Commissione Europea: “Verso una governance societaria sostenibile”
E’ sempre più chiaro che l’attenzione del mercato e dei legislatori si muove verso i temi della sostenibilità dell’attività di impresa e che il tema dello sviluppo sostenibile è al centro dell’agenda delle istituzioni internazionali.
Il concetto di sviluppo sostenibile elaborato per la prima volta nel Rapporto Brundtland (primo ministro norvegese) del 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo nel testo “Our Common Future” è inteso come uno sviluppo che “soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro” e si fa sempre più spazio nel panorama aziendale. Negli ultimi anni, infatti, si parla molto della responsabilità sociale d’impresa, la quale comporta che le scelte amministrative e direttive delle imprese debbano tenere conto di una serie di aspetti quali la cura dell’ambiente, i diritti dei dipendenti, i diritti umani ed i diritti dei consumatori. Secondo questa nuova ottica non si considera più solo la determinazione di profitti a breve termine e la realizzazione esclusiva degli interessi degli azionisti, ma anche questi altri aspetti.
Dal 1987 ad oggi infatti si è assistito sia ad una maggior compenetrazione tra impresa e successo sostenibile sia ad una evoluzione della concezione di società e di agire amministrativo emersa nel contesto nazionale ed internazionale. Lo si evince anche dal Codice di autodisciplina 2020 che al principio n.1 individua il successo sostenibile come guida dell’azione degli amministratori affermando che ”l’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile, ossia la creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.
L’autodisciplina in particolare ha svolto un ruolo centrale in chiave di sostenibilità, infatti, il nuovo codice attribuisce la responsabilità di integrare gli obiettivi di sostenibilità nel piano industriale, nel sistema di controllo e nella gestione dei rischi e nelle politiche di remunerazione.
Ad oggi, l’impresa guarda ad una dimensione più ampia: non solo il suo scopo non ruota più soltanto intorno al profitto, inteso come auspicabile prodotto della ragion d’essere dell’impresa, ma non si identifica nemmeno più integralmente in essa. Questa impostazione non si contrappone alla funzionalizzazione del perseguimento dell’interesse lucrativo dei soci ma arricchisce la platea degli interessi che dovrebbero essere considerati dagli amministratori nella definizione delle strategie e nella attività di approvazione del piano industriale. Un ruolo centrale è infatti attribuito al dialogo degli azionisti e agli altri stakeholder rilevanti per la società in quanto ciò rappresenta il canale con cui l’organo amministrativo conosce gli interessi degli stakeholder e ne valuta la rilevanza al fine di perseguire l’obiettivo del successo sostenibile dell’impresa.
Nel panorama europeo, questo indirizzo è già stato introdotto da due direttive:
– la direttiva 2014/95/UE – sulle informazioni di carattere non finanziario – che ha introdotto una prima estensione degli interessi, di cui gli amministratori devono tenere conto, ed un possibile ampliamento del perimetro dei loro doveri fiduciari. Infatti gli obblighi informativi, imposti circa la gestione dei rischi ambientali e sociali legati all’attività di impresa, comportano la necessità che gli amministratori considerino i temi di sostenibilità come componente strutturale delle strategie aziendali sia sotto il profilo della opportunità di crescita sia sotto il profilo della di gestione dei rischi. L’effetto di questo obbligo informativo, opportunatamente graduato dal principio di materialità dei fattori ambientali e reso flessibile dall’introduzione del principio “comply or explain”, ha contribuito alla responsabilizzazione dei consigli di amministrazione, la quale deve essere adeguata alla considerazione di tali fattori.
– la direttiva 2017/828/UE – sui diritti degli azionisti – che si collega al prospettiva di lungo termine con il concetto di sostenibilità anche ambientale dell’impresa. Questa disciplina si riflette soprattutto sulla politica di remunerazione degli amministratori per cui il legislatore europeo ha definito i criteri che dovrebbero orientare l’informazione sulla effettiva erogazione dei compensi degli amministratori stessi. La direttiva ha imposto alle società quotate di rendere nota al variazione annuale degli amministratori rispetto alla performance della società e alla retribuzione dei suoi dipendenti.
