Considerazioni in tema di in house providing alla luce della Corte Costituzionale 27 maggio 2020, n. 100
Sommario: 1. Premessa. Lo stato dell’arte dell’in house providing (cenni) – 2. La sentenza n. 100/2020 della Corte Costituzionale – 3. Focus sul requisito del controllo analogo (congiunto) – 4. Considerazioni conclusive
1. Premessa. Lo stato dell’arte dell’in house providing (cenni)
Con l’intento di fornire solo alcune considerazioni su una materia che meriterebbe ben altro tipo di approfondimento, si proveranno a definire – traendo spunto dal recente pronunciamento della Corte Costituzionale – le coordinate orientative minime circa il fenomeno dell’in house providing: da tempo noto nel contesto economico-normativo comunitario, ha trovato una (tardiva) positivizzazione nel nostro ordinamento prima nel d.lgs 50/2016 e ss.mm.ii (cd. ‘Codice dei contratti pubblici’), poi all’interno del d.lgs 175/2016 e ss.mm.ii (cd. Testo Unico sulle Società a partecipazione pubblica – cd. ‘TUSP’)1; nonché nelle Linee Guida ANAC n.72.
Interventi, questi, che hanno cercato di conferire sistematicità e coerenza ad un ambito tradizionalmente connotato da un dibattito che ha visto raffrontate (se non contrapposte) la potestà pubblica di aggiudicazione di forniture, prestazioni o servizi mediante procedure d’appalto, e la facoltà di auto-produzione generalmente riconosciuta in capo alle P.A3.
Allo stato attuale, la disciplina dell’in house si rinviene (in estrema sintesi) nei seguenti caratteri fondamentali:
con riferimento al ‘Codice dei contratti pubblici’4: – assimilazione del prestatore in house all’amministrazione aggiudicatrice sussistenza di un controllo analogo (art. 5, comma 2), svolto anche contemporaneamente ed in maniera congiunta tra più amministrazioni (art. 5, comma 4); – delimitazione del raggio d’azione potenziale (nell’ottica di preservare il più possibile il libero gioco della concorrenza), prescrivendo un ‘contingente minimo di attività prevalente’ (80%) da svolgere a favore del soggetto pubblico partecipante (art. 5, comma 1, lett. b); – previsione di un regime speciale dedicato (art. 192);
con riferimento al ‘TUSP’5 (art. 2, comma 1, lett. o) ): – conferma del requisito del controllo analogo (congiunto); – possibilità di compartecipazione di capitali anche privati (nelle forme previste all’art. 16, comma 1); – conferma del requisito dell’attività prevalente (art.16, comma).
Peraltro, appare quantomai pacifico poter ricorrere ad affidamenti diretti a favore di società in house senza espletare apposite gare d’appalto (per quanto tale possibilità, in alcuni casi, vada incontro a limiti insuperabili6) specie laddove si segua l’indirizzo interpretativo che considera queste entità come una sostanziale promanazione della pubblica amministrazione7 (senza che ciò configuri, quindi, una tipologia societaria avulsa dal sistema ordinamentale)8; ad ogni buon conto, ogni definitiva categorizzazione è molto spesso rimessa ad apposite pronunce giurisdizionali9. E ancora, a monte di tutto ciò si collocano le diverse considerazioni svolte in merito all’ordinarietà, ovvero all’eccezionalità, del modello in questione10.
2. La sentenza n. 100/2020 della Corte Costituzionale
Con la pronuncia in commento, la Consulta affronta una questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 192 del ‘Codice dei contratti pubblici’, laddove lo stesso prevede (comma 2) l’obbligo di motivazione da parte della pubblica amministrazione che, in veste di stazione appaltante, opti per un affidamento diretto in house a fronte di un potenziale ricorso al mercato – con le intuibili conseguenze dirette in termini concorrenziali.
A ben vedere, invero, la questione prende le mosse da un’ordinanza di inizio 2019 con cui la V sezione del Consiglio di Stato11 ha rimesso alla Corte di Giustizia europea due questioni rilevanti:
– la compatibilità o meno con il diritto comunitario di una normativa nazionale che storicamente osserva una preferenza di fondo per l’espletamento di procedure d’appalto, subordinandovi la facoltà di ricorrere allo strumento dell’in house providing (con ciò potenzialmente frustrando i principi di libera amministrazione delle autorità pubbliche e di equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse per le P.A.);
– la congruenza della normativa interna rispetto a quella comunitaria con riferimento alla ‘tempistica’ di assunzione del requisito del controllo analogo congiunto rispetto all’acquisizione di quote societarie, ed alla contestuale possibilità di effettuare affidamenti diretti senza ricorrere a gara pubblica12.
A poco più di un anno di distanza, la CGUE (ordinanza sulle cause C-89/19 e C-91/19 del 6 febbraio 2020 – Rieco Spa) si è espressa chiarendo (rectius, ribadendo) che: “L’ affidamento in house è una delle soluzioni possibili alle quali può ricorrere un’amministrazione per organizzare la gestione dei propri servizi, ma il legislatore nazionale può prevedere una normativa che subordini il ricorso a questa modalità a una verifica di congruità rispetto al mercato”13, così risolvendo in senso negativo la questione di potenziale confliggenza tra l’ordinamento italiano e quello eurounitario e, a un tempo, chiarendo che la libertà sulla scelta del metodo di gestione ottimale dei servizi pubblici incontra un invalicabile limite nel rispetto delle regole dei Trattati e di principi-cardine quali la parità di trattamento, il divieto di discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.
