Contagio da coronavirus: riconosciuto infortunio sul lavoro ad un dipendente “non tecnico della salute”
L’INAIL per la prima volta ha riconosciuto la tutela infortunistica a seguito di contagio da coronavirus contratto sul luogo di lavoro da un dipendente non sanitario(1).
Il caso è quello di una guardia giurata infettata dal Covid-19 nello svolgimento delle proprie mansioni.
Il vigilante, infatti, ha prestato servizio presso l’Ospedale Maggiore di Lodi monitorando gli accessi al Pronto Soccorso Covid del nosocomio lodigiano durante il periodo di massima allerta dell’emergenza epidemiologica in corso, contraendo una forte polmonite da coronavirus.
Tale infezione è stata considerata dall’Istituto alla stregua di un infortunio sul lavoro e non come comune malattia e pertanto ritenuto meritevole di copertura INAIL.
Giova rammentare, a tal uopo, che l’art. 42, co.2, del decreto-legge “Cura Italia” ha infatti equiparato il contagio da coronavirus occorso in occasione di lavoro ad infortunio sul lavoro.(2)
Successivamente l’INAIL con la nota n. 3675 del 17 marzo 2020 e con la circolare n.13 del 3 aprile 2020 ha fornito istruzioni operative in materia precisando che la causa virulenta è equiparata alla causa violenta.
Un accadimento è considerato, infatti, infortunio sul lavoro solo in presenza di tre fondamentali requisiti: -la causa violenta; -la lesione; -l’occasione di lavoro.
L’INAIL nell’indicata circolare ha ricordato che le malattie infettive e parassitarie sono da ricondurre alla categoria degli infortuni sul lavoro. Conseguentemente anche l’infezione da covid-19 contratta sul posto di lavoro è considerata equipollente alla causa violenta in conformità alla precedente circolare INAIL n.74 del 23 novembre 1995.
La copertura INAIL sarà riconosciuta tuttavia esclusivamente in caso di rischio professionale ovvero solo ove sia provata l’origine professionale dell’infezione e che dunque il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro o durante il tragitto casa/lavoro o viceversa.
I Giudici di Piazza Cavour hanno infatti precisato che “per poter essere indennizzabile l’infortunio sul lavoro deve costituire una conseguenza dell’esposizione del soggetto infortunato a un determinato rischio professionale ”(3).
Il nesso causale tra il lavoro ed il danno è, tuttavia, escluso in presenza del cd. “rischio elettivo” intendendosi per tale, secondo un granitico orientamento dei giudici di Piazza Cavour , “quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo in essere una causa interruttiva di agni nesso tra lavoro, rischio ed evento”(4)
Nel caso di specie il vigilante del nosocomio lodigiano ha contratto nell’espletamento delle proprie mansioni una forte polmonite da covid-19 che lo ha costretto dapprima al ricovero ospedaliero e successivamente alla quarantena domiciliare.
Si tratta di un precedente degno di nota in quanto in precedenza l’Istituto ha assicurato la tutela INAIL solo ed esclusivamente ai lavoratori del comparto sanitario e dunque ai medici, agli infermieri, ai tecnici della salute.
A tale categoria di lavoratori l’Istituto riconosce una presunzione semplice ex art.2792 cc alla luce dell’altissimo tasso di contagio a cui gli stessi sono quotidianamente esposti nell’espletamento delle loro mansioni.
Lo stesso discorso vale per i lavoratori a stretto contatto con il pubblico: si pensi agli addetti all’URP, ai banconisti, agli addetti alle vendite ecc.
La prova del rischio professionale, conseguentemente, per tale categoria di dipendenti è più semplice rispetto al resto dei lavoratori non operanti in tale comparto: essi infatti possono beneficiare dell’inversione dell’onere probatorio dovendo provare soltanto l’avvenuto contagio da coronavirus e lo svolgimento di mansioni rientranti in tale categoria.
Sarà onere dell’INAIL, invece, contestare la natura professionale del contagio provando, ad esempio, che l’infezione è stata contratta in ambiente familiare e non invece sul posto di lavoro ecc.(5)
L’assolvimento dell’onere probatorio è molto più complesso invece per i lavoratori non appartenenti al comparto sanitario contagiati dal coronavirus sul posto di lavoro nonostante il rispetto dei protocolli.
Come dichiarato dal Presidente dell’INAIL, Franco Bettoni, sono diverse migliaia i lavoratori infettati per ragioni di lavoro dal coronavirus non operanti nel settore sanitario.
Si pensi ad esempio agli sportivi professionisti, agli addetti alle pulizie, alle guardie giurate, ai dipendenti delle onoranze funebri e via discorrendo.
Per tali lavoratori la prova della natura professionale del contagio è estremamente complessa.
Per questi ultimi non opera infatti la presunzione semplice ex art 2792 cc prevista per i sanitari e per coloro che lavorano front-office.
