Concorso Aeronautica Militare, esclusione illegittima: “imputato” solo con giudizio di un giudice terzo
T.A.R. Lazio – Roma, sez. I-bis, 7 luglio 2017, n. 8065 Pres. Anastasi – Est. Vitanza
a cura dell’Avv. Giacomo Romano
Il ricorrente partecipava, superandolo, il concorso per l’arruolamento di trenta ufficiali in ferma prefissata nell’Aeronautica Militare. Al termine del corso di formazione lo stesso prestava giuramento e veniva assegnato, dal 27 giugno 2014, all’aeroporto di Amendola.
Successivamente la p.a. comunicava al ricorrente di aver avviato un procedimento amministrativo volto all’esclusione, ora per allora, dal concorso per l’ammissione al 5° corso Allievi Ufficiali in ferma prefissata, per difetto dei requisiti di partecipazione.
In particolare la p.a. contestava al ricorrente lo status di imputato in un procedimento penale perché lo stesso è risultato rinviato a giudizio, con citazione diretta, già a far data dal 26 marzo 2009 e tale evenienza non era stata neppure indicata al momento della domanda.
Pertanto, alla luce di tale pregiudizio, il ricorrente risultava privo, ab origine, del requisito richiesto dall’art. 2, comma 1, lettera g, in uno con l’art. 16 del bando.
Lo stesso depositava le previste controdeduzioni, cui seguiva il provvedimento di esclusione dal concorso e dalla ferma. Avverso tale negativa determinazione reagiva il ricorrente con ricorso giurisdizionale e contestuale istanza per l’adozione di misure cautelari.
In data 19 febbraio 2015 il Tribunale di Chieti assolveva il ricorrente dal reato ascritto per non aver commesso il fatto. La decisione veniva, in prossimità dell’udienza camerale e con successiva memoria, partecipata al Tribunale.
Tuttavia, alla camera di consiglio del giorno 31 marzo 2015 il Collegio, con ordinanza n. 1444/2015, respingeva la chiesta misura cautelare “Rilevato che non appare dubitabile in fatto che, al momento della partecipazione del ricorrente alla procedura di che trattasi, questi non possedesse il prescritto requisito in quanto imputato in procedimento penale, circostanza peraltro non dichiarata dal ricorrente in sede di partecipazione e che, quindi, risulta inconferente la successiva favorevole definizione per il ricorrente del procedimento penale in questione dovendosi riferire il controllo del possesso dei prescritti requisiti al momento della partecipazione alla selezione”.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare n. 2296/15, respingeva l’appello cautelare avverso la citata Ordinanza, rinviando al merito ogni decisione circa la legittimità, anche costituzionale, dell’art. 635 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
La questione sottoposta allo Scrutinio del Tribunale, invero, coinvolge una pluralità di questioni, anche di rilevanza costituzionale: dal principio di non colpevolezza, alla ragionevole durata del processo, della pari dignità sociale ed alla tutela del lavoro.
Il quesito che, in buona sostanza, emerge dai motivi di gravame è quello se la successiva e piena assoluzione del ricorrente in un procedimento penale possa assumere positiva valenza in un contesto concorsuale già definito ed in cui il predetto, a mente della legge speciale di concorso, espressione di una norma primaria, non avrebbe avuto titolo per partecipare alla selezione proprio in relazione al suo status di imputato.
L’attuale sistema processuale amministrativo, anche alla luce delle norme del codice di rito e, segnatamente, proprio dalla dizione dell’art. 1 c.p.a. vigente, vive un momento di trasformazione ontologica che, dal tradizionale giudizio sulla legittimità dell’atto, passa al giudizio sul rapporto.
Invero si tratta di un processo ancora in divenire, ma che ha assunto connotati ben definiti già in alcuni arresti giurisprudenziali adottati proprio per garantire al cittadino una tutela effettiva e conforme alla Carta ed alle norme del diritto europeo.
Ora, tale evenienza si è presentata proprio nelle situazioni analoghe a quella oggetto del presente scrutinio ove si sono confrontate diverse ed antitetiche posizioni giurisprudenziali che hanno portato, in alcuni casi, ad una minuziosa e certosina ricostruzione del dato fattuale proprio per risolvere, nel senso anzidetto, la questione processuale.
Invero, proprio la medesima Sezione ha, in più occasioni statuito che, la sentenza di assoluzione sopravvenuta, comporta il venir meno del difetto del requisito previsto per la partecipazione al concorso, qualora intervenga prima della conclusione della procedura concorsuale e, comunque, sino all’approvazione della graduatoria o comunque prima dell’adozione del provvedimento di esclusione dal concorso e/o di decadenza dalla graduatoria concorsuale e/o di decadenza dalla ferma, “atteso che appare irragionevole impedire ad un soggetto non più imputato al momento della definizione della procedura concorsuale l’immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito una volta superata positivamente la procedura selettiva propedeutica all’immissione in ruolo” (TAR Lazio, sez. I bis, n. 11864 del 26/11/2014 e n. 7760 del 21/07/2014; 770/2013; 4497/2011).