In questo quadro, a rivelarsi cruciale è la decisione a monte dello Stato membro, o per meglio dire delle P.A. dello Stato membro che nell’esercizio delle proprie capacità di auto-determinazione hanno modo di sottoporre a vincoli condizionali le opzioni in house / mercato e acquisizione di partecipazioni pubbliche / susseguente affidamento del servizio.
Come accennato ad inizio paragrafo, con la sentenza n. 100/2020 la Corte replica ad una q.l.c. promossa dal Tar Liguria (sez. II, 15.11.2018, n. 886), e fondata su motivazioni che ridondano:
a) nella presunta violazione del divieto di gold plating14 da parte del legislatore che ha recepito le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici;
b) nella violazione dei principi comunitari in materia di in house providing, venendo eccepito il mancato svolgimento di opportune considerazioni economico-qualitative rispetto alle modalità di affidamento di determinati servizi pubblici, secondo un iter logico-argomentativo graduato che porrebbe al termine della scala di preferenze il ricorso all’affidamento senza gara;
c) nella carenza dell’apparato motivazionale ed istruttorio approntato dalla controparte a sostegno della soluzione in house, in quanto ritenuto del tutto avulso da qualsiasi contrappunto realisticamente contemplato nella ‘relazione illustrativa’ predisposta ai sensi dell’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/201215.
Il Giudice delle Leggi, nel dichiarare non fondata la questione – dopo aver scandagliato le opposte deduzioni addotte dal Tar Liguria e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato – con riferimento al punto sub a) si trova ad affermare (rifacendosi alla sopracitata ordinanza) che la “ratio del divieto [di gold plating], assurto a criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice pro-concorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato”16; con riferimento ai punti sub b) e sub c) sancisce, del resto, che l’obbligo di motivare le modalità prescelte per gli affidamenti di servizi pubblici – come previsto dall’art. 192, comma 2 del ‘Codice dei contratti pubblici’ per il mancato ricorso al mercato17, e in maniera più settoriale dall’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012 – risponde ad interessi costituzionalmente garantiti (trasparenza amministrativa; della tutela della concorrenza)18, senza andare perciò in contrasto con il criterio direttivo previsto dall’art. 1, comma 1, lett. a) della l. n. 11/201619.
3. Focus sul requisito del controllo analogo (congiunto)
Il carattere probabilmente più tipico (e, specularmente, forse più problematico) del modello dell’in house providing è quello relativo al soddisfacimento del requisito del controllo analogo20, e cioè l’esercizio in concreto di un controllo strutturale, funzionale ed effettivo sulla gestione della persona giuridica verso la quale esso viene dispiegato21. Esso può essere svolto anche contemporaneamente da più soggetti pubblici in maniera congiunta22, originando il fenomeno del cd. in house frazionato o pluripartecipato23. Incidentalmente, con l’ordinanza dello scorso ottobre la CGUE ha escluso la violazione delle disposizioni contenute nella direttiva n. 2014/24/UE da parte dell’art. 192, comma 2 del ‘Codice dei contratti pubblici’ e dell’ art. 4, comma 1 del ‘TUSP’ nella misura in cui identificano proprio i requisiti per l’affidamento diretto in favore delle società in house pluripartecipate.
Del resto, il possesso del requisito del controllo analogo (congiunto)24 è un tema che è stato più volte affrontato sia dalla giurisprudenza comunitaria25 (per cui esso deve risultare “incisivo, effettivo e concreto”26 in relazione “[al]l’articolazione ed [a]i poteri degli organi statutari che determinano decisioni ed obiettivi strategici […]”27) che dalla nostra giurisprudenza amministrativa (secondo la quale esso non deve risolversi in una mera formalità, ovvero in una partecipazione puramente ‘di facciata’ e preordinata all’elusione delle regole delle procedure ad evidenza pubblica28, e deve essere valutato “secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente”29), a testimonianza di come tanto il fenomeno in generale, quanto il requisito in particolare30 rivestano un’importanza non indifferente.
4. Considerazioni conclusive
La sentenza n. 100/2020 afferma la non illegittimità costituzionale dell’obbligo motivazionale previsto dal ‘Codice dei contratti pubblici’ in capo alle stazioni appaltanti e consistente nell’esposizione, nel provvedimento di affidamento diretto, delle ragioni del mancato ricorso al mercato.
