Condono edilizio: silenzio e ritardo da parte della P.A. non tollerati dal T.A.R. Lazio
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-Bis, sent. 18 dicembre 2020, n. 13695
Sommario: 1. Introduzione – 2. I fatti del giudizio – 3. La tesi dei ricorrenti – 4. La motivazione del T.A.R. Lazio – 5. Le conclusioni del T.A.R. Lazio – 6. Considerazioni finali
1. Introduzione
Che i tempi della burocrazia italiana siano, spesso e volentieri, estremamente lenti, farraginosi e asfissianti è questione ormai tristemente nota. Ancor più biblici e inaccettabili diventano i tempi relativi alla conclusione dei procedimenti relativi al condono edilizio previsto e disciplinato dalla legge 47/85.
La questione dei tempi per l’ottenimento del condono edilizio è di fondamentale importanza, specie in un periodo in cui la possibilità di poter fruire del c.d. Superbonus 110%, volto a rendere più efficienti e più sicure le abitazioni, viene subordinata alla legittimità dell’immobile oggetto degli interventi e in particolar modo all’assenza di abusi, anche piccolissimi.
Ebbene, proprio sul solco della mancata conclusione del procedimento amministrativo relativo al c.d. condono edilizio in tempi certi che si inscrive la recente pronuncia del T.A.R. Lazio (sezione seconda bis), con la sentenza n. 13695 del 18.12.2020, con la quale Roma Capitale è stata condannata a concludere il procedimento di condono edilizio, richiesto dal privato, entro i successivi 60 giorni.
L’ordinamento, infatti, a fronte di un ormai arbitrario, esasperante ed illegittimo silenzio da parte della Pubblica Amministrazione, con conseguenti ritardi pregiudizievoli e forieri di notevoli danni, nell’esaminare la domanda di condono edilizio, mette a disposizione del cittadino lo strumento giurisdizionale del ricorso contro il silenzio-inadempimento della P.A. volto ad accertare l’obbligo della stessa di concludere il procedimento con un provvedimento espresso di rigetto o accoglimento.
2. I fatti del giudizio
Alla luce di quanto sopra, i privati ricorrenti agivano per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio da parte della P.A. in relazione alle pratiche di condono edilizio presentate ex L. 47/1985, deducendo di aver depositato presso l’amministrazione, senza riscontro alcuno, svariate istanze di definizione del procedimento nonché innumerevoli solleciti, corredati, peraltro, del parere favorevole del MIBACT (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo).
3. La tesi dei ricorrenti
I ricorrenti, per la fattispecie dedotta in giudizio e che nel presente ci occupa, hanno sostenuto la tesi secondo cui la condotta omissiva da parte della P.A. ossia il silenzio ed il conseguente ritardo (di ben trentacinque anni!) nella conclusione della pratica di condono edilizio senza un provvedimento espresso di accoglimento o rigetto, è “contrario ai principi costituzionali di buon andamento, trasparenza, imparzialità, speditezza ed efficacia dell’azione amministrativa ribaditi dalla l.n. 241/1990, nonché ai doveri di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.”.
4. La motivazione del T.A.R. Lazio
La sezione seconda bis del T.A.R. Lazio con una motivazione precisa, secca ed inequivocabile, ma ampiamente argomentata e motivata, ha affermato testualmente che, “L’inerzia dell’Amministrazione Comunale, protrattasi complessivamente per oltre 35 anni, è contraria al dettato dell’art. 2 della l. n. 241/1990 e non può, poi, dirsi in nessun caso esclusa, né tantomeno giustificata, dalle attività nelle more svolte da vari uffici…”.
Il giudice amministrativo ha, inoltre, evidenziato, richiamando costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, come “nel processo amministrativo, presupposto, ai sensi dell’art. 117 c.p.a., della condanna dell’Amministrazione per il silenzio dalla stessa illegittimamente serbato sull’istanza dell’interessato, è che al momento della pronuncia del giudice perduri l’inerzia dell’Amministrazione inadempiente e che, dunque, non sia venuto meno il relativo interesse ad agire; di conseguenza, l’adozione da parte della stessa di un provvedimento esplicito, in risposta all’istanza dell’interessato o in ossequio all’obbligo di legge, rende il ricorso o inammissibile per carenza originaria dell’interesse ad agire (se il provvedimento intervenga prima della proposizione del ricorso) o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio all’uopo instaurato) e permane, invece, la situazione di inerzia colpevole, e, dunque, il corrispondente interesse ad agire ex art. 117 c.p.a., se l’Amministrazione non conclude il procedimento (quale ne sia il contenuto) nel termine di riferimento ovvero se adotta un atto infra procedimentale o peggio soprassessorio, atteso che una tale attività non dà vita ad un autentico provvedimento ultimativo del procedimento che l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere, ma un rinvio sine die”.