Per tale categoria di lavoratori l’INAIL nella circolare n.13/2020 ha precisato che “…ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può desumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l’accertamento medico legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale”
E’ evidente pertanto che in tali casi l’onere probatorio è totalmente a carico dell’infortunato.
Alto è, pertanto, il rischio per quest’ultimo di vedersi rigettata l’istanza per non aver provato adeguatamente la ricorrenza, ai sensi dell’art. 2697 cc, dei presupposti richiesti dalla legge per detto riconoscimento.
Conseguentemente l’infortunato sarà pertanto costretto ad adire le vie giudiziarie e rivolgersi al Giudice del Lavoro, al fine di ottenere il riconoscimento dell’infortunio occorso per aver contratto in azienda o durante il tragitto casa/lavoro e viceversa il coronavirus.
Anche in corso di causa l’onere probatorio sarà integralmente a carico del ricorrente e nel caso in cui lo stesso non fornisca la prova della natura professionale del contagio la domanda potrebbe essere rigettata anche in tale sede
Si parla, pertanto, al riguardo di “probatio diabolica”
Nel caso di specie è stata fondamentale la collaborazione del datore di lavoro che, informato dell’accaduto, ha tempestivamente trasmesso la denuncia di infortunio all’INAIL non contestando la natura professionale del contagio occorso al vigilante lodigiano.
Si auspica un simile comportamento collaborativo da parte di tutte le aziende nel caso in cui i dipendenti, malauguratamente e nonostante il rispetto dei protocolli e dei DPI, dovessero contrarre infezioni da SARS-CoV-2 in azienda o in itinere al fine di evitare eventuali liti giudiziarie.
Da ultimo la recente nota circolare n. 5392 del 24 aprile 2020 l’INAIL ha sollecitato il proprio personale a definire con priorità assoluta le pratiche di infortunio sul lavoro da SAES-CoV-2, mortali e non, al fine di procedere al più presto alla tutela infortunistica ed all’erogazione delle prestazioni del caso.
A tal uopo giova, infine, rammentare che in caso di contagio da covid-19 la copertura INAIL non esclude eventuali azioni civili e penali da parte dell’infortunato.
Infatti sotto il profilo civilistico la tutela INAIL non esclude la responsabilità civile del datore per il cd “danno differenziale” ai sensi dell’art.10 del TU n.1124/65 al fine di ottenere il risarcimento dell’eventuale maggior danno subito dall’infortunato rispetto a quanto liquidato dall’INAIL.
Sotto il profilo penalistico il datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie per prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2, cagionando la malattia o il decesso dell’infortunato, è esposto a responsabilità penale per il reato di lesioni ai sensi dell’art.590 cp e omicidio colposo ai sensi dell’art.589 cp, aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
Si ricorda inoltre che l’art.2, co.6, del DPCM del 26 aprile 2020 impone alla imprese la cui attività non sono state sospese l’obbligo di rispettare “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle norme per contrasto e il contenimento della diffusione del coronavirus negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra Governo e le parti sociali….”
Tra l’altro, precisa il DPCM in questione che “la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.
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(1) Vedi Carlo D’ Elia, “Coronavirus, vigilante dell’ospedale di Lodi si contagia: è infortunio sul lavoro”, in Quotidiano.net, 01.05.2020;
(2) Vedi Annunziata Staffieri, “Il contagio da Covid-19 sul luogo di lavoro è infortunio: i chiarimenti dell’INAIL”, in www.nuovefrontieredeldiritto.it, 7 maggio 2020;
(3)Vedi Cassazione civile, sez. lavoro n. 1373 e 6390/98; Cass. civ., sez. lavoro, n.3090/92; Cass. civ., sez. lavoro, n.8058/91 e Cass. civ, sez. lavoro n.5764/82; vedi Annunziata Staffieri, “Il contagio da Covid-19 sul luogo di lavoro è infortunio: i chiarimenti dell’INAIL”, in www.nuovefrontieredeldiritto.it, 7 maggio 2020;
(4) Vedi Cassazione civile, sez. lavoro, n. 2642 del 22.2.2012.
(5) In tema di nesso di causalità si rammenta che il Ministero della Salute sul proprio sito ha precisato che il periodo di incubazione del virus in esame varia fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni. Senza poi dimenticare che alcuni soggetti potrebbero essere asintomatici. ( vedi www.salute.gov.it FAQ Covid-19) Conseguentemente in un arco temporale così ampio è plausibile l’interferenza anche di altri fattori estranei all’ambiente lavorativo (si pensi alle fonti di contagio presso i supermercati frequentati dall’infortunato oppure in ambito domestico). Oppure si pensi altresì al comportamento abnorme dell’interessato che non osserva diligentemente i protocolli di prevenzione.
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