Se da lato la pronuncia ribadisce la piena validità di quello che sicuramente costituisce un onere supplementare – di fatto imponendo, a monte della decisione della P.A., una seria ricognizione discrezionale fondata su opportune ragioni di carattere (assieme) amministrativo, tecnico ed economico -, dall’altro essa fa intuire, quasi in controluce, quanto il modello dell’in house providing non sia affatto un fenomeno extra ordinem. Al contrario, lo stesso è declinato quale istituto pienamente legittimato all’interno del nostro ordinamento: basti considerare la linea di continuità da tempo tracciata dal legislatore – specie con riferimento alla gestione dei servizi pubblici locali (anche a rilevanza economica)31 – e ancora la previsione di norme dedicate all’interno del ‘Codice’ (quelle della sentenza in commento) o del ‘TUSP’32. In buona sostanza, la necessaria motivazione deve tradursi in un’attenta valutazione sulla congruità economica dell’oggetto e del valore della prestazione contenuta nell’offerta presentata dai soggetti in house, (al pari di quella che sarebbe la valutazione delle offerte di operatori economici che partecipassero ad una gara d’appalto), senza che intervenga alcun profilo di eccezionalità33, nemmeno prospettando un apprezzabile restringimento dei margini concorrenziali del mercato di riferimento34.
1“La nozione comunitaria dell’in house providing è stata mutuata dall’ordinamento anglosassone, ove è tradizionalmente contrapposta all’ipotesi del contracting out, come modalità con la quale una pubblica amministrazione dispone per l’approvvigionamento di beni e forniture, ovvero l’erogazione di servizi. L’ordinamento anglosassone contempla, in effetti, procedure concorrenziali con le quali le amministrazioni pubbliche sono tenute a confrontare l’opzione dell’in house con la possibilità di esternalizzare (contracting out) l’esercizio dell’attività o la produzione delle risorse necessarie al suo svolgimento, onde ottimizzarla in conformità ai principi di economicità, efficacia ed efficienza. Il produttore in house è soggetto, così, ad un confronto concorrenziale con produttori “esterni”, ma, in caso di affidamento a quello dell’attività oggetto della procedura concorsuale, il rapporto tra pubblica amministrazione e produttore in house non è di tipo contrattuale, sfuggendo, quindi, alla disciplina comunitaria sugli appalti pubblici. Ove, invece, la p.a. decida di affidare l’attività, che è stata oggetto di confronto concorrenziale con l’opzione in house, ad un produttore “esterno”, il rapporto giuridico ha natura contrattuale e sarà assoggettato alla disciplina comunitaria sugli appalti” [P. Rossi, Le “nuove” società in house nella riforma Madia, tra perdurante specialità e transizione al diritto comune, in Amministrazione In Cammino, 23 febbraio 2018, p. 2]. Si veda anche, con analoghe argomentazioni: P. Canaparo, L’ “In house“: dal “mercato grigio” degli appalti senza gara all’elenco istituito dall’Anac, in Appalti&Contratti online, 10 maggio 2017.
Circa la differenza tra in house ed outsourcing, e sull’indifferenza al ricorso all’uno o all’altro strumento, il Consiglio di Stato (sez. VI, 30.04.2018, n. 2583) si è trovato ad affermare che: “L’affidamento in house si fonda sul diritto europeo, che considera la concorrenza fra soggetti economici un valore essenziale da promuovere: la regola generale è che le Amministrazioni indicano le gare per la scelta del proprio contraente (nei settori disciplinati dal diritto europeo), ma dall’art. 51 del Trattato sul funzionamento dell’Unione – TFUE (richiamato al successivo art. 62 in materia di servizi) si desume una possibile deroga, quando si tratti delle “attività” che nello Stato membro “partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”. In tal senso, le legislazioni nazionali possono stabilire se le P.A. (per procurarsi beni e servizi economici) debbano rivolgersi a soggetti privati (outsourcing o contracting out) oppure possano procurarseli con una propria struttura (in house providing). La scelta fra le due alternative è libera, nel senso che il diritto europeo non impone un obbligo generalizzato di outsourcing, ma dispone che l’Amministrazione – qualora voglia concludere contratti con soggetti privati – non alteri la concorrenza e dunque indica le pubbliche gare. Per altro verso, per il diritto europeo è indifferente se la provvista di beni o servizi risulta svolto per il tramite di un soggetto giuridicamente distinto dall’ente pubblico che se ne avvale, purché il risultato finale sia invariato”. Cfr., in senso similare: Tar Lombardia, sez. II, 09.05.2016, n. 639, per il quale le P.A. “[…] non hanno alcun obbligo di procedere sempre e comunque all’outsourcing e invece possono, se ciò ritengano, produrre in proprio, ovvero in house, gli stessi beni e servizi che potrebbero comperare sul mercato”; pertanto, la scelta effettuata da un ente locale di rendere un servizio pubblico “con una certa modalità organizzativa piuttosto di un’altra, ovvero in questo caso di ricorrere all’in house e non esternalizzare, è ampiamente discrezionale, e quindi, è sindacabile nella presente sede giurisdizionale nei soli casi di illogicità manifesta ovvero di altrettanto manifesto travisamento dei fatti” (notoriamente, classiche figure sintomatiche dell’eccesso di potere).
2“Linee Guida per l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016”. Non potendosi in questa sede dibattere circa la natura e l’inquadramento delle linee guida approvate dall’Autorità anticorruzione, si rimanda al parere del Consiglio di Stato dell’1 aprile 2016, n. 855.
