Contenzione fisica del paziente psichiatrico: tra stato di necessità e sequestro di persona
L’odierno contributo prende le mosse da una tematica di particolare importanza non solo giuridica, ma anche sociale, quale è la contenzione fisica del paziente psichiatrico e, più nel dettaglio, sul confine tra l’uso legittimo della contenzione in presenza della causa di giustificazione dello stato di necessità ex art. 54 c.p. ed il travalicamento dei suoi presupposti, fino alla possibile configurazione del reato di sequestro di persona di cui all’art. 605 c.p.
Per contenzione ci si riferisce a tutte quelle pratiche di coazione fisica applicate sul paziente psichiatrico, limitative dell’altrui libertà personale, strumentali e necessarie per salvaguardare l’integrità fisica del paziente o di chi gli sta vicino.
Per rendere l’idea, si fa riferimento all’utilizzo di cinghie per ancorare il paziente al letto ospedaliero, alle cosiddette spondine, a polsiere o cavigliere volte a bloccare gli arti e a tutti quegli strumenti necessari per immobilizzare il paziente al fine di salvaguardarlo dai propri comportamenti.
Si tratta, dunque, di strumenti che incidono sul diritto alla libertà personale, che trova un riconoscimento nella Carta Costituzionale all’art. 13, il quale statuisce l’inviolabilità della stessa, consentendone una limitazione solo per espressa previsione normativa ed in casi di particolare necessità ed urgenza.
Tale disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute, statuendo che ogni individuo è libero di scegliere di sottoporsi o meno a trattamenti sanitari, introducendo, tuttavia, un limite a tale libertà, nei casi in cui, per espressa previsione normativa, in presenza di determinate circostanze, sia necessario sottoporre il paziente ad un trattamento sanitario obbligatorio.
Sulla natura delle misure di contenzione si è espressa la giurisprudenza penale di recente, sostenendo che “la contenzione fisica è un presidio restrittivo della libertà personale che non ha una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione svolge una mera funzione di tipo “cautelare”, essendo diretta a salvaguardare l’integrità fisica del paziente o di coloro che vengono a contatto con quest’ultimo, allorquando ricorra una situazione di concreto pericolo per l’incolumità dei medesimi” (Cass. pen. n. 50497/2018).
Ed infatti, l’attività di contenzione fisica potrà essere considerata legittima solamente in presenza di un concreto pericolo per l’incolumità fisica del paziente o di coloro che vengono in contatto con il primo, posto che la sua funzione è meramente cautelare.
La ratio della liceità dell’utilizzo di tali pratiche risiede nella necessità di salvaguardare l’integrità fisica del paziente che si trova in uno stato di transitoria incapacità di intendere e di volere e che non gli consente di rendersi conto della pericolosità dei propri gesti, per sé e per gli altri.
Quando si parla di concreto pericolo per la propria o l’altrui incolumità fisica, ci si riferisce ai presupposti legittimanti l’applicazione della scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.
L’art. 54 c.p. così statuisce “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
Dunque, perché possa applicarsi tale scriminante in capo alla condotta del medico devono concorrere tre requisiti: il pericolo attuale di un grave danno alla persona, l’impossibilità di salvare sé o altri mediante l’utilizzo di altri strumenti ugualmente idonei e la proporzionalità della condotta rispetto al pericolo.
Ciò che può desumersi dal dettato normativo è che la condotta deve essere la conseguenza e la risposta ad un concreto pericolo attuale, di talché l’agente non potrà beneficiare della suddetta scriminante qualora agisca per mera precauzione.
Sul punto, in un recente arresto, gli Ermellini hanno statuito che la condotta del medico sarà scriminata ex art. 54 c.p. in presenza dei seguenti parametri: “1) la contenzione non sia stata applicata in via precauzionale; 2) gli imputati abbiano monitorato costantemente il paziente, dando conto in modo fedele delle sue condizioni nella cartella clinica; 3) non fosse possibile salvaguardare la salute del paziente con metodi alternativi; 4) detto presidio sia stato applicato nei limiti dello stretto necessario, verificando se fosse sufficiente il blocco di alcuni arti” (Cass. n. 50497/2018).
Ciò che viene richiesto è, quindi, l’esistenza di un concreto pericolo per l’incolumità propria e altrui, un costante monitoraggio delle condizioni del paziente per evitare di comprimere ad oltranza e senza alcuna giustificazione la sua libertà personale, l’inevitabilità dell’utilizzo delle pratiche di contenzione e l’utilizzo di tali strumenti nei limiti dello stretto necessario.
In presenza di tali requisiti, quindi, la condotta del medico che applica una misura di contenzione sarà scriminata dall’art. 54 c.p.; per contro il travalicamento dei suddetti limiti renderà tale condotta illegittima ed antigiuridica.
Bisogna, pertanto, verificare in cosa si traduce l’antigiuridicità della condotta del sanitario che utilizza la contenzione su un paziente, in carenza dei presupposti legittimanti.