La Commissione Europea quindi ha il chiaro obiettivo di muoversi verso una regolamentazione europea sulla governance societaria sostenibile, attuando gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite attraverso il progetto dello European Grean Deal ed il Piano di investimenti per un Europa sostenibile: l’intento è quello di raggiungere la neutralità climatica nel 2050 e finanziare la transizione green in ambito europeo.
Di recente, per realizzare questo obiettivo, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica, la Inception Impact Assessment, Legislative and possibile guidance Q2021 – dal mese ottobre 2020 al mese di febbraio 2021, avente ad oggetto la revisione di alcune direttive europee – la direttiva europea sul diritto societario 2017/1132/UE e la direttiva sul diritto degli azionisti 2007/36/UE modificata recentemente dalla direttiva 2017/828/CE) – per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Nell’ambito di tale consultazione, la Commissione ha riportato uno studio di Ernest&Young secondo cui negli ultimi trent’anni, le società quotate in borsa nell’UE hanno privilegiato la creazione di valore a breve termine per gli azionisti – tramite la distribuzione di dividendi e le operazioni di buy back – complessivamente dal 20% al 60% degli utili a scapito degli investimenti in conto di capitale e in ricerca e sviluppo – il cui peso rispetto agli utili è diminuito rispettivamente del 45% e del 38%. A fronte di questi risultati, lo studio sostiene la necessità di un intervento politico dell’UE per estendere l’orizzonte temporale del processo decisionale delle imprese e promuovere una governance più sostenibile definendo tre obiettivi:
– rafforzare il ruolo di amministratori nel perseguire l’interesse a lungo termine dell’impresa;
– integrare la sostenibilità nella strategia e nel processo decisionale dell’impresa;
– promuovere pratiche di governance societaria che attribuiscano alla sostenibilità dell’impresa con interventi sulle politiche di remunerazione, sulla composizione del Cda e sul coinvolgimento di portatori di interessi.
Anche il Parlamento Europeo si è espresso in tal senso ed ha approvato una risoluzione[1] in cui chiede alla Commissione Europea di presentare la proposta di una direttiva sull’obbligo di dovuta diligenza (la cd. due diligence), chiedendo forme di tutela risarcitoria per i soggetti danneggiati, sanzioni per le aziende inadempienti, e l’istituzione di autorità nazionali responsabili di vigilare. La direttiva infatti dovrebbe garantire che le grandi, piccole e medie imprese quotate in borsa e quelle ad alto rischio, che operano nel mercato interno, adempiano al loro dovere di rispettare l’ambiente e non producano impatto con le loro attività o quelle direttamente legate alle loro operazioni. Dato che, secondo lo studio presentato dalla Commissione, solo il 37% delle imprese dell’UE ha adottato modelli di due diligence in materia di ambiente, il Parlamento Europeo ha sottolineato la necessità di rafforzare i requisiti europei per le imprese al fine di prevenire abusi dei diritti umani e danni ambientali e fornire alle vittime l’accesso ad adeguati rimedi. L’iniziativa del Parlamento trae origine da una situazione normativa molto diversificata all’interno dell’Unione, infatti mentre in alcuni stati, come la Francia e l’Olanda sono state già adottate legislazioni sul dovere di diligenza delle imprese, in altri, come la Germania, la Finlandia ed il Lussemburgo, si sta ancora valutando la possibilità di emanare norme simili. Il futuro quadro normativo obbligherà tanto le imprese di individuare, valutare e prevenire gli effetti negativi che possono scaturire dalle loro attività e dalle loro “catene del valore” sui diritti umani (sociali, sindacali e del lavoro) e sull’ambiente.
