Come vendere online senza Partita Iva

Come vendere online senza Partita Iva

Nell’era del digitale, e soprattutto dei social network, sempre più spesso assistiamo alla promozione e alla vendita di prodotti tramite le piattaforme online. In presenza di tali situazioni è lecito chiedersi se sia possibile vendere prodotti online anche senza Partita Iva.

Per potere rispondere a questo quesito, è opportuno però analizzare i concetti di vendita una tantum, vendita abituale e vendita occasionale.

Per vendita una tantum si intende quel tipo di vendita effettuata online, in modo del tutto episodico, attraverso cui i privati vendono oggetti di cui vogliono sbarazzarsi o prodotti homemade. Si tratta di una tipologia di vendita che non può essere certamente considerata come attività commerciale in senso stretto, stante il prezzo spesso irrisorio al quale vengono venduti gli oggetti rispetto al loro costo di acquisto. Per tale motivo, questa tipologia di vendita non pone alcun problema dal punto di vista fiscale: ciò significa che non sarà necessario aprire una Partita Iva, né sarà necessario emettere fatture, ricevute o dichiarare alcunché, trattandosi di attività non soggetta ad alcuna tassazione.

Sono diversi i portali sui quali è possibile, previa creazione di un account, mettere in vendita i propri oggetti: si tratta dei marketplace come, ad esempio, eBay, Subito.it o Facebook. I marketplace sono infatti una sorta di grandi magazzini all’interno dei quali i privati possono liberamente vendere i loro prodotti, tramite la pubblicazione di un annuncio relativo all’oggetto della vendita.

Una volta descritta la categoria della vendita una tantum, è necessario definire i confini tra la vendita occasionale e quella abituale, certamente più difficili da individuare. A tal proposito, si dovrà fare riferimento ai concetti di prestazioni occasionali e attività di impresa.

La disciplina delle prestazioni occasionali era stata introdotta dalla legge delega n. 30/2003, poi trasfusa nel decreto legislativo n. 276/2003, c.d. Legge Biagi. Ai sensi della suddetta normativa, le prestazioni occasionali si caratterizzavano essenzialmente per due requisiti: durata non superiore a 30 giorni con lo stesso committente in un anno e compenso non superiore a euro 5.000 da ogni committente. Tuttavia, questa legge è stata poi abrogata a partire dal 25 giugno 2015 con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015, uno dei decreti del c.d. Jobs Act.

Pertanto, ad oggi, l’unica disciplina di riferimento per le prestazioni occasionali è l’articolo 2222 codice civile, che riguarda il contratto di prestazione d’opera: è considerato prestatore d’opera chiunque “si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.

Del resto, la definizione di attività di vendita occasionale può individuarsi anche, a contrario, definendo l’attività di vendita abituale. A tal proposito, si dovrà fare riferimento alle definizioni di imprenditore di cui all’articolo 2082 del codice civile: è imprenditore colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o scambio di beni e servizi.

Da questa definizione normativa è possibile evincere che gli elementi identificativi di un’impresa, in generale, sono “la professionalità e l’organizzazione, intese come svolgimento abituale e continuo dell’attività e sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali”[1]. L’abitualità dell’attività si configura tutte le volte in cui la ricorrenza delle transazioni effettuate in un anno sia tale da evidenziare una certa sistematicità, regolarità e continuità delle vendite. Si tratta, infatti, di attività professionale che, come tale, ai fini della dichiarazione, andrà inquadrata tra i redditi di impresa[2], con conseguente obbligo di apertura della Partita Iva e dei relativi adempimenti fiscali.

Al contrario¸ la vendita sarà definita occasionale quando l’attività di vendita non è professionale e le transazioni hanno carattere sporadico od occasionale, cioè quando non sono abituali perché non si realizzano con continuità e ripetitività nel tempo.

Costituisce un esempio di vendita online occasionale quella effettuata dagli hobbisti, ossia quei soggetti che, per definizione normativa[3], vendono, espongono, barattano o propongono, in modo non professionale, sporadicamente ed occasionalmente, oggetti di modico valore realizzati a mano. Per oggetti di modico valore si intendono prodotti che non superano il valore di euro 250,00 (e, in alcuni casi, il valore di euro 100,00).

Dunque, l’elemento principale che identifica le vendite occasionali è, per l’appunto, la non abitualità, cioè la frequenza con cui si svolge tale attività, poco importando, invece, il limite annuo di ricavi pari ad euro 5.000 (che riguarda invece la possibilità, come vedremo nel prosieguo, di non dichiarare i compensi nella dichiarazione di redditi).