Con un orientamento ancora più sostanzialistico il Consiglio di Stato ha ritenuto che: “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso – come nella specie – sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa” ( Cons. St., Sez. IV, n.965/2015), insegnamento questo ripreso anche dalla Sezione del Tribunale capitolino: “Al riguardo, va richiamato l’opposto orientamento dell’ormai consolidata giurisprudenza in materia, che ritiene che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 non consenta di configurare alcun “automatismo espulsivo”, con efficacia vincolante per l’autorità procedente, la quale è tenuta a prendere in considerazione il complesso di circostanze intervenienti ed anche successive, in particolare l’assoluzione dell’interessato, ancorché successiva al provvedimento impugnato” (TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 9953/2016).
In tale prospettiva è stato sostenuto o che, anche una lettura costituzionalmente orientata all’art. 3, 27 e 97 Cost. delle disposizioni concorsuali, delle direttive ministeriali nonché della normativa regolatrice del concorso (id est, art. 4 della legge 23/8/2004, n. 226 ed art. 635 del c.o.m.), comporta che, nel caso in cui l’Amministrazione si è determinata con provvedimenti esclusivi, comunque successivi alla sentenza assolutoria del ricorrente, difettasse, in concreto, il presupposto di fatto e di diritto indicato nelle citate fonti per disporre, nei confronti del militare, ogni decadenza.
Di contrario avviso sono, invece, alcuni arresti del giudice di appello e della Sezione in cui la prevalenza del principio della par condicio competitorum comporta che i previsti requisiti di partecipazione al concorso devono sussistere al momento della presentazione domanda, e vanno perciò verificati anche successivamente alla definizione del concorso, così che la successiva assoluzione dalla contestazione penale costituisce une mero dato fattuale irrilevante ai fini della rimeditazione della esclusione e valutabile solo ai fini di una eventuale autotutela discrezionale per una successiva ammissione del candidato ai successivi concorsi (TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
Ciò detto, il Collegio ha ritenuto che la questione in esame andasse rimeditata alla luce delle previsioni costituzionali, ma non nel senso proposto dalle decisioni sopra riportate che, in definitiva, hanno comportato una interpretatio abrogans dell’art. 635 e 638 del D.L. cit., ma operando una interpretazione coerente e penetrante del dettato normativo nel suo contesto sistematico.
L’art. 635, co. 1, lett. g) del d.lvo n. 66/2010 – così come riprodotto nell’art. 2, comma 1, lettera g, in uno con l’art. 16 della lex specialis, prevede, tra i requisiti generali per il reclutamento nelle Forze Armate, anche quello di “non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”.
L’art. 638 del d.lvo n. 66/2010 recepisce un principio generale in materia di concorsi pubblici che prevede, nell’ipotesi di mancanza dei requisiti successivamente accertata, la decadenza di diritto.
Ora, il concetto di imputato è mutuato dalla previsione di cui all’art. 60 del c.p.p. che è rubricato, proprio: “assunzione della qualità di imputato” ed il cui articolato prevede sei ipotesi in cui tale status si acquista.
In realtà la finalità e la funzione dell’istituto nel contesto processual penalistico ha una propria logica e puntuali scopi che non possono essere, per le ragioni che di seguito si esporranno, trasferiti sic et simpliciter nel contesto amministrativo.
La connotazione prevalente e prioritaria dell’istituto in ambito penale non è solo quella morfologica e/o formalistica, ma assume un peculiare significato in termini di garanzia e di salvaguardia dei diritti della persona.
Infatti, è lo stesso art. 61 del codice di rito che, estendendo tali garanzie e diritti all’indagato, implicitamente riconosce la esistenza di tali posizioni giuridiche in capo all’imputato.
In altri termini allo status di imputato inferiscono peculiari e significative tutele inderogabili e non comprimibili.
Trasferire nel contesto amministrativo l’istituto in questione in forza del solo aspetto nominalistico, costituisce, a parere del Collegio, una forzatura sistematica.
I diversi interessi, anche di natura costituzionale, coinvolti nella vicenda amministrativa impongono, proprio per una lettura della norma teleologicamente orientata, adeguati adattamenti ermeneutici funzionali alla ratio della norma che è quella di impedire l’ingresso nella compagine militare di aspiranti i cui precedenti comportamenti sono connotati da sicuro disvalore sociale (condanna penale), ovvero da probabile valenza penalistica (imputati).
Ora, la disamina dell’art. 635 cit. evidenzia che il legislatore, consapevole dei delicati interessi in gioco, non si è accontentato della mera iscrizione del fatto reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., ma ha richiesto l’esistenza di fatti di rilevanza penale aventi una obiettiva consistenza debitamente documentata.
