Confisca urbanistica e art. 7 CEDU
La CEDU si occupa di diritto penale in diverse disposizioni, enunciando taluni principi in maniera esplicita (legalità, irretroattività sfavorevole ex art. 7, ne bis in idem ex art. 4, n. 7, Protocollo CEDU), altri li enuncia in via implicita, si rinvengono in via interpretativa da alcune disposizioni, e fra questi il principio di retroattività favorevole, che la giurisprudenza ha ricavato ex art. 7 a partire dal caso Scoppola del 2009, ed anche il principio di colpevolezza, che la stessa Corta ha ritenuto poter desumere dal medesimo articolo.
Almeno di questi 5 grandi principi, la giurisprudenza si sta occupando, nel tentativo di verificare in che modo quei principi CEDU condizionano l’evoluzione e la profonda trasformazione di indirizzi e di impostazioni proprie dell’ordinamento nazionale. Sono principi quelli CEDU, che da un punto di vista contenutistico, non si distinguono dai corrispondenti principi nazionali, costituzionali e subcostituzionali italiani, in quanto il principio di legalità ex l’art. 7 CEDU contenutisticamente coincide con l’art. 25, co. 2 Cost e art. 2 c.p., il principio di colpevolezza ricavato implicitamente ex art. 7 CEDU non si differenzia contenutisticamente da quello desumibile ex art. 27 Cost. e da tutti i suoi corollari codicistici, e anche il principio del ne bis in idem ricavabile dall’art. 4, n. 7 del Protocollo CEDU non è dissimile da quello dell’art. 649 c.p.p., in ambito processuale.
Sono tutti principi contenutisticamente identici, ciò nonostante i principi CEDU stanno da anni mostrando di determinare importanti scossoni nell’ordinamento italiano, imponendo profonde modifiche, innovazioni ed evoluzioni dell’ordinamento nazionale, a fronte della pur medesima identità contenutistica rispetto ai corrispondenti principi nazionali.
Bisogna, allora, chiedersi come mai i medesimi principi CEDU determinano modifiche ed evoluzioni nell’ordinamento nazionale. Tutti questi principi, che hanno una disciplina normativa e contenutistica identica, diversamente da quanto non hanno fatto sino ad ora, stanno comportando delle modificazioni e stanno incidendo in modo profondo nel nostro ordinamento nazionale; le norme CEDU presentano una carica di innovatività nel sistema normativo nazionale.
In realtà i principi sono uguali nell’ubi consistam, non nell’ambito di applicazione; sono uguali per il contenuto che ognuno presenta (sono tre coppie di principi: colpevolezza CEDU-colpevolezza nazionale, irretroattività CEDU-irretroattività nazionale, ne bis in idem CEDU-ne bis in idem nazionale), ma cambiano profondamente quanto a base applicativa, quanto a illeciti e pene cui si applicano. La base applicativa cambia, in quanto i principi italiani si applicano solo ed esclusivamente a fatti che nell’ordinamento nazionale sono considerati reati, ed a misure che nell’ordinamento nazionale sono considerate pene. Sicché solo quando l’ordinamento nazionale considera pena una determinata misura, questa non può sfavorevolmente retroagire, perché l’art. 25, co. 2 Cost. consacra il principio unicamente per quelle che sono considerate come pene. Allo stesso modo, per la colpevolezza, l’articolo 27 Cost. pretende che sia imputabile il fatto al soggetto, quando il fatto ha natura di reato, ma diversamente quando il medesimo non venga qualificato come illecito penale, ma non per l’illecito amministrativo (ancorché questo aspetto sia disciplinato a livello subcostituzionale dalla legge689/1989). Così il ne bis in idem opera quando un soggetto sia già stato giudicato per un reato, non per un illecito amministrativo. Se un soggetto sia stato punito per un illecito amministrativo, e successivamente venga sottoposto a giudizio per un fatto qualificato come illecito penale, non scatta l’applicazione della disciplina prevista ex art. 649 c.p.p.
