Concorso omissivo nel reato commissivo. Differenze con la connivenza. Responsabilità dei sindaci.

Concorso omissivo nel reato commissivo. Differenze con la connivenza. Responsabilità dei sindaci.

Premessa

La figura del concorso mediante omissione nel reato commissivo trova la sua fonte nell’art. 40, comma 2, c.p., secondo il quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Al fine di comprendere se sia possibile concorrere mediante omissione alla realizzazione di un reato commissivo, è necessario accertare se l’omittente sia “garante” dell’impedimento dell’evento, costituito dal reato direttamente commesso da soggetti terzi.

Tuttavia, ancor prima di verificare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al soggetto omittente, è necessario verificare un altro presupposto, ovverosia il concetto di “evento”. Invero, non tutti i reati sono suscettibili di essere convertiti in illeciti omissivi impropri.

Infatti, un’attenta dottrina1 ritiene che dal novero dei reati suscettibili di conversione debbano essere escluse, in primo luogo, tenendo conto della funzione dell’art. 40 cpv. di giustificare l’incriminazione di comportamenti omissivi non tipizzati, quelle fattispecie incriminatrici che menzionano la condotta omissiva in via esclusiva (i reati omissivi propri), e quelle che la menzionano solo accanto all’azione in senso stretto (come, ad esempio, l’art. 450 c.p. “Delitti colposi di pericolo” e l’art. 659 c.p. “Disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone”).

Vengono, inoltre, esclusi: i delitti c.d. di mano propria, come l’incesto, per i quali è necessario che l’agente ponga in essere un atto positivo di carattere personale; i reati abituali, in quanto sono il risultato della reiterazione di più comportamenti positivi; in generale, tutti quei reati rispetto ai quali la formulazione del fatto è affidata ad elementi normativi, i quali richiamano ad obblighi comportamentali a contenuto positivo.

Una volta delimitata l’area, in negativo, di operatività dell’art. 40 cpv., non resta che chiarire quali sono le tipologie delittuose suscettibili di conversione.

Considerato che l’art. 40 è rubricato “Rapporto di causalità”, l’ambito operativo dei reati omissivi impropri è limitato ai soli casi in cui si pone il problema del nesso causale tra condotta ed evento e quindi, ai reati di evento. Devono essere esclusi, all’interno di questa categoria, i reati che presentano elementi strutturali tali da rendere possibile la commissione degli stessi esclusivamente mediante una condotta positiva.

Più nello specifico, si ritiene che il campo d’azione della suddetta norma è limitato solo ai reati causali puri, cioè i reati di evento a forma libera, seppur vi sia qualche riserva per i reati che offendono beni patrimoniali. Infatti, per questi ultimi, essendo la funzione delle fattispecie omissive improprie quella di tutelare interessi di rango particolarmente elevato, parte della dottrina limita l’ambito di operatività dell’art. 40 cpv. solo ai casi in cui ci si trovi di fronte all’esigenza di tutelare interessi patrimoniali rilevanti, che possono incidere sul buon funzionamento dell’intera economia collettiva (si pensi ai reati societari, non impediti dagli amministratori e dai sindaci della società).

Fatta questa doverosa premessa, tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza dominanti estendendo l’applicabilità dell’art. 40 cpv. a qualsiasi illecito penale, ritengono che per “evento”, ai sensi della predetta disposizione, debba intendersi, nell’ambito della partecipazione criminosa, il reato oggetto di volontà comune che è stato realizzato da taluno dei concorrenti e non impedito da chi, fra questi, aveva l’obbligo di impedirlo. Il caso di scuola utilizzato in molti manuali giuridici riguarda il custode di un magazzino che, volontariamente, non impedisce che dei ladri si introducano all’interno dello stesso sottraendo della merce.

Presupposti della partecipazione mediante omissione nel reato commissivo

E’ necessario accertare quali sono i presupposti affinché possa configurarsi un concorso mediante omissione in un reato commissivo.