Un reato di parte speciale che potrebbe configurarsi è il sequestro di persona di cui all’art. 605 c.p.
La norma così recita “chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni. La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso: 1) in danno di un ascendente, di un discendente, o del coniuge; 2) da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni”.
La disposizione testé citata tutela, quale bene giuridico, la libertà personale che può essere lesa da qualunque apprezzabile limitazione della libertà fisica (Cass. sez. V n. 7762/1993).
In ordine all’elemento oggettivo, la condotta punita è quella di privazione della libertà personale, realizzabile in qualsiasi forma, non assumendo rilevanza il grado di privazione, la durata e i mezzi utilizzati, in quanto risulta sufficiente per la configurazione del reato una privazione della libertà protrattasi anche solo per quindici minuti (Cass. sez. II n. 6610/1988) anche se incidente sulla libertà di movimento in senso relativo purché sia giuridicamente apprezzabile (Cass. sez. V n. 28509/2010; Cass. n. 6738/2018).
Si fa riferimento, infatti, a qualsiasi ostacolo che, limitando la libertà personale del soggetto passivo, implichi l’utilizzo di uno sforzo per sovrastarlo.
Quanto alla natura del reato, si tratta di un delitto permanente a consumazione anticipata e si ritiene configurato nel momento in cui la vittima viene privata della sua libertà di locomozione (Cass. sez. II n. 4228/1984).
In ordine all’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di privare un altro individuo della propria libertà personale, a nulla rilevando il fine perseguito dall’autore.
Ai fini della valutazione della condotta del medico, in primo luogo va rilevata la possibile applicazione dell’aggravante prevista dal comma 2, n. 2 dell’art. 605 c.p., posto che il medico riveste la qualifica di pubblico ufficiale, qualora questi agisca “con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni”.
Secondariamente, bisogna tenere in considerazione che lo stesso, nonostante debba attenersi al rispetto delle norme cautelari in ambito sanitario, ossia alle cosiddette linee guida e protocolli medici, gode, nell’esercizio della propria funzione, di piena autonomia in ordine alle misure più idonee per la cura del paziente, in virtù della posizione che lo stesso assume.
Sul punto, infatti, un recente arresto giurisprudenziale ha chiarito che “il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo, quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidarie, di apprestare specifiche cautele” (Cass. pen. sez. IV n. 33609/2016; Cass. pen. sez. IV n. 16975/2013).
Lo stesso, pertanto, possiede una posizione di garanzia nei confronti del paziente che si estrinseca non solo nell’obbligo di apprestare le cure necessarie a tutela del diritto alla salute del paziente, bensì anche nell’evitare che lo stesso possa porre in essere delle condotte pericolose per la propria incolumità, in questo caso, derivanti dalla patologia psichiatrica cui è affetto.
Sul punto, un recente arresto della Cassazione ha chiarito che “in tema di responsabilità medica, la contenzione del paziente psichiatrico non costituisce una pratica terapeutica o diagnostica legittimata ai sensi dell’art. 32 Cost. ma è un mero presidio cautelare qualora ricorra lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., ossia il pericolo di un danno grave alla persona, che si presenti come attuale ed imminente, non altrimenti evitabile, sulla base dei fatti oggettivamente riscontrati che il sanitario è tenuto ad indicare nella cartella clinica” (Cass. sez. V n. 50497/2018).
La linea di discrimine tra l’utilizzo legittimo di misure di contenzione sul paziente psichiatrico e la configurazione del sequestro di persona è dato proprio dalla sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 54 c.p., ossia “il pericolo di un danno grave alla persona (…) attuale ed imminente o, comunque, idoneo a fare sorgere nell’autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in siffatto stato, non essendo all’uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto; inoltre, si deve trattare di un pericolo non altrimenti evitabile ed al riguardo la scriminante certamente non può ritenersi applicabile sulla base di fatti sforniti di riscontri oggettivi e accertati in via presuntiva” (Cass. pen. n. 28704/2015).
La giurisprudenza, infatti, richiede che, ai fini della configurazione della suddetta scriminante, si paventi un pericolo concreto ed attuale, mentre non risulta esimente un pericolo caratterizzato dall’eventualità o dalla probabilità.
Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni normative e giurisprudenziali e tenuto conto della rilevanza costituzionale della materia, si può concludere sostenendo che le misure di contenzione fisiche sono ammesse nel nostro ordinamento nei confronti di pazienti psichiatrici purchè siano rispettati i presupposti sopra menzionati che scriminano una condotta che, altrimenti, potrebbe configurare il reato di sequestro di persona ex art. 605 c.p.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Marika Zanerolli
Nata a Piazza Armerina nel 1994. Diplomata al Liceo Classico nel 2013. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania nell'ottobre 2018. Diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali "A. Galati" di Catania nel luglio 2020.
Ha svolto Tirocinio ex art. 37 L. 111/11 presso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania e pratica forense presso uno studio legale specializzato in diritto penale.
Attualmente, abilitata all'esercizio della professione forense.
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