I principi, sopra enunciati, sono applicati esclusivamente a quelli che nel nostro ordinamento sono considerati come illeciti penali e pene, come reati e misure agli stessi conseguenti.
Per quanto riguarda la CEDU; i principi appena enunciati hanno nella Convenzione la medesima base contenutistica. L’interpretazione e l’applicazione degli stessi, tuttavia, cambia; perché nella CEDU, questi principi si applicano anch’essi all’illecito penale e alle pene, ma la concezione di questi ultimi non sempre coincide con la nozione che è elaborata nell’ordinamento nazionale italiano; sicché può accadere che una misura considerata non pena nell’ordinamento nazionale e, quindi, destinata a sottrarsi ai principi che per le pene l’ordinamento nazionale prevede (principio di irretroattività sfavorevole, principio per cui la norma che prevede la pena non può sfavorevolmente retroagire, il principio secondo cui la pena non può essere applicata al soggetto non colpevole, il principio del ne bis in idem), cioè quella misura non considerata pena nell’ordinamento nazionale, sottraendosi alla disciplina propria delle pene nell’ordinamento interno, sia invece ritenuta tale sulla base della concezione che di pena ha e sviluppa la CEDU e il soggetto che è abilitato ad interpretarla, la Corte EDU.
In questi casi la norma nazionale che prevede quella misura non soggiacerà al principio costituzionale italiano, perché quella misura non è pena per l’ordinamento interno, ma soggiacerà al corrispondente principio CEDU, se e nei limiti in cui nell’ordinamento EDU è invece ritenuta pena. Cambia la base applicativa, perché la CEDU e la Corte EDU considerano le qualificazioni, che l’ordinamento italiano da degli illeciti e delle misure conseguenze, solamente una base di partenza e non un punto di arrivo (espressione della giurisprudenza della Corte EDU); i giudici della CEDU aderiscono alla concezione autonomistica dei reati e delle pene, nel senso che l’ordinamento CEDU è autonomo, rispetto agli ordinamenti nazionali, nel definire ciò che è reato e ciò che è pena, potendo a tal punto considerare in quanto tali anche fatti e misure repressive che per la legislazione nazionale non vanno considerate tali (perché illecito amministrativo, ovvero misura di sicurezza o sanzione amministrativa). In queste ipotesi i principi sono gli stessi, ma mentre la norma che per l’ordinamento nazionale potrà retroagire perché misura di sicurezza, se retroagire, tale previsione sarebbe violativa del corrispondente principio CEDU; questo in quanto definita pena nell’ordinamento CEDU e non mera misura di sicurezza andrebbe a violare il principio di irretroattività sfavorevole, come enucleato nell’ordinamento sovrannazionale. Tutto ciò sulla base della concezione autonomistica dei reati e delle pene: i principi sono gli stessi, cambiano le basi applicative; cambiano le basi applicative, perché la Corte EDU non si schiaccia sulle qualificazioni che ne danno gli ordinamenti nazionali, prevendendo tali assunti esclusivamente come un punto di partenza e non di arrivo.
La Corte EDU, da alcuni decenni, prevede che spetta solamente alla stessa definire la natura penale di reati e pene. I giudici, nel fare ciò, si attiengono a taluni criteri che danno contenuto alla concezione autonomistica così prevista.
La Corte EDU, soprattutto nelle ultime prese di posizione, valorizza sempre più quelli che sono definiti come CRITERI ENGELS:
per quanto riguarda la qualificazione delle misure conseguenti alla commissione dell’illecito, il criterio della RILEVANTE SEVERITA’ DELLA MISURA, apprezzata tanto in astratto, avendo riguardo ai limiti edittali che il legislatore prevede dalla misura, ovvero avendo più in generale riguardo alla disciplina normativa della misura, quanto in concreto, in riferimento alle modalità con le quali quella misura è stata inflitta dalle autorità competenti a riguardo. Quanto più severa è in astratto e in concreto quella misura, tanto più quella misura – quale che sia la qualificazione ad essa data dall’ordinamento nazionale/interno – deve essere qualificata penale.
