 22, Comma 3 del vecchio CDF (ora Art. 38, comma 2, del nuovo), la portata del divieto del nuovo precetto deve intendersi estesa non solo alla registrazione, ma anche all’ipotesi in cui il telefono sia posto in viva voce per consentire ai terzi presenti di ascoltare la conversazione con il collega interlocutore.

Ciò è quanto precisato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza del 17 febbraio 2016, n. 7, pubblicata sul sito istituzionale il 22 gennaio 2017.

Il caso trae origine dal ricorso che un avvocato siciliano ha presentato al CNF per ottenere la riforma della decisione assunta dal competente Consiglio dell’Ordine che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura. Il legale infatti, ricevute delle telefonate da un collega in merito ad una controversia già in corso, aveva posto in viva voce il telefono presso il proprio studio alla presenza di terzi (nel caso di specie i clienti ed altre persone) cosicché tutti potessero ascoltare le conversazioni, senza tuttavia avvisare il proprio interlocutore di dette circostanze.

Tale comportamento era stato ritenuto dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza come una palese violazione dell’obbligo di correttezza e lealtà nei rapporti con i colleghi di cui al Codice deontologico.

L’avvocato si difendeva affermando che quanto verificatosi non potesse essere considerato quale illecito deontologico in quanto egli era stato “costretto” a tale condotta in conseguenza sia delle scorrettezze dei colleghi professionisti sia della necessità di tutelare gli interessi dei propri assistiti. Lamentava infatti il ricorrente che in tale situazione necessariamente si trovavano in conflitto due principi di deontologia cioè il “Dovere di Colleganza” ed il “Dovere di Difesa” e che pertanto il COA avrebbe dovuto, effettuando un bilanciamento tra gli stessi, garantire la prevalenza del secondo rispetto al primo.

A parere del CNF “La doglianza non coglie nel segno“. Infatti una delle caratteristiche principali della professione consiste nell’espletamento del mandato ricevuto con la necessità per il procuratore di potersi esprimere liberamente con i colleghi o con le controparti al fine di individuare e garantire la più efficace tutela degli interessi del proprio assistito senza il timore di veder strumentalizzate le proprie dichiarazioni. Dalla documentazione in atti si evinceva infatti chiaramente che il ricorrente aveva come preciso scopo quello di “screditare e delegittimare” l’attività professionale del collega e non di impedire il compimento di un reato (così come invece stabilito dalle Suprema Corte a SS.UU. n. 7072/93 in base alla quale “la registrazione e la successiva rivelazione, da parte di un avvocato, della conversazione telefonica con un collega – ignaro della registrazione- non integrano una condotta scorretta e riprovevole sul piano deontologico, ove il ricorso a detta registrazione sia avvenuto a tutela di un legittimo interesse leso o messo in pericolo dalla condotta altrui e la rivelazione del contenuto del colloquio, in quanto eseguita al fine di impedire che un reato fosse portato a compimento, non abbia arrecato un danno ingiusto”). Il CNF ha ritenuto pertanto che nel caso di specie non si potesse ritenere prevalente il dovere di difesa su quello di colleganza e pertanto le argomentazioni del ricorrente non potevano trovare accoglimento.

In conclusione secondo il CNF la sentenza emessa dal COA non incorre in alcuna censura in quanto essa è stata emessa alla luce delle risultanze probatorie acquisite e con argomentazioni giuridiche espresse con chiarezza espositiva e con coerenza sia sul piano logico che giuridico.

Il Consiglio ha rigettato il ricorso.


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Elisabetta Natali

Dottore in Giurisprudenza presso l'Università di Macerata nell' A.A. 2012/2013 con la tesi di Laurea in Diritto Civile dal titolo "CESL: un passo verso il codice civile europeo". Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Università di Macerata e si è diplomata nel 2015 con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo " Il trattamento giuridico dello straniero irregolare affetto da grave patologia" con votazione 70/70. Ha intrapreso l'attività di pratica forense presso il Foro di Fermo ultimata nel 2015. Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel settembre 2016 ed attualmente esercita la professione di Avvocato. Sta frequentando il "Corso Biennale di formazione tecnica e deontologica dell'avvocato penalista per l'abilitazione alla difesa d'ufficio" per l'anno 2015-2017.

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