Configurabilità del reato di pornografia minorile nell’ipotesi di materiale autoprodotto
Configurabilità del reato di pornografia minorile nell’ipotesi di materiale autoprodotto, alla luce della sentenza n. 5522/2019 della Corte di Cassazione
Il reato di pornografia minorile, attualmente punito dal codice penale all’art. 600 ter, è stato introdotto dalla legge n. 269 del 1998 ed ha subìto negli anni diverse modifiche ad opera delle varie riforme legislative susseguitesi.
Con il predetto delitto l’ordinamento garantisce una tutela anticipata alla libertà sessuale del minore, attraverso la repressione di comportamenti c.d. prodromici che ne danneggiano il corretto sviluppo. Il minore, infatti, rischia di diventare vittima della mercificazione che altri individui fanno del suo corpo immettendo nel circuito della pedofilia foto e video che lo ritraggono nudo.
Si tratta di un reato di pericolo concreto la cui tutela, per tale ragione, viene apprestata in via anticipata.
Il presente contributo si pone l’obiettivo di ripercorrere l’excursus giurisprudenziale del reato di pornografia minorile fino alla sentenza n. 5522 del 2019 della Suprema Corte. Quest’ultima di recente è tornata ad affrontare un problema, già esaminato in passato dalla medesima Corte, relativo al rilievo penale da attribuire alle condotte aventi ad oggetto materiale pornografico autoprodotto da un minore per un uso privato.
Sezioni Unite sentenza n. 13 del 2000. A soli due anni dall’introduzione del reato in analisi, quest’ultimo è stato oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite – sentenza n. 13 del 2000 – con la quale è stato affermato che non è configurabile il reato di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p. nel caso in cui le foto, di natura pornografica aventi ad oggetto un minore nudo ritratto in atteggiamenti sessualmente espliciti, siano realizzate senza fini di lucro ma solo per ragioni di natura “affettiva”. Si attribuiva, dunque, rilevanza alla ulteriore finalità di commercializzazione dell’immagine pornografica del minore escludendo dal novero delle condotte quelle che, in relazione a tutte le circostanze del fatto, non venivano considerate in grado di determinare un pericolo concreto di diffusione del materiale in questione. (cfr. Cass. Pen. Sez. Un., n. 13/2000).
Il Supremo Collegio ha, altresì, sostenuto che la pornografia c.d. domestica non può rientrare nel concetto di “produzione” – una delle condotte espressamente richieste dall’art. 600 ter c.p. – perché non si ravvisa in questa specifica ipotesi il concreto pericolo richiesto configurandosi, piuttosto, la diversa ipotesi di detenzione punita ai sensi della successiva, ed a carattere residuale, fattispecie dell’art. 600 quater c.p., rubricata “detenzione di materiale pornografico” (cfr. Cass. Pen. Sez. Un., n. 13/2000).
Le sentenze della Corte di Cassazione n. 11675/16 e n. 34357 del 11/04/2017. La Corte di Cassazione ripercorrendo le tappe della sua pronuncia a Sezioni Unite – con sentenza n. 11675 del 2016 – ha stabilito che, ai fini della configurabilità del delitto di pornografia minorile, è necessario che il soggetto che realizza il materiale pornografico sia diverso dal minore in esso raffigurato.
Secondo il percorso logico seguito e sviluppato dai giudici di legittimità, nei casi in questione, difetterebbe un elemento costitutivo del reato in quanto, nell’ipotesi dell’autoproduzione, è il minore stesso che crea il materiale e non un soggetto diverso.
Non si riterrebbe, dunque, integrata l’ipotesi di cessione di materiale pornografico nella condotta di chi “trasmette ad altri delle immagini riprese in autoscatto direttamente dal minore in esse rappresentato, senza intervento alcuno di soggetti esterni e dal medesimo cedute in modo volontario”.
Il reato di cui all’art. 600 ter c.p. disciplina in via specifica il materiale pornografico minorile “esclusivamente formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi”. L’elemento costituto del delitto in analisi è, quindi, rappresentato dall’utilizzo effettivo che viene fatto del minore ad opera dell’autore della condotta (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n.11675/2016).
