Considerazioni critiche sulla giurisprudenza in materia di occultamento di documenti contabili

Considerazioni critiche sulla giurisprudenza in materia di occultamento di documenti contabili

Sommario: 1. La recente ordinanza n. 39824 del 2 ottobre 2023 della Corte di Cassazione, VII Sezione Penale – 2. I dubbi procedurali – 3. I dubbi sostanziali – 4. Una ragionevole e alternativa ricostruzione della fattispecie di reato

 

1. La recente ordinanza n. 39824 del 2 ottobre 2023 della Corte di Cassazione, VII Sezione Penale

Con ordinanza n. 39824 del 2 ottobre 2023, la Corte di Cassazione, VII Sezione Penale, ha recentemente dichiarato inammissibile un ricorso con il quale veniva dedotta “l’inosservanza della legge e l’omessa motivazione in relazione all’errata rilevazione del momento consumativo del reato di occultamento di scritture contabili, di cui all’art. 10 d.lgs. 74 del 2000”.

La sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’Appello di Perugia, aveva in particolare ritenuto che il reato si era consumato nel momento dell’avvenuto accertamento fiscale e aveva quindi omesso di dichiarare – come richiesto dalla difesa –  l’intervenuta prescrizione.

Senza ripercorrere i motivi di doglianza, la Suprema Corte si è limitata ad affermare che il ricorso era inammissibile per manifesta infondatezza atteso che “l’asserzione difensiva si pone in contrasto con l’interpretazione consolidata fornita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui… il delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 è … reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (ex multis, da ultimo, Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021)”.

La pronuncia in commento suscita diverse perplessità sia sotto il profilo processuale che sostanziale.

2. I dubbi procedurali

Innanzitutto, sul piano processuale, la declaratoria di inammissibilità del ricorso per “contrasto delle argomentazioni difensive con la giurisprudenza consolidata” non è normativamente contemplata.

Nel codice di procedura penale non sussiste infatti una disposizione analoga a quella di cui all’art. 360 bis c.p.c., a norma del quale il ricorso per cassazione civile deve essere dichiarato inammissibile «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa»

D’altronde, diversamente da altri ordinamenti, non sussiste in Italia il principio del precedente vincolante.

Da questo punto di vista, l’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., pur volendo garantire l’uniforme interpretazione della legge, prevede infatti che anche i principi enunciati dalle Sezioni Unite possono essere messi in discussione.

Vero è che l’art. 606 c.p.p. consente di dichiarare inammissibile il ricorso proposto per motivi «manifestamente infondati», ma è assai arduo pensare che un ricorso possa essere considerato “manifestamente” infondato soltanto perché propone un’interpretazione alternativa o una ricostruzione alternativa del momento consumativo di una fattispecie di reato (al di là ovviamente di macroscopiche forzature esegetiche).

3. I dubbi sostanziali

Quanto detto vale a maggior ragione per i ricorsi aventi ad oggetto la questione del momento consumativo del delitto di occultamento di documenti contabili previsto dall’art. 10 D.lgs. 74/00.

La disposizione richiamata, come noto, punisce «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari».

In giurisprudenza si ritiene che, mentre la distruzione di scritture/documenti contabili obbligatori costituisce “un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione”, l’occultamento – “consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione” (Cass., sez. III pen., 25 maggio 2016, n. 14461. In tal senso v. anche Cass., sez. III pen., 7 marzo 2006, n.13716).

Tuttavia, una simile interpretazione non convince completamente.

In primis, a voler applicare rigorosamente questa classificazione (reato permanente) al reato di occultamento, il dies a quo della prescrizione dovrebbe decorrere non dall’accertamento fiscale ma da quando i documenti, originariamente occultati, vengano successivamente (e tardivamente) esibiti agli organi verificatori o all’Autorità Giudiziaria (in tal senso v. Cass., sez. III pen., 13 ottobre 2020, n. 10106 per cui “leventuale, successiva, produzione della documentazione fa solo cessare la permanenza del reato stesso”) o da questi ritrovati.

Ed infatti, l’art. 158, comma 1, c.p. stabilisce che «il termine della prescrizione decorre…. per il reato permanente … dal giorno in cui è cessata la permanenza».

A ben vedere, ammettendo tale interpretazione, laddove l’indagato/imputato non esibisse mai i documenti asseritamente “occultati”, la prescrizione – per assurdo – non incomincerebbe mai a decorrere e il reato sarebbe perseguibile senza limiti di tempo.

Ciò senza contare che, laddove i documenti asseritamente occultati non siano stati successivamente recuperati dalla Guardia di Finanza (ad es., in seguito ad una perquisizione domiciliare dell’indagato), è estremamente difficile sostenere che si tratti di occultamento e non invece di distruzione.

Ed infatti, anche a fronte di un indizio di occultamento (ad es. quando siano state recuperate le scritture occultate di altre annualità o di diverse aziende riconducibili al medesimo imputato), come è possibile stabilire che le scritture non rinvenute (dell’annualità o azienda d’interesse) siano state nascoste e non invece distrutte?

