Confisca: la Cassazione precisa la nozione di “profitto”
“Il profitto del reato, ai fini della confisca, deve corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica; pertanto non costituisce profitto del reato un qualsivoglia vantaggio, che pur derivante dal reato, tuttavia sia futuro, sperato, eventuale, solo possibile, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economico patrimoniale”.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione Sez. VI Penale, con la sentenza 16 gennaio 2018, n. 1754.
Il Fatto
C. imputato del reato di corruzione propria internazionale, artt. 319 e 321 c.p., art. 322 c.p., comma 2, n. 2, per aver compiuto, per il tramite di due persone di fiducia del Ministro dell’energia dell’Algeria, plurime dazioni di denaro in favore di quest’ultimo al fine di assicurare alla società B. s.p.a. un vantaggio indebito in operazioni economiche internazionali, veniva condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di corruzione, disponendo, altresì, la confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell’imputato per un valore pari a 2.100.000 Euro, non essendo possibile procedere alla confisca diretta nei riguardi della società, essendo questa fallita, ritenendo, inoltre, che tale somma avrebbe costituito il profitto derivante dal reato di corruzione che sarebbe stato conseguito dalla società B. s.p.a.,
B.C ricorreva in Cassazione lamentando:
1) l’erronea applicazione della legge processuale in relazione agli artt. 444 e 129 c.p.p., atteso che la pena sarebbe stata applicata in relazione ad un reato già estinto per prescrizione;
2) la violazione di legge in relazione all’art. 322 ter c.p., e art. 129 c.p.p., poiché la confisca avrebbe dovuto essere disposta solo per gli episodi corruttivi non ancora prescritti alla data della sentenza;
3) la violazione della legge penale in relazione all’art. 322 ter c.p., atteso che il Giudice non avrebbe potuto disporre la confisca per equivalente dei beni dell’imputato per un valore corrispondente ad un non dimostrato profitto;
La questione, quindi attiene al se detto vantaggio sia tecnicamente qualificabile come profitto derivante dal reato e quindi suscettibile di confisca.
La decisione della Corte
Ritenendo infondati i primi due motivi, la Corte esaminava il terzo motivo di ricorso evidenziando che sulla nozione di profitto, la stessa giurisprudenza di legittimità, ha più volte stabilito che:
1) il profitto, per rilevare ai fini della disciplina della confisca, deve essere accompagnato dal requisito della “pertinenzialità“, inteso nel senso che deve derivare in via immediata e diretta dal reato che lo presuppone (principio di “causalità” del reato rispetto al profitto) (Sez. Un., n. 9194 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707; Sez. Un., n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, in motivazione; Sez. Un., n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli, in motivazione; Sez. Un., n. 41936 del 25/10/ 2005, Muci, Rv. 232164; Sez. Un., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Impianti, Rv. 239924; Sez. un., n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, in motivazione);
2) tale collegamento diretto reato-profitto esiste anche rispetto ai c.d. surrogati, cioè rispetto al bene acquisito attraverso l’immediato impiego/trasformazione del profitto diretto del reato, ma tale estensione del concetto di “pertinenzialità” trova il suo limite estremo in siffatto requisito di immediatezza (del reimpiego), che – in sostanza – ne garantisce la “riconoscibilità” probatoria (Sez. un., Miragliotta, cit.; Sez. un., n. 38691 del 25/06/2009, Caruso);
3) in virtù del “principio di causalità” e dei requisiti di materialità e attualità, il profitto, per essere tipico, deve corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica, sicché non rappresenta “profitto” un qualsivoglia vantaggio futuro, immateriale, o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali (Sez. 5, n. 10265 del 28/12/2013, – dep. 2014-, Banca Italease s.p.a., Rv. 258577; ma anche Sez. un. “Fisia impianti”, cit.);
4) quanto al c.d. profitto risparmio di spesa, esso potrebbe assumere rilievo solo se inteso non in senso assoluto ma in senso relativo, presupponendo tale concetto un ricavo introitato e non decurtato dei costi che si sarebbero dovuti sostenere; anche nel caso di profitto- risparmio sarebbe stato, cioè, necessario un risultato economico positivo concretamente determinato (Sez. un., “Fisia impianti”, cit..; nello stesso senso, anche letteralmente, Sez. 6, n. 35490 del 28/05/ 2013, – dep. 2014- Ri.va. Fire s.p.a. ed altro, Rv. 244274).
Con riferimento al c.d. profitto risparmio di spesa, storicamente connesso con quello dei reati tributari in relazione ai quali era condivisa l’affermazione secondo cui l’illiceità connota non la produzione della ricchezza da sottoporre a tassazione quanto, piuttosto, la sua sottrazione a tassazione, si riteneva che il profitto non potesse essere assoggettato a confisca diretta sia perché il valore sottratto, cioè l’imposta non corrisposta, essendo già presente nel patrimonio del reo, non poteva considerarsi “proveniente da reato”, sia perché era impossibile ricostruire il nesso di derivazione tra “res”, cioè il denaro risparmiato, e il reato.
In tale contesto, con la sentenza Sez. Un. n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, veniva recepita una nozione di profitto funzionale alla confisca molto più ampia perché capace di accogliere al suo interno “non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa… la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Infatti, il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, il suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa“.
Ed ancora, con la sentenza Sez. Un. n. 38343 del 24/04/2014, Tyssen, La Corte recependo sostanzialmente il principio affermato nella sentenza “Gubert”, sanciva che “il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa.” Sul tema, poi, sono nuovamente intervenute le Sezioni unite della Corte di cassazione le Sez. un., n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436; successivamente, nello stesso senso, Sez. 6, n. 33226 del 14/07/2015, Azienda Agraria Greenfarm di Guido Leopardi, Rv. 264941; Sez. 2, n. 53650 del 05/10/2016, Maiorano, Rv. 268854, ribadendo il principio secondo cui il “profitto è solo il vantaggio di immediata e diretta derivazione causale dal reato”
Per la Corte, quindi, Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati.
Nel caso di specie, si è fatto coincidere il profitto del reato non con il vantaggio derivante dalle possibili gare di appalto aggiudicate alla B. s.p.a. per effetto della corruzione, né con i vantaggi derivanti dai contratti stipulati con Saipem, ma con la mera possibilità per la società in questione di partecipare in futuro a gare di appalto o di essere inserita negli elenchi dei soggetti contrattisti di Saipem.
Tale possibilità, tuttavia, non costituisce un vantaggio concreto valutabile in relazione alla sfera patrimoniale del soggetto, né si è affermato che la mera possibilità di partecipare ad una gara, ovvero di essere ammessi alla fase di contrattazione, realizzi nella vicenda in esame una “chance” autonomamente qualificabile in termini di entità patrimoniale automa e, quindi, di profitto. Infatti, sottolinea la Corte, sia che si voglia fare riferimento alla nozione di profitto tradizionalmente recepita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, sia che invece si voglia recepire la nozione più ampia avallata dalle pronunce “Gubert” e “Tyssen”, il profitto deve comunque corrispondere a un “mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica; Non costituisce profitto del reato un qualsivoglia vantaggio che, pur derivante dal reato, tuttavia sia futuro, sperato, eventuale, solo possibile, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali. Il profitto non coincide con una mera aspettativa di fatto, con una mera “chance”, salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tale da costituire essa stessa una entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto”.
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Pasquale Fornaro
Patrocinatore Legale presso P.A.
Specializzato nelle professioni Legali presso L'Università degli Studi di Roma "G. Marconi"
Laureato in Giurisprudenza presso L'Università degli Studi di Napoli "Federico II"
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