Questa pronuncia, inoltre, si pone in linea di stretta continuità con il percorso argomentativo del precedente orientamento delle Sezioni Unite del 2000. La condotta per potersi ritenere integrata richiederebbe due requisiti ulteriori individuati: nella diversità e nell’alterità tra il minore raffigurato nei file multimediali ed il soggetto che li utilizza per trarne profitto, attraverso la commercializzazione degli stessi.
Questi elementi però vengono meno nel caso in cui il materiale sia prodotto dallo stesso minore in modo autonomo, consapevole, e volontario (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n. 11675/2016).
Si è rilevato, inoltre, che la condotta fin qui analizzata potrebbe ricondursi alla pratica del c.d. sexting, fenomeno conosciuto e diffuso già intorno alla metà degli anni 2000. Con il predetto neologismo viene individuata la diffusione e condivisione di immagini o video di natura sessualmente esplicita realizzata attraverso dispositivi elettronici, al giorno d’oggi resa ancora più semplice tramite l’utilizzo dei social network.
Il sexting, tuttavia, evidenzia un problematico vuoto di tutela generatosi in tale materia.
Se la condotta incriminata dal reato di pornografia minorile può essere solo quella del soggetto agente che “utilizza” un minore, o meglio la sua immagine, raffigurato in situazioni sessualmente esplicite per finalità lucrative è, di conseguenza, esclusa dall’ambito della tutela la fattispecie del minore che da solo si scatta foto in pose sessuali e le condivide. Viene in questo modo lasciato un ampio spazio privo di tutela con riferimento alla condotta della diffusione incontrollata di immagini che, già a causa della loro esistenza, danneggiano il minore a prescindere dalle ulteriori finalità sottese e dalla loro eventuale diffusione.
Secondo una distinzione di natura dottrinale effettuata in tale materia si avrebbero due diverse tipologie di sexting, differenziate in relazione alla condotta ed alla relativa tutela.
La prima, sexting c.d. primario, si configura nelle ipotesi in cui è lo stesso minore raffigurato nelle foto o video che autoproduce la foto e la cede. In questo caso verrebbe scriminata la condotta di chi entra in contatto con i file o li divulga, riconducendosi la fattispecie all’esimente del consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p., qualora quest’ultimo sia prestato da un minore in età per esprimere un consapevole e libero consenso di natura sessuale. La seconda figura invece, il sexting c.d. secondario, viene individuata in tutte quelle fattispecie in cui la successiva utilizzazione del materiale autoprodotto è avvenuta senza il consenso del minore, anzi con il suo esplicito dissenso.
È, dunque, evidente il vuoto di tutela che da un lato garantisce al minore la protezione da parte di estranei ma che, di contro, non attribuisce un adeguato valore al pericolo che il medesimo subisce qualora, per i motivi più vari, sia il minorenne a fotografarsi e ad inviare il materiale.
La medesima Sezione della Corte di Cassazione, nonostante le perplessità espresse in merito dalla dottrina, ha confermato l’anno successivo – con la sentenza n. 34357/2017 – il principio di diritto affermato nel 2016.
Sezioni Unite del 2018. In tempi più recenti le Sezioni Unite si sono nuovamente pronunciate in materia – sentenza n. 51815/2018 – affermando che, ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile, art. 600 ter comma 1 n. 1 c.p., non è necessario verificare la sussistenza di un pericolo concreto nell’ipotesi di condotta di autoproduzione del materiale pedopornografico. (cfr. Cass. Pen. Sez. Un., n. 51815/2018).
Il mutato orientamento del Supremo Collegio si pone in linea con le novità introdotte dalla legge n. 38 del 2006, in tema di sfruttamento sessuale dei bambini e pedopornografia.