3Nel senso di facoltà di auto-organizzazione e svolgimento di compiti di interesse pubblico attraverso proprie risorse (amministrative, tecniche, economiche), senza l’obbligo di rivolgersi all’esterno (in tal senso: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa n. C-324/07 (Coditel Brabant) del 13.11.2008, punto n. 48 della motivazione; sentenza n. 573/2009 (SEA) del 10.09.2009, punto n. 57 della motivazione; causa n. C-553/15 (Undis) del 08.12.2016, punto n. 30 della motivazione). In questi termini, viene meno la sussistenza dei presupposti di applicabilità della disciplina dell’evidenza pubblica, giacché per la dimensione del fenomeno totalmente interna alla P.A. “non si può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un’entità giuridicamente distinta da essa” (causa C-26/03 – Stadt Halle-, punto n. 48 della motivazione). In effetti “[…] ciò significa semplicemente che i requisiti dell’ in house, nato come eccezione alla regole della liberalizzazione degli acquisti, devono essere oggetto di interpretazione restrittiva […] Del pari, tuttavia, gli stessi enti pubblici, in virtù del principio di auto-organizzazione amministrativa, noto al nostro ordinamento giuridico prima ancora del recepimento dell’acquis comunitario, hanno la facoltà – cui ricorrere in via principale e non meramente eccezionale – di erogare i servizi pubblici direttamente, senza avvalersi del mercato, ovviamente purché ciò sia finanziariamente ed economicamente sostenibile, ricorrendo all’auto-produzione, dunque, attraverso la gestione in economia ovvero tramite affidamento diretto a società c.d. in house” [M. Passalacqua, Il disordine dei servizi pubblici locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, Giappichelli, Torino, 2016 p. 15]. Si veda anche: E. Caruso, Principio di libera amministrazione, in house providing e cooperazione fra amministrazioni. Brevi riflessioni a partire da Corte cost. n. 65 del 2019 sul sistema idrico integrato della Regione Sardegna, in Le Regioni, n. 3/2019. pp. 776-810.
4In generale, sul tema in house providing e Codice dei contratti pubblici: F. Fracchia, In house providing, codice dei contratti pubblici e spazi di autonomia dell’ente pubblico, in Il diritto dell’economia, Stem. Mucchi Editore, n. 2/2012; M. Donato, Appalti – Governo: in house providing nel Decreto 50/2016, in Filodiritto.it del 6 luglio 2016; G. B. Reggiani, In house providing, capitali privati e vincoli per il legislatore, in Federalismi.it, n. 23/2019; C. P. Guarini, Il principio eurounitario di «libera amministrazione delle autorità pubbliche» nelle direttive UE nn. 23 e 24 del 2014 su contratti e appalti pubblici e l’impatto sulla normativa interna di recepimento in tema di in house providing, in Euro-Balkan Law and Economics Review, n. 1/2019, pp. 78-97; L. Facondini, Affidamento del servizio tramite procedura ordinaria o in house providing: la scelta del contraente da parte della P.A., in diritto.it del 24 febbraio 2020.
5Per una esaustiva disamina del nuovo Testo Unico, si prendano a riferimento: S. Fortunato, F. Vessia, Le “nuove” società partecipate e in house providing, Giuffrè, Milano, 2017; F. Cerioni (a cura di), Le società pubbliche nel Testo Unico: D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Milano, Giuffrè, 2017; S. Nicodemo, M. V. Susanna, Società a partecipazione pubblica. Commento al D.LGS 19 agosto 2016, N. 175 e D.LGS 16 giugno 2017, N. 100 (C.D. CORRETTIVO), Pacini Giuridica, Pisa, 2018; R. Garofoli, A. Zoppini, Manuale delle società a partecipazione pubblica, Nel Diritto Editore, Molfetta, 2018.
6A mero titolo esemplificativo, si veda: Consiglio di Stato, sez. III, 07.05.2015, n. 2291, secondo cui (con riguardo al divieto di affidamento diretto in house di un servizio di pulizia e sanificazione delle strutture di una ASL) il modello in parola rappresenta, prima ancora di una delle possibili modulazioni organizzative dell’amministrazione pubblica, un’eccezione alle regole generale di diritto eurounitario, per il quale si fa necessità dell’affidamento degli appalti pubblici mediante l’espletamento di una procedura di gara.
Successivamente, sempre il Consiglio di Stato (sez. III, 03.04.2017, n. 1517) ha reso sentenza tra le parti: a) disponendo l’ottemperanza della predetta pronuncia – era nel frattempo già intervenuta l’approvazione del d.lgs. 175/2016 e ss.mm.ii.; b) escludendo dallo spazio decisionale residuo a disposizione della ASL l’opzione del ricorso all’in house, non ritenendolo tra le soluzioni praticabili in esecuzione del giudicato; e c) prescrivendo l’alternativa dell’indizione di una nuova gara oppure dell’adesione ad una convenzione stipulata da altra amministrazione. Cercando di mettere un punto fermo sulla questione, la medesima sezione (con sentenza del 19.01.2018, n. 358) ha infine sancito – richiamando l’art. 4, comma 2 del suddetto decreto legislativo, secondo il quale le amministrazioni pubbliche “possono, direttamente o indirettamente, costituire società o acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate: […]”, tra le quali “d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento” – la portata generale dell’istituto dell’in house providing (ancorché circoscrivibile, per l’appunto, all’autoproduzione di beni o servizi strumentali).