La evenienza paradigmatica e di sicura portata escludente è la condanna penale, proprio perché il giudizio è un actus trium personarum, in cui la imputazione, nei termini formulata dal pubblico ministero, è vagliata e ponderata da un soggetto terzo.
Ora, anche lo status di imputato quale condizione escludente, deve, nel contesto amministrativo, seguire tale prospettiva.
La disamina delle sei ipotesi indicate dall’art. 60 c.p.p., consente di formulare alcune essenziali osservazioni proprio in relazione al modello di processo penale sopra riportato.
Infatti, ad eccezione della prima e della quarta ipotesi, le altre prevedono l’acquisizione dello status di imputato senza la intermediazione ed il vaglio del fatto asseritamente reato da parte del giudice.
In realtà, anche la prima e la quarta ipotesi, invero, risentono della precipua funzione di garanzia dell’istituto perché anticipano l’acquisto dello status di imputato ad una fase antecedente allo scrutinio del giudice.
In particolare nella prima ipotesi (assume la qualità di imputato … la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio…), la successiva valutazione del giudice può condurre anche alla dichiarazione di non luogo a procedere (art.425 c.p.p.), così che l’originaria qualifica di imputato si estingue prima e fuori dal processo.
Lo stesso dicasi anche nella ipotesi di applicazione della pena a norma dell’art. 447.
In tal caso il dissenso del giudice comporta la caduta dell’imputazione, così che gli atti tornano al requirente ed il soggetto riacquista lo status di indagato, impregiudicato ogni successivo esito del procedimento.
Allora, l’interpretazione corretta e sistematica dell’istituto in questione come trasportato nel contesto amministrativo, non può prescindere dalla disamina del fatto asseritamente reato ad opera di un soggetto terzo che preliminarmente valuti le prove al riguardo raccolte come idonee a sostenere l’accusa (art. 425 c.p.p.).
Quindi il concetto di imputazione utilizzabile in ambito amministrativo è necessariamente diverso, o meglio, ridotto rispetto a quello penale, proprio perché in tale ambito risultano significativi i principi costituzionali sopra ricordati che possono essere compressi, nel necessario bilanciamento dei contrapposti interessi, solo quando il fatto contestato ed oggetto di scrutinio penale, è stato preventivamente valutato da un giudice terzo che ha ritenuto sussistente il fumus del commissi delicti da parte del candidato.
Allora la previsione normativa di cui all’art. 635 D.L. cit. risulta, nei termini ermeneutici sopra ricordati, da un lato coerente con il sistema, dall’altro, però, non tiene in debito conto delle evenienze cautelari disposte dall’A.G., ovvero da questa validate in caso di arresto in flagranza o fermo di p.g., proprio perché tali evenienze non comportano, a differenza dell’art. 78 del codice di procedura penale del 1930, l’assunzione della qualità di imputato, malgrado il fatto reato sia stato, sia pure interinalmente, scrutinato da un giudice terzo.
Quindi, a prescindere dalla rilevata lacuna sistematica, che in mancanza di una puntuale previsione normativa non può assumere alcuna valenza giuridica per la esclusione di un candidato, l’asserita mancanza dei prescritti requisiti e, segnatamente quello di essere imputato, può intervenire solo quando l’imputazione è conseguente allo scrutinio del fatto da parte di un giudice terzo.
Pertanto, nel caso di specie, il ricorrente è risultato imputato a seguito di Decreto di citazione diretta a giudizio (art. 550 c.p.p.) da parte del pubblico ministero.
Si tratta, cioè, di una ipotesi accusatoria soggetta al solo vaglio dell’ufficio inquirente senza alcuna mediazione del giudice, il quale interloquisce nella sola fase dibattimentale.
Sul punto un’ultima considerazione.
Il codice di rito del 1989 ha sensibilmente ed incisivamente modificato la tradizione struttura inquisitoria del processo penale trasformandolo in una articolazione accusatoria: un processo di parti contrapposte ed equiordinate.
L’Ufficio del pubblico ministero è, nell’attuale sistema, uno dei soggetti del processo e, contestualmente, una parte dello stesso, cui sono assegnati significativi e singolari poteri finalizzati a sostenere l’accusa in giudizio.
Inoltre, la struttura gerarchica (attenuata) dell’Ufficio mal si concilia, pertanto, con la funzione di valutazione dei fatti secondo parametri di terzietà.
E’ significativo che sinanche la posizione dei rispettivi banchi (accusa e difesa) ha subito, nella scenografia dell’aula di udienza, una metamorfosi imponendo soluzioni simmetriche (art. 146 disp. Att.).
Allora, il concetto di imputato, cui consegue la esclusione del candidato, richiede una più attenta valutazione e deve essere attestato solo quando sul fatto è intervenuto il giudizio di un giudice terzo.
Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, il ricorso è stato accolto ed è stato annullato l’atto escludente.
Per ulteriori approfondimenti:
Lo status di imputato come condizione ex lege impeditiva per il reclutamento nelle forze armate
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Avv. Giacomo Romano
Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.