Guardando con cautela la sempre maggiore influenza delle moderne tecnologie, ed i social network, è avvenuto un ridimensionato dell’ambito di operatività della fattispecie in questione, spostando all’interno della struttura del diverso reato di “detenzione di materiale pornografico”, previsto dall’art. 600 quater c.p., la condotta di chi “realizza o detiene materiale pornografico afferente a minori, che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale, nei casi in cui tale materiale sia prodotto e posseduto con il loro consenso e unicamente a uso privato delle persone coinvolte” (cfr. Cass. Pen. Sez. Un., n. 51815/2018).
Con la medesima pronuncia il Supremo Collegio ha poi concentrato la sua attenzione sul concetto di “utilizzazione del minore”, presente sia all’interno della rubrica dell’art. 600 ter c.p. che del successivo 600 quater c.p.
Con la predetta espressione si intendono tutte le condotte di “produzione” che presentino, per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto attivo del reato, un carattere abusivo che si caratterizza per: la violenza o minaccia; le finalità lucrative; l’età delle vittime, qualora sia inferiore a quella prevista per il consenso sessuale.
Ragionando in senso contrario, dunque, vengono considerate penalmente irrilevanti le immagini o i video pornografici realizzati in un contesto libero da qualsiasi condizionamento o violenza, come nelle ipotesi di relazione tra minori o nei casi in cui siano create per uso di natura assolutamente privata, escludendosi in questo caso il reato dal momento che “l’utilizzazione” costituisce uno dei presupposti necessari ai fini dell’integrazione dell’art. 600 ter c.p.
Di notevole importanza è stata l’introduzione nel 2012 della definizione normativa di pornografia sessuale. Con quest’ultima si è individuato con chiarezza il bene tutelato dalle predette norme che viene, dunque, individuato: nell’immagine, nella dignità e nel il corretto sviluppo sessuale del minore.
In questo modo è stato possibile effettuare una ricostruzione dell’art. 600 ter c.p. in termini di reato di danno, dal momento che nella realizzazione dei file multimediali di natura pornografica era insita la lesione del bene tutelato portando, così, a consumazione la condotta che con la norma si intendeva evitare.
Alla luce di quanto fin qui analizzato, il discrimen fra il penalmente rilevante ed il penalmente irrilevante non poteva essere ricostruito tenendo conto del consenso prestato dal minore, quanto piuttosto dalla configurabilità della condotta di “utilizzazione”.
Sentenza n. 5522 del 2019. La più recente pronuncia della Corte di Cassazione – sentenza n. 5522 del 2019 – trae origine da un caso di cronaca avente ad oggetto la condotta di un minore che, dopo essersi impossessato in maniera abusiva di foto autoprodotte di una minorenne fotografandole con il proprio cellulare le aveva inviate ad un amico.
Con la medesima, dunque, è stata affrontata nuovamente la problematica relativa all’interpretazione dell’art. 600 ter comma 4 c.p. in rapporto al primo comma della stessa.
In questo modo è stata ricondotta al paradigma del comma 4 la condotta dell’agente che, disponendo abusivamente di foto pornografiche autoprodotte dal minore in queste raffigurato, a seguito di riproduzione fotografica le diffonda le ceda a terzi senza aver consenso.
È stato compiuto un passo avanti rispetto all’orientamento fin qui riportato dal momento che la Corte ha affermato: la necessaria alterità tra l’autore di una delle condotte di cui al comma 1, dell’art. 600 ter c.p., ed il minore non è riconducibile alla totalità delle ipotesi individuate dalla predetta norma.
Certamente, la condotta di chi “trae profitto dalle esibizioni o dagli spettacoli pornografici” non esclude che il materiale pedopornografico sia autoprodotto dal minore.
Si è, infatti, ritenuto che l’omissione in questione ben potrebbe trovare la sua ratio nell’introduzione tardiva della nozione di pornografia minorile, alla luce della quale deve essere riletta la norma. Quest’ultima non richiede ai fini del riconoscimento del rilievo penale del fatto “l’utilizzazione del minore”.
In conclusione, aderendo all’orientamento che si ricava dall’ultima sentenza della Suprema Corte in materia, è pacificamente configurabile il reato di “cessione di materiale pedopornografico” anche nel caso in cui quest’ultimo sia stato realizzato dal minore in esso raffigurato (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n. 5522/19).
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