Ed ancora, a fronte di un indizio/prova di occultamento delle specifiche scritture per cui è processo, come è possibile stabilire che le scritture, inizialmente occultate, non siano state successivamente distrutte?

Questo potrebbe essere a ben vedere estremamente probabile nel caso di indagini che, partendo da un’azienda e procedendo poi a ritroso sulle società riconducibili al medesimo legale rappresentante, coinvolgano anche società le cui attività siano cessate a seguito di liquidazione. Invero, a fronte della chiusura dell’attività imprenditoriale senza accertamenti della finanza, l’imprenditore potrebbe verosimilmente essere indotto a distruggere le carte originariamente solo occultate.

A ben vedere, in una prospettiva garantista, nel caso di scritture obbligatorie mai ritrovate dovrebbe parlarsi sempre di distruzione. D’altronde se tale documentazione non è stata rinvenuta nei luoghi nella disponibilità dell’imputato è più probabile che sia stata distrutta piuttosto che nascosta.

Nel caso invece di ritrovamento delle scritture “scomparse” verrebbe meno l’impossibilità di ricostruire il reddito e/o volume di affari e cioè il pericolo che costituisce evento del reato (v., in materia, Cass., sez. III pen., 13 ottobre 2020, n. 10106).

In altri termini Il pericolo, seppur sorto, non si concretizzerebbe.

4. Una ragionevole e alternativa ricostruzione della fattispecie di reato

Alla luce delle criticità segnalate, in controcorrente rispetto alla giurisprudenza, si ritiene che il reato di occultamento di documenti contabili, così come quello di distruzione dei medesimi documenti, possa considerarsi un reato istantaneo e non un reato permanente.

Difatti, il pericolo consistente nella probabile impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari e cioè l’offesa, nucleo del reato, verrebbe ad integrarsi ed esaurirsi con l’occultamento così come con la distruzione delle scritture obbligatorie. Ciò indipendentemente da quando viene fatto l’accertamento fiscale, che in ipotesi potrebbe anche non essere mai eseguito.

Nel caso di distruzione così come in quello di occultamento senza successivo ritrovamento dei documenti contabili (e cioè quando il pericolo diventa di fatto danno), si potrebbe al più parlare di reato istantaneo ad effetti permanenti.

Come noto, tale classificazione – riconosciuta da una parte soltanto della dottrina – non ha ripercussioni sul momento consumativo del reato (che si colloca al momento della condotta) e conseguentemente sul dies a quo della prescrizione.

L’interpretazione proposta trova peraltro conforto in alcune sentenze di legittimità relative ad un reato in parte simile.

In particolare, con riferimento al reato previsto dall’art. 490 c.p.  – che, come noto, punisce «chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero, o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno» –  la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “dalla formulazione della norma …. si ricava che il legislatore con i termini alternativi “distrugge”, “sopprime”, “occulta”, ha voluto indicare diverse modalità di un’azione di sottrazione, la quale per sua natura si consuma nel momento nel quale viene posta in essere, togliendo il documento dalla disponibilità della p.a.: in tale senso l’espressione “occulta” va intesa nel significato di prendere e collocare l’atto in luogo ignoto all’avente diritto e non invece in quello di mantenere nascosto lo stesso. Ne consegue il carattere istantaneo del reato anche qualora venga realizzato tramite occultamento” (Cass., sez. V penale, 11 febbraio 2000, n. 3404. Nello stesso senso, più di recente, Cass., sez. V pen., 24 maggio 2019, n. 28052).

Sussistono pertanto diversi elementi per mutare l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione sul momento consumativo del reato di occultamento di documenti contabili.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Avv. Matteo Cremonesi

Laureato con lode, nell’Aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Pavia con tesi in Diritto Fallimentare dal titolo: “Gli strumenti di risanamento della crisi d’impresa nella prospettiva della continuità aziendale diretta” (Relatore Avv. Prof. Fabio Marelli).Ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense indetto con D.M. 14 settembre 2020 nella seduta del 23 novembre 2021. Ha sempre svolto la propria attività in ambito penalistico, collaborando, sin dall’inizio del suo percorso professionale nell’ottobre 2017, con lo Studio Legale Sirani di Milano. All’interno dello Studio, ha maturato una significativa esperienza in tema di reati contro la persona e contro il patrimonio, di reati informatici, societari e fallimentari, di infortuni sul lavoro e in tema di responsabilità degli intermediari finanziari.Presta sistematicamente consulenza in materia di misure di prevenzione (interdittive e patrimoniali) applicate ai sensi del D.Lgs. 159/11, sicurezza sul lavoro e di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato. E’ uno dei referenti del servizio di cooperazione giudiziaria riguardante la “data retention” che lo Studio presta per conto di uno dei primari internet service provider attivi sul mercato mondiale. Si occupa altresì dei reati previsti dal codice della strada e degli illeciti previsti dal testo unico sulla droga.

Articoli inerenti