La novità di fonte europea più rilevante quindi è sicuramente la previsione dell’obbligo delle società che abbiano più di 5000 dipendenti di pubblicare una Dichiarazione sulle informazioni di carattere non finanziario, funzionale ad assicurare la piena comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento dei suoi risultati e dell’impatto della sua attività fornendo informazioni di carattere ambientale (oltre che sociale, attinenti al personale, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione tenendo conto delle caratteristiche e dell’attività di impresa).
Ultimamente è stata pubblicata una proposta di direttiva europea, la cd. Corportate Sustainability Directive (CSDR) 2021/0104 del 21 aprile 2021, che andrà ad aggiornare la regolamentazione in materia di bilancio (direttiva 2013/34/EU) e di non financial disclosure (direttiva 2004/109/CE, a sua volta emendata dalla Direttiva Barnier). Tale proposta di direttiva comporterebbe un’importante estensione della compagine dei soggetti che sono tenuti a redigere una DNF (Dichiarazione Non Finanziaria). Infatti ad oggi solo gli “enti di interesse pubblico” con più di 500 dipendenti e che abbiano superato determinati limiti dimensionali (totale dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro e totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 milioni di euro) sono tenuti a predisporre una DNF.
Con la proposta di CSDR ci sarà un’estensione dell’obbligo di rendicontazione di informazioni sulla sostenibilità anche:
– alle società quotate su mercati regolamentati Europei, ma che abbiano meno di 500 dipendenti, includendo in questo modo anche numerose PMI;
– alle società di grandi dimensioni (quindi quelle con una media di almeno 250 dipendenti occupati nell’esercizio), anche se non quotate.
Da ciò si evince che qualora la direttiva venga approvata anche le grandi imprese non quotate avrebbero l’obbligo di predisporre una DNF, rendendo partecipi gli stakeholder dei principali aspetti della propria politica e dei risultati in termini di ESG. L’obbligo non verrebbe però esteso alle PMI non quotati ed alle microimprese, in quanto ad esse verrebbe riservata la possibilità di optare per informative volontarie utilizzando standard proporzionati alle loro caratteristiche.
Gli standard oggettivi e accreditati (da terze parti) che le imprese adotterebbero sarebbero di fondamentale importanza per tutte le imprese in quanto fornirebbero una serie di informazioni ai soggetti con cui intrattengono rapporti, quali clienti, banche, assicurazioni ed istituzioni. Ciò consentirebbe alle aziende di attirare nuovi investimenti ed a favorire quel processo di transizione ecologica delineata dal Green Deal europeo, godendo anche di un consistente vantaggio competitivo.
E’ possibile notare che le aziende francesi, olandesi ed inglesi sebbene con modelli diversi si spingano in questa direzione in quanto essere sostenibili conviene poiché riduce il rischio di impresa anche attraverso una internalizzazione dei costi preventiva ed anche attraverso la creazione di maggior valore a lungo termine. La riduzione del rischio di impresa comporta la minore possibilità che si possano verificare eventi dannosi o quantomeno la possibilità che questi possano essere arginati: ciò crea più sostegno ed affidamento nei confronti degli stakeholder ed una migliore reputation aziendale. In un certo senso è come se ci fosse un legame tra sostenibilità rischio e valore d’impresa in quanto le imprese che integrano nelle loro scelte di business i profili di sostenibilità sono caratterizzate da un grado di rischio inferiore e da una più elevata profittabilità nel lungo termine. E’ proprio nell’interesse delle imprese effettuare una incentivazione verso una più matura considerazione della sostenibilità.
Bibliografia:
F. Ballucchi, K. Furlotti, La responsabilità sociale delle imprese, “Un percorso verso lo sviluppo sostenibile, Torino”, 2019.
Rapporto Assonime, 18 marzo 2021, “Doveri degli amministratori e sostenibilità”.
Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese (2020/2129(INL).
Sitografia:
https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/2020.pdf
https://www.roedl.it/it/temi/legal-newsletter/6-2021/dichiarazione-non-finanziaria-verso-estensione-obbligo-pmi-quotate
[1]Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese.
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Fabiana Manco
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