Naturalmente, sono già state evidenziate le perplessità di quella parte della dottrina che limita l’ambito di operatività dell’art. 40 cpv. solo ai reati che offendono beni che rivestono un particolare rango.

Ad ogni modo, come già detto, è opinione diffusa che nel concetto di evento rientri anche il reato realizzato da altri2.

Affinché l’omissione assuma rilevanza sono necessari due presupposti:

    1. che l’omissione costituisca una condizione necessaria o agevolatrice della realizzazione del fatto;

    2. che essa costituisca violazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento.

Relativamente al secondo punto, è opinione pacifica che la violazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento è funzionalmente collegato alla posizione di garanzia rivestita dal soggetto omittente. Capire quando sorge una posizione di garanzia che fa venire in essere un obbligo di attivarsi penalmente rilevante è una questione che non può qui essere affrontata e che richiede una trattazione separata.

In questa sede è sufficiente stabilire che la tesi prevalente in dottrina e in giurisprudenza è quella “mista”, secondo la quale sono tre i requisiti necessari affinché una situazione tipica di obbligo (derivante dalla legge, da fonte negoziale anche atipica, oltre che dall’assunzione volontaria della posizione di garante) acquisti il significato di posizione di garanzia:

    1. la situazione di incapacità, da parte del titolare del bene giuridico, di proteggere il bene da sé;

    2. il carattere “speciale” dell’obbligo di garanzia, che deve gravare non sulla genericità dei cittadini ma su determinati soggetti;

    3. che la protezione del bene giuridico sia l’oggetto immediato della situazione tipica di obbligo e che, quindi, vi sia l’effettiva presa in carico del bene da tutelare.

All’interno delle posizioni di garanzia è, altresì, possibile distinguere le posizioni di controllo, aventi ad oggetto una fonte di pericolo che si ha l’obbligo di neutralizzare al fine di garantire l’integrità dei beni giuridici che ne risultino minacciati; e le posizioni di protezione, che hanno la funzione di preservare determinati beni giuridici da tutti i pericoli che ne possano minacciare l’integrità.

Differenza tra omissione penalmente rilevante e mera connivenza

Al fine di comprendere la struttura del concorso per omissione nel reato commissivo è necessario delinearne la differenza con la figura della connivenza. Questa consiste nel comportamento di chi assiste alla realizzazione di un reato senza intervenire, non avendo alcun obbligo giuridico di impedirne la commissione.

Sulla genericità dei cittadini non incombe alcun obbligo giuridico di impedire la perpetrazione di reati e, quindi, su di essi non può sorgere alcuna responsabilità penale nel caso in cui rimangano inerti di fronte alla realizzazione di un reato da parte di altri soggetti3. Questo lo si può desumere sia dall’art. 52 c.p. che ritiene il soccorso difensivo non come un dovere, ma come una facoltà, e dalla specifica previsione di obblighi di attivarsi solo a carico di determinati soggetti, oltre che dalla mancanza di previsione, da parte del legislatore, di un generalizzato obbligo per il privato di cooperare ai fini di polizia4.

La distinzione tra concorso omissivo e connivenza risulta piuttosto problematica (ed è relativamente a questo aspetto che vi è stato un acceso dibattito) nel caso della presenza sul luogo del delitto da parte del soggetto rimasto inerte. Infatti, è difficile capire quali siano stati gli effetti della mera presenza di un soggetto sul luogo dove è stato commesso il reato (sia per quanto riguarda il sorgere, che per quanto riguarda il rafforzamento del proposito criminoso dell’autore materiale).

Problema tutt’altro che secondario in ordine ai reati di violenza sessuale (si pensi ai casi di violenza sessuale di gruppo ovvero ai casi delle madri rimaste inerti di fronte alla violenza subita dalle figlie), di estorsione, di rapina e di furto.

In un primo momento la giurisprudenza ha assunto un atteggiamento piuttosto rigoroso, in quanto ha ritenuto che la mera presenza sul luogo del reato abbia una efficacia rafforzativa dell’altrui proposito criminoso5.

