Compravendita di immobile stipulata e non trascritta: opponibile al terzo
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in merito all’opponibilità o meno al creditore, il quale abbia iscritto ipoteca su un immobile, dell’appartenenza del medesimo bene al fondo patrimoniale, qualora l’iscrizione sia successiva all’alienazione del bene ma anteriore alla trascrizione dell’atto di compravendita.
Con la sentenza n. 21385/2018, i giudici di legittimità hanno ribaltato la pronuncia della corte territoriale, giungendo a conclusioni opposte mediante il ricorso al principio consensualistico in luogo di quello dell’anteriorità della trascrizione a fini dichiarativi.
Procediamo con ordine esponendo i fatti di causa.
Nel dicembre 2003 due coniugi costituiscono, con atto pubblico trascritto nei pubblici registri ed annotato a margine dell’atto di matrimonio, un fondo patrimoniale in cui hanno ricompreso un dato immobile.
In data 05 aprile 2004, i medesimi trasferiscono la proprietà del detto bene ad un terzo; tuttavia, l’atto di compravendita viene trascritto nei pubblici registri soltanto il successivo 20 aprile.
Due giorni dopo la stipula dell’atto di alienazione, ossia il 07 aprile 2004, in forza di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale nei confronti dei coniugi, in qualità di fideiussori, la banca creditrice iscrive un’ipoteca giudiziale sul predetto immobile.
Avverso l’atto di pignoramento, notificato anche all’acquirente, quest’ultimo propone opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.
L’opposizione viene accolta in primo grado e poi confermata nel giudizio di appello.
La banca creditrice propone, dunque, ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che ha statuito in merito all’opponibilità alla banca del vincolo derivante dall’appartenenza dell’immobile, oggetto di ipoteca, al fondo patrimoniale dei coniugi.
Come si ricorderà, il fondo patrimoniale rientra nel novero delle convenzioni matrimoniali e costituisce, ai sensi dell’art. 167 del codice civile, un istituto mediante il quale i coniugi istituiscono un fondo in cui decidono di far confluire beni mobili ed immobili e titoli di credito, destinati esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni familiari.
Il nostro ordinamento prescrive che i beni che fanno parte del fondo non possono essere assoggettati ad esecuzione forzata per debiti contratti per scopi estranei alla famiglia, fatta salva la possibilità per il creditore di proporre azione revocatoria mediante prova del pregiudizio subito a seguito della costituzione del fondo da parte dei coniugi.
La Suprema Corte, nell’accogliere il motivo del ricorso in quanto fondato, ha rilevato che nel caso di specie vige il principio consensualistico ex art. 1376, in virtù del quale il contratto produce i suoi effetti con il semplice consenso delle parti legittimamente manifestato e, pertanto, non deve farsi ricorso al criterio dell’anteriorità o meno della trascrizione dell’atto dispositivo.
Il principio consensualistico, all’uopo, necessita di essere coordinato con quello dell’efficacia meramente dichiarativa, non già costitutiva, della trascrizione relativa agli atti elencati dall’art. 2643 c.c.
Invero, nel ribadire che la finalità dell’art. 2644 c.c., che disciplina gli effetti della trascrizione, è quella di apprestare una tutela al terzo per preservarlo da eventuali effetti pregiudizievoli di un atto nell’ipotesi di pluralità di acquirenti del medesimo bene, ha chiarito che il venditore non può invocare la mancata trascrizione dell’atto, avente funzione dichiarativa, al fine di determinarne l’inopponibilotà nei confronti del terzo.
In tal modo, invero, il precetto della citata norma finirebbe per assolvere una funzione opposta a quella sua propria, recando così pregiudizio al terzo estraneo al rapporto.
La Cassazione ritiene che l’inopponibilità dell’atto operi qualora al terzo derivino effetti pregiudizievoli e che la mancata tempestiva trascrizione nei pubblici registri non osti alla possibilità che il terzo possa avvalersi degli effetti dell’atto, se per lui favorevoli.
E’ stato precisato che, nel caso in esame, il contratto di alienazione rileva quale atto favorevole al creditore, giacché ha determinato la fuoriuscita del bene dal fondo patrimoniale dei coniugi; a ciò ha fatto seguito la sopravvenuta inefficacia dei relativi vincoli dettati dalla normativa codicistica.
Con la citata sentenza la Suprema Corte ha stabilito che, anche nell’ipotesi di mancata trascrizione, la banca, in virtù del semplice consenso delle parti contrattuali, possa giovarsi degli effetti favorevoli derivanti dalla stipula dell’atto di compravendita, statuendo, pertanto, l’inopponibilità al terzo dell’appartenenza dell’immobile al fondo patrimoniale.
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Cinzia Picone
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