LO SCOPO DELLA MISURA, lo scopo sotteso alla previsione normativa della misura, in particolare – sostiene la Corte EDU –, quale che sia la qualificazione data alla misura dall’ordinamento nazionale, ci si deve orientare che la stessa abbia natura penale, quando emerge che il legislatore quella misura la contempla per soddisfare finalità di tipo repressivo, di tipo afflittivo, di tipo retributivo, di tipo sanzionatorio, di tipo preventivo, e non di tipo riparatorio.
Strettamente connesso al secondo, il fatto che in sede di applicazione della misura, l’autorità sia chiamata tener conto più che dell’entità del danno provocato dalla condotta, della gravità della condotta, della gravità del comportamento. La logica si ravvisa nel fatto che l’autorità, nel momento in cui sia chiamata a quantificare la misura, sia vincolata maggiormente a tener in debito conto della gravità della condotta, piuttosto che della gravità del danno arrecato o provocato; diversamente se la misura rispondesse più ad una logica riparatoria, l’autorità debba tener in maggior considerazione la gravità del danno.
Oltre a questi criteri Engels – severità in astratto e in concreto, finalità e parametrazione del quantum più alla gravità della condotta, che non alla gravità del danno -, la giurisprudenza della Corte EDU ha talvolta valorizzato ulteriori parametri, tra cui quello del legame procedimentale o procedurale tra la misura e il giudizio nel quale si accerta la responsabilità penale; sicché talvolta si è detto che, quando la misura sanzionatoria è legata a filo doppio all’illecito penale, perché presuppone la condanna per quell’illecito, o perché presuppone l’accertamento della responsabilità per quell’illecito, ovvero perché applicata nello stesso processo nel quale si accerta la responsabilità per quell’illecito, quando cioè c’è un legame sostanziale e processuale tra la misura e l’illecito penale, di questo elemento si deve tener conto al fine di qualificare come penale quella misura applicata.
La Corte EDU segue nelle proprie pronunce prevalentemente i tre criteri Engels, non trascurando e facendo venire alla luce ulteriori criteri di qualificazione, quali il collegamento sostanziale e processuale all’illecito penale, la qualificazione formale che ne determina l’ordinamento nazionale, ecc.
Applicando questi criteri, la giurisprudenza CEDU spesso perviene a considerare penali anche illeciti che nell’ordinamento nazionale tali non sono definiti, pretendendo per le stesse misure il rispetto dei principi CEDU (irretroattività, colpevolezza, ne bis in idem), nonostante la giurisprudenza italiana non pretenda per le medesime misure i corrispondenti principi nazionali.
Schematizzando:
COLLOCAZIONE DELLA CEDU ALL’INTERNO DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE, applicazione dell’articolo 117 Cost. e non degli articoli 10 e 11 Cost.; non disapplicazione, ma questione di legittimità costituzionale, non in riferimento alla CEDU ma all’articolo 117 Cost.; prima ancora di sollevare la questione, il giudice deve cercare di fornire un’interpretazione convenzionalmente orientata di quella norma;
DIRITTO NAZIONALE E CEDU, ci sono principi contenutisticamente identici, ma che ciononostante stanno producendo forti effetti di evoluzione ed innovazione nell’ordinamento penale. Principi CEDU, cosi come interpretati che producono effetti che i medesimi principi all’interno dell’ordinamento nazionale non erano stati in grado di produrre; la ragione si rinviene nella diversa base applicativa, la ragione è nella concezione autonomistica, la ragione è nel fatto che talvolta ciò che non è considerato pena nell’ordinamento italiano, sottraendosi ai principi italiani, lo è per la CEDU e quindi non si sottrae ai corrispondenti principi CEDU – in vista della concezione autonomistica e dei tre criteri Engels che la reggono (severità, scopo e parametrazione sulla gravità della condotta e non del danno, oltre ulteriori principi che la giurisprudenza CEDU ha seguito in alcune sue pronunce).
PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA – CONFISCA URBANISTICA
In realtà la colpevolezza nell’art. 7 Cedu non c’è testualmente, perché l’art. 7 della Cedu si limita prevedere che “nessuno può essere punito negli stati che hanno aderito alla Cedu se non per un fatto previsto del diritto vigente”. E non caso la norma parla di diritto vigente e non di legge, perché nella Cedu, attesa la natura variegata degli stati che hanno aderito di civil law e common law, la legge è intesa come legge non soltanto di derivazione scritta ma anche di derivazione giurisprudenziale.
Quindi nessuno può essere punti se non fatto previsto dalla legge né con pene più severe di quelle previste al momento del fatto à si enuncia testualmente il principio di legalità e il principio di irretroattività sfavorevole ma non è nella lettera dell’art. 7 Cedu né il principio di retroattività favorevole (che pure la Corte Edu nel caso Scoppola ha ritenuto avere un base normativa in detta norma) né il principio di colpevolezza.
L’art. 7 enuncia il principio di irretroattività sfavorevole, cioè, il principio che vieta all’ordinamento penale di applicare al fatto commesso in una certa epoca una norma più sfavorevole sopravvenuta rispetto alla commissione. La ratio va rinvenuta nella necessità di tener conto e di non ribaltare il calcolo che ciascuno fa al momento della commissione del fatto sulle conseguenze penali possibili sulla base della normativa vigente.
Il principio di irretroattività sfavorevole tutela più in generale il favor libertatis, ma in realtà tutela l’affidamento che il soggetto nel momento della commissione del fatto può fare nelle conseguenze penali come disciplinate dalla normativa vigente al momento della commissione. proprio l’esigenza di non sacrificare questo calcolo, questo affidamento induce l’ordinamento a vietare al giudice di applicare al fatto una norma sopravvenuta allorché quella norma sia più sfavorevole, cioè preveda conseguenze più gravi di quelle calcolate dall’autore del fatto al momento della commissione.
Questa calcolabilità delle conseguenze penali, la tutela di questo affidamento nelle conseguenze penali, che è la ratio sottesa al principio in esame, in realtà richiama ed è legata a filo doppio con un altro principio, che è il principio per così dire di responsabilità penale personale e di colpevolezza. In un certo senso con il principio di irretroattività sfavorevole il legislatore vuole evitare che sia sacrificato l’affidamento, che il soggetto ha fatto al momento del fatto, nelle possibili conseguenze della propria condotta, inteso quell’affidamento come un aspetto del principio di personalità della responsabilità penale, c’è un legame fortissimo tra principio di irretroattività sfavorevole e principio di responsabilità penale personale e principio in un certo senso di colpevolezza. Pur non testualmente enunciato nell’art. 7 Cedu il principio di colpevolezza è dallo stesso, in un certo qual modo, desumibile, e lo stesso principio pur non testualmente citato trova quindi nella Cedu la sua base giuridica in quella disposizione.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Sul principio di legalità, senza pretesa di esaustività, cfr. MARINI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Enc. Dir., Milano, 1978, 950 ss.; PALAZZO, Legge penale, in DIg., disc. Pen, Torino, 1993, 278 ss; VASSALLI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Ibidem, 1994
[2] G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Cedam, Padova, 2012.
[3] Cfr. BERNARDI, Il principio di legalità dei reati e delle pene nella Carta europea dei diritti: problemi e prospettive, in Riv. It. Dir. Comunit., 2002, 04, 673; CONFORTI-RAIMONDI, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001.
[4] ANGELILLIS, Lottizzazione abusiva: la natura giuridica della confisca all’esame della Cedu e Corte Costituzionale, in Cass. Pen., 2008, 11, 4333.
[5] Cfr. V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, cit., secondo il quale la tutela dei terzi acquirenti dei beni lottizzati impone, ai fini della legittimità della misura ablativa, non il mero accertamento negativo della insussistenza di elementi da cui possa escludersi lo stato di buona fede, bensì la prova positiva della loro responsabilità.
[6] V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it
[7] M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, Cedu e diritto vivente, in www.penalecontemporaneo.it
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