Il requisito della occasionalità viene meno, però, nelle ipotesi in cui si apre un e-commerce o un sito vetrina con esposizione di prezzi, descrizione di prodotti, servizi di spedizione e assistenza al cliente: in tali circostanze, infatti, si tratterebbe di attività organizzata, professionale e, presumibilmente, anche abituale per il cui esercizio è necessario aprire la Partita Iva.

Il soggetto che effettua prestazioni occasionali, se pur non obbligato a rilasciare una vera e propria fattura essendo sprovvisto di Partita Iva, è tenuto a rilasciare all’acquirente una ricevuta generica, cioè una quietanza di pagamento che certifichi l’avvenuta vendita. La stessa, che potrà essere rilasciata anche su un normale foglio di carta, dovrà contenere: il nome e il cognome del venditore; il nome e il cognome dell’acquirente; la descrizione del prodotto venduto; il prezzo del bene oggetto di vendita; la precisazione che si tratta di un introito derivante da una vendita occasionale; la data, il luogo e la sottoscrizione del venditore; l’apposizione di una marca da bollo di 2 euro nel caso in cui l’importo della ricevuta supera i 77,47 euro. Nel caso in cui, invece, il pagamento sia effettuato per mezzo di PayPal, a fungere da ricevuta saranno le relative notifiche di pagamento. Con riferimento alla quietanza di pagamento, si dovranno attenzionare due elementi: il primo è la data, la quale dovrà essere quella in cui effettivamente il soggetto ha ricevuto il compenso da parte dell’acquirente; il secondo è la data della marca da bollo, che dovrà essere anteriore a quella di emissione della ricevuta.

La ricevuta non fiscale, oltre ad attestare l’avvenuto pagamento della prestazione, ha anche la funzione di rendicontare i compensi percepiti, al fine di predisporre la dichiarazione dei redditi. Infatti, se da un lato lo svolgere vendite occasionali non implica necessariamente l’apertura della Partita Iva, ciò non esclude l’obbligo di dichiarare i redditi che derivano da tali vendite.

A tal proposito occorre distinguere alcune ipotesi. Se dall’attività di vendita non è derivato alcun utile, ad esempio perché si è effettuata una vendita una tantum, in qualità di privato, di un oggetto usato ad un prezzo inferiore rispetto a quello dell’acquisto, allora non ne deriverà alcun obbligo di dichiarazione. Ove, invece, l’attività di vendita occasionale abbia fruttato nel corso dell’anno dei proventi, si devono distinguere due ulteriori ipotesi. La prima riguarda il soggetto che, pur guadagnando dalle sue vendite occasionali, non percepisce ulteriori redditi rispetto ai quali sussista l’obbligo di dichiarazione e le somme ricavate dalle vendite non superano complessivamente l’importo lordo di euro 4.800,00: in tale circostanza, sarà esonerato dalla presentazione della dichiarazione di redditi[4]. In caso contrario, a prescindere dal fatto che il soggetto sia tenuto alla dichiarazione di redditi ulteriori, dovrà dichiarare i redditi percepiti dalle vendite occasionali o compilando il quadro RL, rigo RL14, del Modello Redditi Persone Fisiche, o, in caso di presentazione del Modello 730, il quadro D, rigo D5: in tal caso, avrà la possibilità di sottrarre dalle somme tassabili le spese sostenute e inerenti alla vendita, purché debitamente documentate.

Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, quindi, è possibile affermare che la vendita online è certamente possibile anche se non si ha la Partita Iva, a patto che si rispettino le condizioni precedentemente individuate.

 

 

 


[1] Cass. Civ. I Sez., 6 giugno 2003, sentenza n. 9102.
[2] La Commissione Tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza 56/06/2011 del 16 giugno 2011 aveva enunciato un importante principio di diritto, poi ribadito da altra sezione della stessa Commissione con la sentenza 03/19/2012 del 23 gennaio 2012: la nozione tributaristica di esercizio di impresa commerciale non coincide con quella civilistica perché l’art. 51 del TUIR intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non strutturate in forma di impresa, e prescinde dal requisito organizzativo, fondamentale per la qualificazione civilistica di impresa. L’attività di intermediazione effettuata su portali di vendita online qualifica, pertanto, l’attività di impresa, quando vi sia un numero rilevante di transazioni: i proventi, di conseguenza, sono redditi di impresa e non redditi diversi, anche se manca l’organizzazione.
[3] Art. 28 d. lgs. n. 114/1998.
[4] Art. 13 del D.P.R. n. 917 del 1986.

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Elena Avenia

Nata ad Agrigento nel 1994. Laureata con pieni voti e lode nel luglio del 2018, presso l'Università degli studi di Enna Kore, con una tesi in diritto processuale penale dal titolo "L'ascolto del minore nel processo penale". Diplomata nel luglio 2020 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Catania. Abilitata alla professione forense il 21 settembre 2020.

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