Successivamente, la S.C., definendo i tratti che differenziano il concorso omissivo con la connivenza, ha stabilito che è necessario accertare nel caso concreto l’elemento materiale e l’elemento psicologico del soggetto rimasto inerte. Così è stata fatta la distinzione tra la mera presenza passiva (di per sé non punibile) e l’atteggiamento rafforzativo del proposito criminoso altrui, insieme ad una adesione psicologica al fatto.

Cass., 23 novembre 2000, n. 12089, ha stabilito che la mera presenza sul luogo del delitto non è sufficiente ai fini di una responsabilità penale per un reato realizzato da altri, essendo necessaria una condotta che realizzi un rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato e che sia tale da agevolare della sua opera, oltre che la rappresentazione dell’evento e la partecipazione ad esso per mezzo dell’espressione di una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale.

In materia di detenzione di sostanze stupefacenti, Cass. n. 38716/2012 ha stabilito che ai fini della punibilità del concorrente inerte sia necessario l’accertamento di un contributo partecipativo alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo rilevante alla realizzazione dell’illecito.

Inoltre, in ordine al reato di cui all’art. 609-octies, Cass. n. 15211/2012 ha ritenuto che non è necessario che ciascun compartecipe realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale degli altri correi, essendo sufficiente che il singolo realizzi solo una frazione del fatto tipico ed essendo altresì sufficiente che la violenza o la minaccia provenga da uno solo dei concorrenti. La S.C. distingue, quindi, la posizione di chi contribuisce, sotto il profilo morale o sotto quello materiale, alla realizzazione del fatto, dalla posizione del connivente, che rimane inerte sul luogo del delitto senza attivarsi.

Responsabilità dei sindaci per i reati commessi dagli amministratori

Il ruolo dei sindaci è quello di controllare e vigilare sugli amministratori nella gestione della società. Pertanto, ci si chiede se sia configurabile un concorso omissivo ex art. 40, comma 2, c.p., dei primi nei reati commessi dai secondi.

Naturalmente, la risposta dipende dalla verifica circa la sussistenza in capo a ciascun sindaco dell’obbligo giuridico di impedire la realizzazione di reati da parte degli amministratori. Successivamente deve essere accertato se la responsabilità concorsuale dei sindaci, una volta ammessa, sia configurabile in ordine a determinati reati ovvero indifferentemente ad ogni tipologia di reato.

Iniziando dalla prima questione (l’esistenza o meno di un obbligo giuridico di impedire l’agire delittuoso degli amministratori), è necessario verificare se effettivamente i sindaci abbiano il potere di impedire la commissione di reati da parte di tali soggetti.

A tal proposito sussistono due teorie.

La prima, negativa, argomentata da dottrina minoritaria6, si basa sul fatto che l’obbligo di vigilanza non comporta automaticamente un obbligo giuridico di impedire il reato. Si ritiene, infatti, che i sindaci abbiano solo un mero obbligo di sorveglianza e che siano sprovvisti di poteri impeditivi circa la perpetrazione di reati. Invero, il compito dei sindaci è quello di controllare e informare gli organi societari provvisti dei poteri impeditivi, qualora nell’esercizio della loro attività abbiano avuto il sospetto della possibile realizzazione di un reato.

A supporto di tale orientamento si fa riferimento all’art. 2403 c.c., il quale prevede che i sindaci abbiano un generico obbligo di vigilanza sull’osservanza della legge.

Invece, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, sostenendo la tesi positiva, ritengono che sui sindaci gravi una vera e propria posizione di garanzia7. Si ritiene, invero, che esso siano in una posizione di controllo dell’attività di gestione della società da parte degli amministratori, al fine di evitare che questi ultimi possano, per mezzo di questa attività, commettere reati.

Con uno sforzo argomentativo maggiore di quello adoperato dai sostenitori della tesi negativa della responsabilità dei sindaci, il fondamento di questo orientamento si basa su diverse disposizioni del Codice Civile.