7Cfr.: Corte di Cassazione, sez. II, 14.03.2016, n. 4938 (“[…] “la natura in house providing della società partecipata vanifica il dato formale della sua distinta personalità giuridica e giustifica in toto l’assimilazione della stessa società alle articolazioni organiche dell’ente pubblico, degli enti pubblici che al suo capitale partecipano in forma totalitaria; la società in house, in fondo, è una sorta di ‘impresa-organo’ […]”).
Nello stesso senso: Corte Costituzionale, 20.03.2013, n. 46; Consiglio di Stato, sez. VI, 26.05.2015, n. 2660; Consiglio di Stato, sez. VI, 11.12.2015, n. 5643; Tar Lazio, sez. II, 17.06.2016, n. 7032.
8“Sulla base delle evidenze giuridiche del quadro normativo di riferimento si deve senz’altro escludere che la società in house incarni un modello organizzativo atipico, una fattispecie tipo logicamente nuova ed estranea alla rosa dei tipi societari predeterminati dal diritto societario […] non si riscontrano deviazioni dalla disciplina di diritto comune di spessore tale da legittimare l’inquadramento entro una categoria alternativa all’ente societario. Lo stesso sintagma «società in house» parrebbe fuorviante, perché impropria sintesi verbale dietro la quale si cela null’altro che una società operante in regime di in house providing. L’in house non esprime infatti un attributo riferibile al tipo sociale ma al contrario esplicita solamente una caratteristica del regime normativo con il quale la società partecipata può ricevere affidamenti diretti dalla pubblica amministrazione. Una cartina di tornasole è rappresentata dagli effetti derivanti dal sopravvenuto superamento delle condizioni prescritte per la qualificazione come società in house (art. 16, commi 5 e 6)”, cosicché “[…] la perdita delle condizioni prescritte per la qualifica […] non pone pertanto in discussione la permanenza dell’ente societario” [C. Ibba, I. Demuro, Le società a partecipazione pubblica. Commentario tematico ai d.lgs. 175/2016 e 100/2017. Volume unico., pp. 225-226].
9Sul dibattito circa la natura pubblicistica o privatistica delle società in house, cfr.: Consiglio di Stato, Ad. Commissione Speciale, 16.03.2016, n. 438 (in particolare, parr. 6 e 7), per cui “l’interesse pubblico non parrebbe idoneo ad alterare il tipo societario, portando ad una configurazione di una società difforme da quella contemplata nel codice civile” – pertanto, il duplice orientamento sulla natura dell’in house quale mera articolazione della P.A. o quale persona giuridica di diritto privato (regime pubblicistico versus regime privatistico) si risolve nel senso che “la società in house mantiene una forte peculiarità organizzativa, imposta dal diritto europeo, che la rende non riconducibile al modello generale di società quale definito dalle norme di diritto privato”; Corte di Cassazione, sez. VI, 05.07.2018, n. 30441, per cui ad una società in house che gestisce servizi pubblici locali va riconosciuta natura pubblica, con la duplice conseguenza che per le assunzioni di personale la stessa è soggetta alle regole del TUEL, e che i relativi soggetti operanti con funzione apicale sono pubblici ufficiali per il fatto stesso di concorrere alla predisposizione di atti con efficacia pubblicistica (ciò che porta, nel caso di specie, alla condanna per abuso di ufficio e falso in atto pubblico dell’Amministratore Delegato di tale società, del Responsabile della Direzione del Personale e del Presidente della commissione esaminatrice, tutti coinvolti nell’assunzione di 41 dipendenti secondo logiche clientelari ed in violazione delle regole sulle procedure di assunzione per pubblici concorsi generalmente applicabili); Consiglio di Stato, sez. V, 27.06.2018, n. 3946, il quale positivamente pronunciandosi circa la possibilità di trasformare una società per azioni in house providing in un’azienda speciale, la caratterizza quale “ente pubblico economico strumentale all’ente locale”; la trasformazione in parola si sostanzia dunque in una “ri-pubblicizzazione” dell’organismo che è chiamato alla gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Si è perciò di fronte ad un “mutamento della forma organizzativa dello stesso soggetto imprenditoriale”, dal momento che la stessa azienda speciale è “strettamente compenetrata all’ente locale”, come una “struttura comunque incardinata nella più ampia organizzazione pubblicistica dell’ente pubblico”.
