Concorso pubblico e precedenti penali: le novità del d.P.R. 6 giugno 2023, n. 82

Concorso pubblico e precedenti penali: le novità del d.P.R. 6 giugno 2023, n. 82

Sommario: 1. Le modifiche apportate dal d.p.r. 6 giugno 2023 n. 82 alle norme sull’accesso al pubblico impiego – 2. Le novità rispetto alla prassi amministrativa del passato – 3. Il difficile accertamento delle dichiarazioni mendaci – 4. I casi in cui è possibile l’esclusione del candidato per condanne o procedimenti penali a carico

1. Le modifiche apportate dal d.p.r. 6 giugno 2023 n. 82 alle norme sull’accesso al pubblico impiego.

Il 14 luglio 2023, è entrato in vigore il d.p.r. 6 giugno 2023 n. 82, di modifica delle norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.

Tra le altre cose, l’art. 1, comma 1, lett. b) del cd. Regolamento ha riscritto gli artt. 2 e 4 del d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 in materia, rispettivamente, di requisiti generali per l’accesso al pubblico impiego e procedura di partecipazione ai concorsi.

Il nuovo art. 2, comma 7, d.p.r. 487/1984, dopo aver stabilito –  in linea con la previgente disciplina (originariamente contenuta al comma 3 dello stesso articolo) –   che «non possono essere assunti nelle pubbliche amministrazioni coloro che siano stati esclusi dall’elettorato politico attivo, nonché coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, in forza di norme di settore, o licenziati per le medesime ragioni ovvero per motivi disciplinari ai sensi della vigente normativa di legge o contrattuale, ovvero dichiarati decaduti per aver conseguito la nomina o l’assunzione mediante la produzione di documenti falsi o viziati da nullità insanabile», oggi stabilisce espressamente che non possono essere assunti nemmeno «coloro che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati che costituiscono un impedimento all’assunzione presso una pubblica amministrazione».

Al secondo periodo prevede poi che «coloro che hanno in corso procedimenti penali, procedimenti amministrativi per l’applicazione di misure di sicurezza o di prevenzione o precedenti penali a proprio carico iscrivibili nel casellario giudiziale, ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, ne danno notizia al momento della candidatura, precisando la data del provvedimento e l’autorità giudiziaria che lo ha emanato ovvero quella presso la quale penda un eventuale procedimento penale».

L’art. 4 invece, dopo avere precisato che per il futuro alle procedure di concorso si parteciperà esclusivamente previa registrazione nel Portale unico del reclutamento accedendo con sistemi di identificazione SPID, CIE e CNS o mediante identità digitale, stabilisce espressamente al comma secondo, lett. l), che – in linea con l’art. 2 -«all’atto della registrazione al Portale l’interessato compila il proprio curriculum vitae, con valore di dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, indicando», fra l’altro di non avere precedenti penali o procedimenti a carico. In caso contrario «devono essere indicate le condanne, i procedimenti a carico e ogni eventuale precedente penale, precisando la data del provvedimento e l’autorità giudiziaria che lo ha emanato ovvero quella presso la quale penda un eventuale procedimento penale».

La falsa dichiarazione è duramente sanzionata.

Ed infatti, il quinto comma dell’art. 4 stabilisce che «ferme restando le conseguenze sotto il profilo penale, civile, amministrativo delle dichiarazioni false o mendaci, ai sensi degli articoli 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ivi compresa la perdita degli eventuali benefici conseguiti sulla base di dichiarazioni non veritiere, le amministrazioni che bandiscono le procedure selettive si riservano di verificare la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dai vincitori della procedura».

2. Le novità rispetto alla prassi amministrativa del passato

Se le novità di cui al primo periodo dell’art. 2, comma 7, non fanno altro che chiarire l’evidenza e cioè che l’accesso al pubblico impiego è precluso in tutti casi di interdizione dai pubblici uffici (v. artt. 28,29, 31 e 317-bis c.p.),divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione (artt. 32-ter, 32-quater e 317-bis c.p.) o destituzione di diritto (art. 32-quinquies c.p. e art. 85 comma 1 lett. a) e b) d.p.r. 3/1957), le modifiche risultanti dal combinato disposto dei nuovi artt. 2, comma 7, secondo periodo, e 4, commi 2 e 5, nel prevedere l’obbligo di dichiarare qualsiasi precedente e i procedimenti a carico ancora pendenti, a bene vedere recepiscono la prassi amministrativa registrata nel passato.