In primo luogo si sostiene che, l’art. 2403 c.c., disponendo che il collegio sindacare debba vigilare sull’osservanza della legge, faccia riferimento anche alla legge penale. Pertanto, il controllo dei sindaci si estende anche a quei comportamenti di gestione della società che possono assumere rilevanza penale.

In secondo luogo, l’art. 2407 c.c. configura in capo ai sindaci una responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi, quando sia accertato che il danno non si sarebbe prodotto qualora i primi avessero vigilato in conformità ai loro obblighi.

Qualche pronuncia ha fatto riferimento anche all’art. 2405 c.c., che obbliga i sindaci ad assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione e, implicitamente, al fine di rendere effettiva tale partecipazione, attribuisce ad essi il potere di interloquire con gli amministratori e di avvertirli sulle conseguenze delle scelte che intendono prendere.

Pertanto, non si tratta di un potere di controllo dei sindaci meramente formale in quanto, alla luce delle disposizioni appena viste, siffatto potere assume una dimensione sostanziale.

Inoltre, nell’analisi delle norme del Codice Civile, relative al potere di controllo dei sindaci, deve essere aggiunto l’art. 2409, in ordine alla denuncia degli illeciti conosciuti all’autorità giudiziaria. Siffatta norma prevede, infatti, all’ultimo comma, che i provvedimenti del Tribunale relativi ai commi precedenti possono essere adottati anche su richiesta, oltre che del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, anche del collegio sindacale. Quindi, in virtù della riforma ad opera dell’art. 1, D.Lgs. n. 6/2003, che ha sostituito il previgente art. 2409 con quello attualmente in vigore, è ora riconosciuto al collegio sindacale un potere di denuncia diretta. Pertanto, siffatta norma ha determinato un aumento dei poteri interdittivi attribuiti ai sindaci.

Dall’analisi delle disposizioni appena richiamate è evidente che i sindaci si trovino in una posizione di garanzia, rispetto alla gestione della società, derivante dai poteri impeditivi sopra menzionati, che determinano in capo ad essi un controllo attuale, in itinere, delle vicende causalmente orientate alla realizzazione di reati da parte degli amministratori.

Di quali reati rispondono i sindaci?

Relativamente a questa domanda la giurisprudenza è divisa in due orientamenti.

Un primo orientamento, sulla base di quanto disposto dall’art. 2407, comma 2, c.c., che prevede una responsabilità dei sindaci per i danni patrimoniali arrecati alla società, per aver omesso di vigilare sulla gestione della stessa, afferma siffatta responsabilità per i reati commessi dagli amministratori.

Sulla base di quanto detto, quindi, si è affermato che la responsabilità dei sindaci è estesa a reati di qualsiasi tipo, compresi, come disposto da una sentenza della Cassazione, anche i reati in materia edilizia che in qualche modo compromettono il patrimonio della società8.

Invece, altra parte della giurisprudenza sostiene, basandosi sul concetto lato di “legge” di cui all’art. 2403 c.c., che la posizione di garanzia dei sindaci debba avere un contenuto ancora più ampio di quello prospettato dall’orientamento precedentemente esposto, comprendente anche i reati che offendono non solo gli interessi patrimoniali della società, ma anche quelli dei terzi che vengono in contatto con la stessa. Si è, ad esempio, ritenuta sussistente la responsabilità del sindaco a titolo di concorso omissivo nel reato commissivo, per non aver impedito la realizzazione di una truffa a danno di terzi da parte dell’amministrazione societaria9.

Tuttavia, quest’ultimo indirizzo non è condiviso da quella parte della dottrina che sostiene che la responsabilità omissiva dei sindaci debba essere limitata a quei reati commessi dagli amministratori relativi a fatti che devono essere oggetto di controllo sindacale. Controllo che non si estende all’intera attività di gestione della società, ma solo all’attività dell’organo amministrativo.

Questa stessa dottrina, pertanto, distingue tra i reati propri degli amministratori, rispetto ai quali sussiste una posizione di garanzia dei sindaci, e i reati comuni commessi dai primi rispetto ai quali si ritiene che non sussista una responsabilità penale dei secondi10.