A riguardo, sia da ultimo consentito rimandare a: A. Indelicato, Sulla natura giuridica delle società in house: il caso SOGEI S.p.a., in SalvisJurbus, 18 novembre 2018 (http://www.salvisjuribus.it/sulla-natura-giuridica-delle-societa-in-house-il-caso-sogei-s-p-a/): il Consiglio di Stato (sez. III, 18.10.2018, n. 5970) attribuisce alla Società Generale d’Informatica S.p.a., operante nel settore ICT, la qualifica di società in house del MEF (dal quale è partecipata al 100%), e per questo motivo “[…] la facoltà accordata a SOGEI S.p.a. di produrre atti e documenti che ricadono nell’applicabilità dell’art. 2700 c.c. (‘Efficacia dell’atto pubblico’) non contrasta con la sua forma societaria privatistica; di tal che essa può ben dirsi affidataria di una mission di connotazione marcatamente pubblicistica”.
10Sull’attualità e la non eccezionalità del modello dell’in house si vedano, ad esempio: Consiglio di Stato, sez. VI, 11.02.2013, n. 762 (“[…] deve ritenersi acclarata la legittimità dell’internalizzazione, essendo venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità della gestione diretta o in economia per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Cfr. anche: Consiglio di Stato, sez. V, 27.05.2014, n. 2716; Tar Veneto, sez. I, 25.08.2015, n. 249, circa l’equiordinazione delle differenti modalità di affidamento (appalto pubblico o affidamento diretto), con preferenza per l’autoproduzione qualora la stazione appaltante non svolga le necessarie considerazioni di natura tecnico-economica che renderebbero più opportuno l’affidamento con evidenza pubblica rispetto a quello in house; Tar Lazio, sez. II-ter, 22.03.2016, n. 3585, sulla scelta della società AMA S.p.A. di Roma di revocare l’appalto ad un consorzio che gestiva il servizio di raccolta differenziata di indumenti usati sul territorio comunale ed internalizzare il servizio (“[…] Ordinariamente, è la scelta di esternalizzare un servizio, in quanto costituente un’eccezione all’esecuzione in house – ovvero con personale e mezzi dell’Amministrazione erogante – che va adeguatamente motivata, dovendosene dimostrare la coerenza con i principi di economicità ed effettività dell’azione amministrativa. Nel caso di specie, appare evidente che la scelta dell’AMA spa si è orientata nella decisione di “internalizzare” il servizio perché il complesso dei riferimenti emergenti sia dall’indagine dell’AGCOM sia dalla ordinanza c.d. “stracci” é tale da far dubitare dell’opportunità di ricorrere ancora al mercato e ciò a prescindere da profili personali o soggettivi di responsabilità degli operatori economici coinvolti (circostanze che invece hanno pesato nella decisione di revocarne l’aggiudicazione). Analogamente, le “insufficienze” nella gestione del servizio pregresso vengono in rilievo non tanto come presupposti di responsabilità dell’esecutrice, quanto come altrettanti elementi di criticità dell’organizzazione del servizio stesso in sé considerate che necessita di essere diversamente strutturato”); Consiglio di Stato, sez. V, 10.04.2018, n. 2168, che si esprime nel senso che l’in house provinding non può considerarsi un fenomeno straordinario, a maggior ragione laddove esso trae la propria effettiva ragion d’essere nel solco delle tradizionali vie procedimental-amministrative (nella fattispecie, va escluso il rapporto immediato, diretto e necessario – che comporterebbe un effetto caducante – nella successione tra un atto di competenza della Giunta comunale, e un atto adottato dal Consiglio comunale con cui la P.A. ha acquistato una quota del capitale sociale provvedendo così alla gestione del servizio di igiene urbana secondo il modello in house); Corte dei Conti, Sez. Regionale di controllo per la Regione Campania, 18.04.2018, n. 57/PAR (massima: è ammessa la possibilità di costituire una società in house providing avente come attività l’accertamento e la riscossione dei tributi locali, alle condizioni previste dalla normativa comunitaria e dal ‘TUSP’, sussistendo inoltre la possibilità di estendere alla compartecipazione di più enti locali limitrofi la partecipazione al capitale sociale; ciò implica che la garanzia dell’effettivo esercizio del controllo analogo va individuata con riferimento a tutti gli enti partecipanti unitariamente considerati e non necessariamente a livello del singolo ente partecipante); Tar Emilia-Romagna, sez. II, 21.05.2019, n. 461.
In senso contrario, si vedano, ex multis: Consiglio di Stato, sez. V, 10.09.2014, n. 4599; Consiglio di Stato, sez. V 12.05.2016, n. 1900; Tar Lombardia, sez. III, 03.10.2016, n. 1781 (in particolare, sull’enfasi della motivazione rinforzata per il mancato ricorso alla procedura di appalto pubblico); Tar Valle d’Aosta, sez. unica, 20.02.2017, n. 7, circa la residualità rispetto alla regola generale che impone il ricorso al libero mercato, da ritenersi la modalità ordinaria di individuazione dei contraenti della P.A. nel rispetto dei canoni della concorrenzialità.
11Ordinanza n. 138 del 07 gennaio 2019. Analoghe rimessioni sarebbero state disposte poco dopo, sempre dalla V sezione (ordinanze nn. 293 e 296 del 14 gennaio 2019).
12Precisamente: “Deve essere rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’art. 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate, approvato con d.lgs. n. 175 del 2016) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire, in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipato”.
