Concorso formale tra delitto di peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione
La Cassazione ha affermato che è configurabile il concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione trattandosi di reati che si differenziano per struttura ed offensività.
1. Decisione della Corte d’appello. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva confermato la condanna in capo all’amministratore unico di una Srl partecipata per i reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria.
All’imputato era stato contestato di essersi appropriato di oltre un milione di euro, mediante l’emissione a sé stesso di numerosi assegni bancari ed il mancato versamento di somme di denaro contante derivanti da alcuni incassi.
Ciò è stato possibile avendo egli, per ragioni del suo incarico, la disponibilità di somme della società provenienti dai ricavi gestionali della stessa.
Per la medesima condotta, gli era stato anche addebitato di aver distratto somme della società, causando un grave dissesto economico, sfociato nella sentenza dichiarativa di fallimento.
Era stato, altresì, accusato di aver reimpiegato parte rilevante del denaro sottratto indebitamente, destinandolo al rimborso o all’estinzione di rate e di strumenti finanziari nonché, di avere cagionato il dissesto della società, attraverso false comunicazioni sociali, in particolare mediante falsi bilanci societari.
2. Ricorso per Cassazione. Il difensore dell’imprenditore proponeva ricorso alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, la violazione del principio del ne bis in idem e censurando la parte della decisione in cui gli era stata contestata la condotta di autoriciclaggio.
In particolare, si è evidenziata una violazione del ne bis in idem (principio in forza del quale non si può essere puniti due volte per la stessa azione) in relazione alle imputazioni per peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione, sulla base di un’identità del fatto storico.
Inoltre, il ricorrente lamentava che la Corte non avesse tenuto conto che parte delle somme indicate nell’imputazione erano state destinate al pagamento del corrispettivo delle opere di ristrutturazione dell’abitazione principale dell’imputato e, quindi, per un bene ad uso esclusivamente personale, escluso dall’ambito della punibilità dell’art. 648 ter.1 c.p.
3. Sentenza n. 14402/2021. La Corte di cassazione, con sentenza n. 14402, depositata il 16 aprile 2021, ha respinto il motivo inerente la violazione del ne bis in idem, accogliendo, per contro, la doglianza relativa all’accusa di autoriciclaggio.
In primo luogo, gli Ermellini hanno ammesso la legittima configurabilità del concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, precisando come si tratti di reati che si differenziano per struttura ed offensività.
Nel dettaglio, la Corte ha precisato come il peculato si differenzi rispetto alla bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione quanto al soggetto attivo; all’interesse tutelato, nel senso che la bancarotta non assorbe ed esaurisce affatto l’offensività del peculato; per le modalità di aggressione al bene giuridico tutelato, nel senso che nel peculato, a differenza della bancarotta, non ogni condotta appropriativa assume rilievo; per la mancanza di una condizione di punibilità che, nel reato fallimentare, rende solo eventuale che la condotta appropriativa sfoci in bancarotta; al tempo in cui il reato si consuma, essendo il peculato un reato istantaneo rispetto al quale non rileva, a differenza della bancarotta, la riparazione.
Da ciò deriva la possibilità di configurare un concorso di reati.
Nel caso in esame, il potere di azione era stato esercitato una sola volta, nello stesso unico procedimento ma attraverso la contestazione di distinti reati, differenti per struttura e offensività. Non c’era stata, quindi, alcuna violazione del bis in idem.
La Suprema Corte riprende la pronuncia della Corte Costituzionale, n. 200/2016 relativa ai presupposti e ai limiti del divieto di duplicazione di procedimenti e di sanzioni, in particolare riguardo ai rapporti tra l’art. 649 c.p.p. e il principio di cui all’art. 4 del Protocollo 7 Cedu. La Consulta, in particolare, riteneva che il tema del “ne bis in idem” non riguarda le ipotesi in cui, in un simultaneus processus, vengano contestati reati in concorso formale tra loro, in quanto in tali casi la questione è esterna prescinde dalla preclusione processuale derivante dalla consumazione del potere dii azione a seguito della già esercitata azione penale per lo stesso fatto, ma riguarda la mera verifica dell’esistenza di una unità o pluralità di reati e non,
La Cassazione, come detto, ha invece ritenuto fondato l’altro motivo sollevato dal ricorrente, con cui era stata censurata l’impostazione accusatoria secondo cui l’imputato, dopo aver commesso il peculato, aveva “creato debito” per ripulire e reimpiegare il denaro ottenuto dal peculato.
Secondo gli Ermellini, non è condivisibile la statuizione secondo cui l’imputato abbia reimpiegato il denaro in attività finanziarie, commettendo autoriciclaggio.
In vero, la condotta posta in essere dall’amministratore era stata priva di idoneità decettiva, dissimulatoria, ovvero di capacità di rendere difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.
Ed infatti, il denaro era stato prelevato dallo stesso conto su cui erano state versate le somme oggetto di peculato e riversate su conti personali dello stesso imputato, per poi essere corrisposte ai propri creditori.
Non vi era stata alcuna intestazione formale a terzi, nessun meccanismo decettivo, bensì si era realizzata un’operazione che non dissimulava alcunché.
La sentenza, in definitiva, doveva essere annullata, senza rinvio, quanto al capo di imputazione per autoriciclaggio, “perché il fatto non sussiste”, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello in relazione alla rideterminazione della pena per i residui reati.
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