Presupposti di responsabilità dei sindaci

Una volta stabilito che sui sindaci gravi una responsabilità sui reati commessi dagli amministratori, è adesso necessario comprendere i presupposti della responsabilità, che sono stati definiti in tre requisiti11:

    1. l’omesso esercizio del potere di controllo ovvero l’inerzia nell’adozione di iniziative previste dalla legge al fine di impedire o eliminare le irregolarità commesse dagli amministratori;

    2. il nesso di causalità tra il comportamento omissivo dei sindaci e i reati commessi dagli amministratori;

    3. l’elemento psicologico del dolo in capo ai sindaci, rispetto al fatto realizzato dagli amministratori (in quanto in caso di colpa è ipotizzabile una responsabilità civile ai sensi dell’art. 2407 c.c.).

Una interessante sentenza che ha definito il perimetro del dovere di controllo dei sindaci sull’operato degli amministratori, è quella della Cass. n. 20515/2009.

La S.C. ha chiarito che l’obbligo di vigilanza dei sindaci non deve essere ridotto al mero controllo contabile, ma deve essere riferito anche al contenuto della gestione societaria, facendovi rientrare anche il controllo c.d. di legalità, consistente nella verifica circa la corrispondenza dei dati acquisiti al parametri previsti dalla legge, purché non sconfini sul terreno della opportunità delle scelte effettuate dagli amministratori (di competenza loro esclusiva).

La Corte afferma, infatti, che i sindaci hanno il potere (o meglio, devono esercitare il potere) di chiedere agli amministratori notizie sulla gestione della società e su determinate operazioni quando, per la modalità delle scelte e dell’esecuzione delle stesse, possano far suscitare dubbi in capo ad essi.

I controlli, quindi, che non devono risolversi in un mero riscontro contabile, ma devono estendersi fino a ricomprendere il riscontro tra realtà e rappresentazione, devono essere più analitici quando i segnali di dubbio e di sospetto sono più evidenti.

Infine, la Cassazione, per quanto riguarda l’elemento psicologico della responsabilità dei sindaci, ha stabilito, pur confermando la necessaria sussistenza del dolo, che è sufficiente la consapevolezza che la propria omissione agevolerà la consumazione del reato, non essendo necessario un previo accordo tra sindaco omittente e amministratore autore del reato. Per ultimo, Cass. n. 26399/2014 ha stabilito che sussiste la responsabilità del presidente del collegio sindacale quando l’omissione del potere di controllo esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione del reato da parte degli amministratori.


1Fiandaca-Musco, Diritto Penale – Parte generale, Bologna, Zanichelli Editore, 2014, Settima edizione, pp. 626-630.

2Mantovani, Diritto penale, Padova, 2001, p. 546.

3Si fa salvo, naturalmente, il caso in cui essi siano appartenenti alla forza pubblica, guardia giurate, amministratori o sindaci di società ovvero titolari di poteri di cura, istruzione od educazione.

4Ipotesi prevista, specificamente, dagli artt. 364 (Omessa denuncia di reato da parte del cittadino), 652 (Rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto) e 709 c.p. (Omessa denuncia di cose provenienti da delitto).

5Cass. n. 79851/1993; Cass. n. 1172/1992.

6Mantovani, Diritto penale, cit., p. 170.

7Stella-Pulitanò, La responsabilità penale dei sindaci di società per azioni, in Riv. trim. dir. pen. economia, 1990, pp. 557 ss.; Grasso, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, pp. 357 ss.; per la giurisprudenza, ex multis, Cass., 18 giugno 2014, n. 26399.

8Cass., 31 agosto 1993, Minelli, in Cass. pen., 1994, 716. La vicenda si riferiva alla perdita economica di denaro impiegato nella realizzazione di un edificio poi dichiarato abusivo e soggetto a un provvedimento di demolizione.

9Cass., 28 febbraio 1991, in Cass. pen., 1991, I, 1849.

10Stella-Pulitanò, cit., pp. 560-561.

11Cass. n. 32730/2014.


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