13A. Barbiero, Affidamento in house in linea con le regole Ue se la scelta è congrua e motivata, in Quotidiano Enti Locali&P.A., 05 aprile 2020 (https://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/edilizia-e-appalti/2020-03-31/affidamento-house-linea-le-regole-ue-se-scelta-e-congrua-e-motivata-194333.php?uuid=ADmkFHH).
14Siffatto divieto di gold plating – vale a dire l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive – è entrato a far parte del nostro ordinamento con l’art. 15, comma 2, lett. b) della l. n. 183/2011, che ha inserito nell’art. 14 della l. n. 246/2005 i commi 24-bis (“[…][g]li atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salvo quanto previsto al comma 24-quater […]”), 24-ter (che specifica quali siano questi livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti: “[…] a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive […]”) e 24-quater (“[…] [l’]amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali, valutate nell’analisi d’impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria. Per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, le Amministrazioni utilizzano comunque i metodi di analisi definiti dalle direttive di cui al comma 6 del presente articolo”). Esso è poi divenuto criterio direttivo per la l. n. 11/2016, recante le deleghe al Governo che hanno portato al recepimento delle direttive comunitarie 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, ed alla redazione del ‘Codice dei contratti pubblici’.
Sul punto si veda, recentemente: N. Durante, Aspetti irrisolti in tema di gold plating e di efficacia scriminante delle linee guida, relazione al Convegno su “I contratti pubblici: la difficile stabilizzazione delle regole e la dinamica degli interessi”, organizzato dall’Università degli Studi di Ferrara l’8 novembre 2019 (https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/375087/Durante.pdf/0a8e7f0c-133e-e67d-8454-512c2678d43a).
15Che così recita: “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.
16 Punto 5. del ‘Considerato in diritto’.
17“Ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
18Punto 6. del ‘Considerato in diritto’.
19“La norma delegata, in effetti, è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali, come emerge dalla relazione AIR dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), relativa alle Linee guida per l’istituzione dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, ai sensi dell’art. 192 del codice dei contratti pubblici […] L’onere motivazionale in questione, poi, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, non si discosta, nella sostanza, da quello imposto dall’art. 34, comma 20, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221. Quest’ultima disposizione, infatti, richiede l’indicazione delle «ragioni» dell’affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il rispetto della parità degli operatori e l’adeguata informazione alla collettività di riferimento, e ciò non può che essere letto come necessità di rendere palesi (anche) i motivi che hanno indotto l’amministrazione a ricorrere all’in house invece di rivolgersi al mercato” (punti 9. e 9.1. del ‘Considerato in diritto’).
20“Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore” (art. 5, comma 2 del ‘Codice dei contratti pubblici’).
21Di controllo analogo quale “nodo sistematico” e “critico” della qualificazione giuridica della fattispecie dell’in house providing sentita come “‘anomalia’ rispetto ai principi di diritto societario”, tratta: E. Codazzi, Le “nuove” società in house: controllo cd. analogo e assetti organizzativi tra specialità della disciplina e “proporzionalità delle deroghe”, relazione tenuta all’VIII Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale” dal titolo “Il Diritto Commerciale verso il 2020: i grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti”, svoltosi a Roma il 17 e 18 febbraio 2017. “La necessaria correlazione tra ammissibilità della partecipazione societaria dell’ente pubblico e sua incidenza sul governo societario è stata di recente sottolineata da Cons. Stato, Sez. V, 11 novembre 2016, n. 4688, che, appunto, precisa come il discrimine su cui si basa l’obbligo di dismissione delle partecipazioni sociali di cui all’art. 3, comma 27, legge n. 244/2007, non è tanto l’oggetto sociale quanto l’entità concreta della partecipazione o dei particolari poteri e diritti, vale a dire la capacità per l’ente di assicurarsi un’incidenza determinante sul governo della società partecipata: in particolare se questa partecipazione – eventualmente insieme o in alternativa a speciali diritti di socio o riserve di amministratore, ovvero a particolari rapporti contrattuali tra la società e l’amministrazione pubblica partecipante – sia tale da consentire all’ente pubblico di governare verso quei fini la società partecipata o meglio la sua attività, in ipotesi anche sulla base di caratterizzazioni esterne di matrice pubblicistica e derogatorie degli ordinari dispositivi di funzionamento propri del modello societario definito dal Codice civile […]” [p. 2].
22“Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore può aggiudicare un appalto pubblico o una concessione senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche in caso di controllo congiunto” (art. 5, comma 4 del ‘Codice dei contratti pubblici’).“Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti” (comma 5).
23Cfr.: Consiglio di Stato, sez. III, 27.04.2015, n. 2154; Tar Lombardia, sez. IV, 06.12.2018, n. 2746; Consiglio di Stato, sez. V, 30.04.2018, n. 2599.
24Per quanto concerne il controllo analogo congiunto, nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, lo stesso può anche essere esercitato da tali autorità “senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse” (causa C-324/07 – Coditel Brabant, punti 43-54; causa C-182/11 – Econord, punti 28-33). In particolare, poi, in un altro paio di cause (C-182/11 e C-183/11 del 29.11.2012) la CGUE ha riconosciuto la sussistenza di tale forma di controllo al ricorrere di una serie di requisiti assimilabili a quelli prescritti dalla disciplina normativa comunitaria in vigore, ovvero laddove: a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, oppure siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato; c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
25CGUE: causa C-107/98 del 18.11.1999 (Teckal), punti 49-50; causa C-458/03 del 13.10.2005 (Parking Brixen), punti 50-52; causa C-410/04 del 06.04.2006 (ANAV), punti 15-23.
