Compare con l’amante in un video musicale: casa discografica condannata a pagare i danni

Compare con l’amante in un video musicale: casa discografica condannata a pagare i danni

Corte d’appello di Napoli, sent. 5 ottobre 2016, n. 3546

Cass. civ., Sez. I, 25 novembre 2021, n. 36754

 

Sommario: 1. La vicenda – 2. Il diritto all’immagine – 3. La decisione

1. La vicenda

La vicenda prende le mosse dalla diffusione di un video musicale di un noto cantante napoletano nel quale viene ripresa una signora che, durante le registrazioni, si trovava a passeggio per le vie di Napoli in compagnia dell’amante. Quest’ultima, non avendo prestato il consenso alla diffusione del suddetto video, citava in giudizio la casa discografica affinché questa venisse condannata al risarcimento del danno per la mancata possibilità di trarre un utile economico dal consenso alla diffusione della propria immagine e per la lesione del diritto alla riservatezza, reputazione e immagine, compromessa dalla notevole diffusione del videoclip musicale dovuta sia alla notorietà del cantante sia alla vendita del relativo DVD in omaggio ad un noto settimanale.

2. Il diritto all’immagine

Al fine di rendere l’esposizione quanto più esaustiva, si rende necessario offrire un quadro normativo del diritto all’immagine oggetto della vicenda che qui interessa.

Secondo un’interpretazione “personalista” dell’art. 2 della Costituzione, norma tutelante l’individuo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, il diritto all’immagine costituirebbe espressione del più elevato diritto della personalità: più in particolare rappresenta una species del genus del diritto all’identità personale.

Il diritto all’immagine mira a tutelare l’interesse del soggetto a che la sua immagine non venga diffusa o esposta pubblicamente e trova la propria disciplina normativa nell’art. 10 c.c. e negli artt. 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941). In particolare, mentre in virtù dell’art. 96, l’esposizione, la pubblicazione o la messa in commercio dell’immagine di una persona è illegittima ove questa non abbia prestato il proprio consenso, la necessità di quest’ultimo requisito viene meno, ai sensi dell’art. 97, ove la riproduzione dell’immagine risulti giustificata da una serie di circostanze quali: la notorietà; l’ufficio pubblico coperto; la necessità di giustizia o di polizia; scopi scientifici, didattici e culturali; il collegamento a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

L’art. 97 ultimo comma vieta in ogni caso l’esposizione o la messa in commercio dell’immagine senza il consenso della persona interessata quando ciò rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della stessa.

Con riferimento al consenso del soggetto interessato occorre specificare che lo stesso non ha ad oggetto il diritto all’immagine ex se, ma più propriamente il suo esercizio. Sul punto la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che “il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine ma soltanto l’esercizio di tale diritto, sicché, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, il consenso resta distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene ed è sempre revocabile, qualunque sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita ed a prescindere dalla pattuizione convenuta, che non integra un elemento del negozio autorizzativo” (cfr. Cass. civ. n. 1748/2016).  Occorre inoltre evidenziare sul punto che la vigente normativa di settore non subordina la validità del consenso prestato dalla persona interessata al rispetto di vincoli formali: in altri termini, il consenso alla diffusione dell’immagine potrà essere dichiarato espressamente oppure dedotto implicitamente o tacitamente dal comportamento della persona interessata, purché inequivocabile e non diversamente interpretabile.

Soggetti legittimati a far valere in giudizio la protezione del diritto all’immagine sono, non soltanto, la persona interessata, sia essa fisica o giuridica, ma anche i familiari o parenti più prossimi come coniuge, genitori o figli in applicazione del principio di solidarietà familiare.

Laddove ricorra la violazione del diritto all’immagine, il soggetto interessato o detti congiunti, potranno ottenere tanto l’ordine inibitorio di cessazione dell’abuso che il risarcimento dei danno patrimoniali e non patrimoniali.

In conclusione di questo breve excursus normativo è doveroso aggiungere che l’immagine personale, oltre a costituire espressione della personalità di ogni individuo e in quanto tale da tutelare in ragione del rilievo costituzionale assunto ai sensi dell’art. 2 Cost., può coincidere con la definizione di dato personale e perciò assoggettato alla recente normativa in tema di trattamento dei dati personali di cui al Reg. 679/2016, anche noto come GDPR, recepito nel nostro ordinamento grazie al D.lgs. 101/2018 che è andato a modificare il D.lgs. 196/2003 (Codice Privacy). Ed in effetti, già il Codice Privacy all’art. 4 lett. b) definiva il dato personale come “(…) qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione (…)”, ricomprendendovi, implicitamente, anche l’immagine personale. Nonostante l’intervento del GDPR, la definizione di dato personale non ha subito modificazioni: all’art. 4 del Regolamento, infatti, definisce il dato personale come “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identifi­cativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale (…)”.

3. La decisione

Con riferimento al caso di specie, il Tribunale di Benevento rigettava la domanda di parte attrice ritenendo che, il consenso della stessa all’uso della sua immagine, doveva ritenersi presunto alla luce della presenza sul luogo di un allestimento scenografico e della consapevolezza della stessa di essere ripresa, come evincibile dallo sguardo della stessa rivolto alla videocamera. Lo stesso organo giudicante, aggiunge inoltre che, nel caso di specie, il consenso non era comunque necessario riconducendo il fatto alla circostanza di cui all’art. 97 Legge n. 633/1941 in virtù del quale “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è (…) collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”.

Di avviso opposto la Corte d’Appello di Napoli che con sentenza – confermata dalla Cassazione – ha accolto l’impugnazione presentata dalla Signora. In particolare, i giudici del gravame, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 10 c.c. e 97 L. 633/1941, hanno ritenuto illegittima la divulgazione dell’immagine rilevando:

– la necessità del consenso della persona interessata: la registrazione di un video musicale, sebbene realizzata nelle vie pubbliche di una città, non è annoverabile tra gli avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltosi in pubblico di cui all’art. 97 atti ad escludere la tutela del diritto alla riservatezza, alla luce dello scopo prettamente commerciale che la stessa persegue;

– l’assenza del consenso della persona interessata che non può ritenersi presunto: non soltanto, infatti, dalle risultanze probatorie è emersa la mancanza di qualsivoglia tipo di allestimento scenografico dal quale poter desumere la presenza di riprese, ma detto consenso alla ripresa e alla diffusione non poteva rinvenirsi nello sguardo fugace della Signora, frutto di <<mera curiosità verso la telecamera>>.

Sulla scorta di dette considerazioni, la Corte d’Appello ha ritenuto che la rivelazione della relazione extraconiugale della Signora attraverso l’illegittima diffusione del videoclip musicale le abbia inevitabilmente arrecato turbamento d’animo e sofferenza, aggravata dall’ampia diffusione di detto video, dalla notorietà del cantante e dal contesto di residenza e provenienza della donna.

Per detti motivi la casa discografica è stata condannata al risarcimento del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale ai sensi, rispettivamente, degli artt. 2059 c.c. e 2043 c.c.: la stessa, attraverso l’illegittima diffusione, avrebbe infatti violato il diritto all’immagine della signora e del danno patrimoniale  avendo ottenuto indebitamente un vantaggio economico che sarebbe spettato alla vittima quale compenso dovuto per il consenso alla pubblicazione.


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Francesca Moncini

Abilitata all'esercizio della professione forense; Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa.

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