Di regola infatti i bandi di concorso per l’assunzione nella Pubblica Amministrazione chiedevano espressamente ai candidati di dichiarare – a pena di esclusione e sotto la propria responsabilità penale (ex artt. 46, 47 e,76 d.p.r. 445/00 e artt.483 o 495 c.p.) – le condanne penali riportate o, in minore misura, i procedimenti penali pendenti, esigendo talvolta la produzione del casellario giudiziale o quello dei carichi pendenti.

La vera novità sta nell’estensione dell’obbligo dichiarativo.

Ed infatti, mentre l’art. 28, comma 8, d.p.r. 313/2002 (cd. testo unico casellario giudiziale) stabiliva in generale e ancora stabilisce che «l’interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rende dichiarazioni sostitutive relative all’esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui all’articolo 24, comma 1» (e, quindi di tutte quelle numerose condanne non risultanti dal certificato del casellario richiedibile dal privato), il nuovo comma 2, lett. l), dell’art. 4 d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 oggi richiedere espressamente, per i concorsi pubblici, la dichiarazione di tutte le condanne risultanti nel casellario giudiziale di cui all’art. 3 d.p.r. 313/2002 e cioè del casellario richiedibile dall’autorità a fini di giustizia.

In tale casellario risultano in particolare tutte le condanne (e non solo) per qualsiasi reato, indipendentemente dal beneficio della non menzione ex art. 175 c.p. o dall’estinzione del reato dopo la condanna (ai sensi per esempio, degli artt. 167 c.p., 445, 460 c.p.p., ecc.) e salvi i casi di eliminazione di cui all’art. 5 (revisione della condanna, rescissione del giudicato, ecc.). A norma degli artt. 3, comma 1, lett. m), d.p.r. 313/2002, nel casellario richiedibile a fini di giustizia vanno iscritti per estratto addirittura «i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione».

Se tanto è vero, essendo l’art. 4, comma 2, lett. l), d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 lex specialis rispetto all’art. 28, comma 8, d.p.r. 313/2002, dal 14 luglio 2023, il candidato deve dichiarare – sotto la propria responsabilità penale – ogni condanna penale riportata, senza alcuna eccezione.

3. Il difficile accertamento delle dichiarazioni mendaci

Rimane ovviamente da capire come la Pubblica Amministrazione possa accorgersi della falsità della dichiarazione nel caso di condanne non risultanti dal certificato richiedibile dalle amministrazioni pubbliche.

Ed invero, l’art. 28 d.p.r. 313/2002 prevede che le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi, quando è necessario per l’esercizio delle loro funzioni, hanno diritto di ottenere il certificato selettivo, e cioè un certificato contenente soltanto iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale a carico di un determinato soggetto che siano pertinenti e rilevanti rispetto alle finalità istituzionali dell’amministrazione o del gestore.

Soltanto quando «non può procedersi, sulla base delle disposizioni che regolano i singoli procedimenti amministrativi, alla selezione delle iscrizioni pertinenti e rilevanti» (comma 3), la Pubblica Amministrazione può richiedere il certificato generale.

Tuttavia, anche in tale eventualità, per espressa previsione dell’art. 28, comma 7, dal certificato non possono risultare:

– le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e le condanne per reati estinti a norma dell’articolo 167, primo comma, c.p. per esito positivo della sospensione condizionale della pena;

– i provvedimenti che ai sensi dell’art. 464-quater del c.p.p., dispongono la sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché le sentenze che ai sensi dell’art. 464-septies c.p.p. dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova;

– i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art.131-bis c.p.

Se tanto è vero, nel caso di condanne non iscrivibili ex art. 28 d.p.r. 313/2002, una dichiarazione mendace potrebbe non avere – dal punto di vista pratico – alcuna conseguenza.

Per dare effettività alla novella normativa sarebbe pertanto opportuno che il Legislatore intervenga per autorizzare espressamente la Pubblica Amministrazione ad accedere al casellario giudiziale richiedibile ai fini di giustizia nel caso di concorsi pubblici.

4. I casi in cui è possibile l’esclusione del candidato per condanne o procedimenti penali a carico

A fronte di queste modifiche normative, è facile immaginare che gli aspiranti partecipanti ad un concorso pubblico che abbiano iscrizioni penali a carico si domandino se sia opportuno o meno presentare la propria candidatura e se, in particolare, un precedente penale, così come un procedimento penale pendente a carico, possano determinare l’automatica esclusione dalla procedura di assunzione.

A ben vedere, al di fuori delle richiamate condanne con sentenza passata in giudicato per reati che costituiscono un impedimento all’assunzione presso una Pubblica Amministrazione (v. artt.28, 29, 31, 32-ter, 32-quater e 317-bis c.p. e art. 85, comma 1, lett. a) e b) d.p.r. 3/1957), un precedente o un procedimento a carico non può determinare, sulla base della legge richiamata, l’automatica esclusione del partecipante.