26CGUE, causa C-15/13 dell’08.05.2014.
27CGUE: causa C-371/2008 del 17.07.2008 (ASI); sentenza n. 573/2009 del 10.09.2009 (SEA).
28Tar Abruzzo, sez. I, 10.07.2014, n. 596 (per cui è stato escluso che in caso di partecipazione “frazionata” il controllo analogo possa risolversi, solo e semplicemente, nell’esercizio di un potere direttivo da parte dell’autorità pubblica che detiene la partecipazione maggioritaria del capitale).
29Cfr: Consiglio di Stato, sez. III, 24.10.2017, n. 4902; Consiglio di Stato, sez. V, 10.09.2014, n. 4599.
30Cfr.: Tar Puglia, sez. II, 04.10.2007, n. 3436; Consiglio di Stato, sez. V, 26.08.2009, n. 5082 (per cui le regole del controllo analogo devono emergere dallo statuto o dall’atto costitutivo, mentre non posseggono invero rilievo sanante le modifiche successive all’affidamento); Tar Piemonte, sez. I, 13.06.2014, n, 1069; Tar Abruzzo, Sez. I, 10.07.2014, n. 596; Consiglio di Stato, sez. III, 26.05.2016, n. 2228; Tar Abruzzo, sez. I, 03.11.2016, n. 344; Tar Valle d’Aosta, sez. Unica, 20.02.2017, n. 7 (per cui non può ravvisarsi controllo analogo nel caso di partecipazione societaria esigua e in assenza di poteri di controllo o direzione sull’attività societaria da parte dell’ente locale, anche per mezzo di accordi con altri enti soci); Consiglio di Stato, sez. V, 18.07.2017, n. 3554; Consiglio di Stato, sez. III, 15.01.2018, n. 182 (risultando decisivo che “[…] l’ente pubblico affidante (rispettivamente, la totalità dei soci pubblici) eserciti(no), pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulta indispensabile che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato – come nella fattispecie in esame –, della totalità degli enti pubblici soci”).
31“Ancora, la norma censurata si porrebbe in continuità con le scelte compiute dal legislatore a far tempo almeno dal 2008. Ed infatti, l’art. 23-bis, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedeva che, nel caso di affidamenti in house, «l’ente affidante deve dare pubblicità alla scelta motivandola in base ad un’analisi di mercato». Il successivo e a tutt’oggi vigente art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012, in materia di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in conformità agli obblighi di trasparenza e motivazione degli atti amministrativi, impone all’amministrazione, quale che sia la forma di gestione prescelta (evidenza pubblica o affidamento diretto), di dare conto, in una apposita relazione, delle ragioni che la hanno determinata. Poiché la gestione in house si contrappone, come unica alternativa, alle diverse ipotesi di ricorso al mercato, sarebbe evidente, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, che la motivazione dell’affidamento diretto non possa prescindere dallo spiegare perché si è deciso di non aprire il confronto con il mercato. Tali «canoni interpretativi» avrebbero trovato «positiva rispondenza» nell’art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici, che, a differenza di quanto sostenuto dal rimettente, non richiederebbe un più gravoso onere motivazionale rispetto a quello imposto dall’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179 del 2012” (punto 3.2. del ‘Ritenuto in fatto’). Sul punto, tra i tanti contributi, si rimanda a: R. Ursi, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in house providing. in Diritto Amministrativo, n. 1/2005, pp. 179-209; A. Le Donne, C. Pierotti, Gestione in house dei servizi pubblici locali: contaminazioni, suggestioni, soluzioni, in ASTRID-Rassegna, n. 5/2006; C. Volpe, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale, in www.giustamm.it, n. 3/2014; D. U. Galetta, G. Carullo,Gestione dei servizi pubblici locali e modello dell’in house providing: novità, auspici e scenari futuri in una prospettiva di de-frammentazione del sistema, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 1/2016.
32“Infine, l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che reca la rubrica «[o]neri di motivazione analitica», manifesta la stessa cautela verso la costituzione e l’acquisto di partecipazioni di società pubbliche (comprese quelle in house), prevedendo, nella sua versione attuale, che «l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica […] deve essere analiticamente motivato […], evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato» (Punto 9.1. del ‘Considerato in diritto’).
33Cfr.: Tar Liguria, sez. II, 08.02.2016, n. 120, per cui “[…] L’affidamento diretto o in house – lungi dal configurarsi pertanto come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali – costituisce invece una delle (tre) normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà, ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti (Cons. di St., V, 22.1.2015, n. 257) […]” (posizione successivamente ribadita da: Consiglio di Stato, sez. V, 18.07.2017, n. 3554; Tar Lombardia, sez. I, 12.07.2018, n. 269).