5. Le conclusioni del T.A.R. Lazio
In conclusione il T.A.R. Lazio, alla luce delle argomentazioni sopra rassegnate, ha accolto il ricorso avverso il silenzio e, quindi, avverso l’inerzia dell’amministrazione ed ha ordinato “all’Amministrazione di provvedere in via definitiva sulle istanze di condono de quibus e di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nel termine di 60 giorni” dalla notifica della sentenza, disponendo, altresì, la trasmissione della sentenza all’Organismo di Valutazione Interna, al Direttore del Dipartimento Organizzazione e Risorse Umane dell’Amministrazione resistente e al Responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza ed alla Corte dei Conti.
6. Considerazioni finali
L’illegittimità dell’inerzia della P.A. con un assordante ed esasperante silenzio ha assunto, e continua, ancora oggi, ad assumere una notevole rilevanza e problematicità cui i Tribunali Amministrativi Regionali tendono man mano a porre rimedio grazie, anche, al ricorso avverso il silenzio. Difatti, come nel caso in esame, sono innumerevoli le pratiche di condono giacenti e dormienti nei cassetti e negli armadi degli uffici pubblici per decenni e decenni e conseguentemente bloccate, nella maggior parte dei casi, a causa della colpevole, immotivata e illegittima inerzia della P.A.. Ciò risulta inaccettabile per i cittadini che pagando i tributi pretendono e hanno diritto di ricevere i relativi servizi in modo efficiente ed efficace. E ciò specie se si pensa a quegli strumenti all’uopo predisposti onde evitare siffatte criticità: si pensi, solo a titolo esemplificativo, alla possibilità offerta dal Comune di Roma con la Delibera 40/2019 sul silenzio assenso e sulla procedura semplificata relativa alle istanze di Condono Edilizio presentate ai sensi delle Leggi n. 47/1985, n. 724/1994, n. 326/2003; o ancora si pensi alla legge della Regione Siciliana n. 16/2016, la quale all’art. 28 prevede la possibilità per i titolari degli immobili, che hanno presentato istanza di condono edilizio, di depositare perizia giurata attestante il pagamento delle somme versate per l’oblazione e per gli oneri di urbanizzazione nonché il rispetto di tutti i requisiti necessari per ottenere la concessione in sanatoria e trascorsi 90 giorni dalla data di deposito della perizia, senza che sia stato emesso provvedimento con il quale viene assentito o negato il condono, la perizia acquista efficacia di titolo abitativo.
Nonostante la previsione di tali strumenti non si può non segnalare l’estrema lentezza degli organi ed uffici preposti all’istruzione delle pratiche edilizie e del rilascio dei relativi condoni che, conseguentemente, non fanno altro che moltiplicare il contenzioso e la sfiducia nei cittadini.
Si tenga, peraltro, presente che come osservato dalla giurisprudenza in siffatte ipotesi “l’art. 2 bis della l. 241/90 riconosce al danneggiato dal ritardo della PA due azioni concorrenti tra loro, una avente ad oggetto il risarcimento del danno vero e proprio e l’altra relativa all’indennizzo per il “mero” ritardo”, precisando che, “Il risarcimento e l’indennizzo del danno conseguente al ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo sono oggetto di due diverse fattispecie normative e, più precisamente, l’art. 28 del d.l. 21 giugno 2013 n.69, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013 n. 98 e l’art. 2 bis della legge nr. 241/90 che è stato introdotto dalla stessa disposizione di cui all’art. 28 cit.” (cfr. Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis, sent. n. 4597/2021).
Sul punto si aggiunga che, “Non a caso in questo ambito è sorta la tematica della risarcibilità della chance, considerata ormai, sia dalla giurisprudenza civile sia dalla giurisprudenza amministrativa, una posizione giuridica autonomamente tutelabile -morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall’elemento causale dell’illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)- purché ne sia provata una consistenza probabilistica adeguata e nella quale può quindi essere ricondotta la pretesa risarcitoria connessa al regime tariffario incentivante di cui la società ricorrente chiede il ristoro per equivalente” (Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, Sentenza n. 7/2021).
Max Weber, nell’opera Economia e Società, affermava: « il modo specifico di funzionamento della burocrazia moderna […] comporta […] [l’adempimento regolare e continuativo dei compiti così suddivisi, e all’esercizio dei diritti corrispondenti, si provvede in modo sistematico con l’assunzione di persone fornite di una qualificazione regolata in via generale» .
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