Ovviamente il bando potrà legittimamente prescrivere, con maggior severità rispetto le previsioni normative, che i candidati non abbiamo riportato condanne per ulteriori reati ove ciò risponda a canoni di logicità, ragionevolezza, pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito e salva la possibilità di impugnare il provvedimento amministrativo. Possibilità di impugnazione che a maggior ragione sussisterebbe, per possibile violazione della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, Cost.,  nel caso in cui sia prevista nel bando l’esclusione automatica per la mera pendenza di un procedimento penale.

Tanto detto in linea generale, una condanna penale, così come un procedimento penale a carico, potrebbe invece determinare – come in passato –  l’esclusione dai concorsi indetti ai fini dell’assunzione di personale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia, di giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e di difesa in giudizio dello Stato.

Per tali concorsi, l’art. 35, comma 6, D.lgs. 165/2001 (richiamato dall’art. 1 d.p.r. 487/1994) richiede che il candidato sia di «condotta incensurabile».

Questo per effetto del rinvio operato dal citato art. 35, comma 6, all’art. 26 L. 53/1989 (sugli appartenenti alle forze dell’ordine) e da questo alle norme in materia di accesso alla magistratura e quindi anche all’art. 2, comma 2, lett. b-bis D.lgs 160/2006.

Per l’estrema delicatezza dei ruoli che i vincitori del concorso andranno ad assumere, il Legislatore vuole infatti che la condotta dei candidati sia irreprensibile (il previgente art. 8 R.D 30 gennaio 1941, n. 12 parlava di «illibata condotta civile, morale e politica»).

Il Consiglio di Stato ha più volte precisato che il requisito della condotta incensurabile è oggetto di ampia discrezionalità, riguardando il merito dell’azione amministrativa, ed è quindi sottratto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo i casi di palese abnormità, irragionevolezza, difetto di motivazione, travisamento degli atti o violazione delle norme procedurali (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 17 gennaio 2023, n.605)

La casistica giurisprudenziale ci insegna che nel concetto di condotta “censurabile” è stato fatto rientrare l’essere stato indagato o processato per il reato militare di ingiuria, per l’alterazione di certificati medici, per porto abusivo di coltello o per una rissa fuori da scuola nonché l’essere stato segnalato come assuntore di sostanze stupefacenti (e quindi per un mero illecito amministrativo). Possono rilevare anche singoli episodi che non hanno avuto conseguenze penali e finanche molto risalenti nel tempo.

Un precedente (penale o di polizia) a carico, così come un procedimento pendente, non può però essere causa di esclusione automatica dal concorso pubblico.

Per i procedimenti pendenti una simile interpretazione contrasterebbe infatti con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 giugno 2023, n.5740, nel ritenere al più consentibile l’ammissione con riserva dell’aspirante).

Quanto ai precedenti (penali o di polizia) è stato il Consiglio di Stato ad affermare esplicitamente in passato che “nella valutazione dell’incensurabilità della condotta, richiesta per alcuni concorsi pubblici, la pubblica amministrazione non può automaticamente escludere il candidato che abbia un solo e isolato precedente pregiudizievole, senza considerare la collocazione temporale del fatto, l’unicità dell’episodio di vita, la condizione di minore età e tutti gli altri elementi concreti che assumono specifica rilevanza” (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 agosto 2016, n. 3621).


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Avv. Matteo Cremonesi

Laureato con lode, nell’Aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Pavia con tesi in Diritto Fallimentare dal titolo: “Gli strumenti di risanamento della crisi d’impresa nella prospettiva della continuità aziendale diretta” (Relatore Avv. Prof. Fabio Marelli).Ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense indetto con D.M. 14 settembre 2020 nella seduta del 23 novembre 2021. Ha sempre svolto la propria attività in ambito penalistico, collaborando, sin dall’inizio del suo percorso professionale nell’ottobre 2017, con lo Studio Legale Sirani di Milano. All’interno dello Studio, ha maturato una significativa esperienza in tema di reati contro la persona e contro il patrimonio, di reati informatici, societari e fallimentari, di infortuni sul lavoro e in tema di responsabilità degli intermediari finanziari.Presta sistematicamente consulenza in materia di misure di prevenzione (interdittive e patrimoniali) applicate ai sensi del D.Lgs. 159/11, sicurezza sul lavoro e di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato. E’ uno dei referenti del servizio di cooperazione giudiziaria riguardante la “data retention” che lo Studio presta per conto di uno dei primari internet service provider attivi sul mercato mondiale. Si occupa altresì dei reati previsti dal codice della strada e degli illeciti previsti dal testo unico sulla droga.

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