Conto corrente in rosso, prescrizione delle rimesse solutorie e deferimento giuramento estimatorio

Conto corrente in rosso, prescrizione delle rimesse solutorie e deferimento giuramento estimatorio

La I Sezione Civile della Corte di Cassazione, recentemente, è tornata ad occuparsi di anatocismo e applicabilità del giuramento estimatorio per determinare l’ammontare del risarcimento dovuto da un Istituto di Credito nei confronti del proprio cliente correntista. E nella Sentenza n°29411/2020 depositata in cancelleria lo scorso 23 dicembre 2020 ha enunciato due nuovi principi di diritto in relazione a tale materia.

La vicenda processuale. I giudici di legittimità si sono trovati di fronte al ricorso presentato da una Srl contro la decisione della Corte d’Appello di Palermo che riformava, in parte, la sentenza emessa dallo stesso Tribunale di Palermo in primo grado in favore della odierna ricorrente.

Il Tribunale di Palermo, infatti, aveva accolto in toto la domanda dell’odierna ricorrente avente ad oggetto la ripetizione di somme indebitamente percepite dall’istituto di credito per interessi determinati con riferimento agli usi di piazza e per la capitalizzazione trimestrale dei medesimi, condannando la banca convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di euro 98.105,38.

L’Istituto di Credito proponeva ricorso in Appello contro la decisione di primo grado. Di conseguenza, la Corte d’Appello di Palermo, al fine di rideterminare in maniera più corretta ed equa l’importo del risarcimento da riconoscere alla società correntista stabiliva un supplemento della consulenza tecnica d’ufficio. Veniva quindi deferito al legale rappresentante della società correntista il giuramento estimatorio con riguardo all’ammontare del credito vantato dalla società appellata nei confronti dell’Istituto di Credito. La società appellata sosteneva, con controricorso, che il processo andava dichiarato estinto per la intervenuta prescrizione dell’azione di riassunzione del giudizio. Infatti, il processo era stato precedentemente interrotto per l’intervenuta fusione per incorporazione della società appellata in altra persona giuridica.

Di conseguenza, la Corte d’Appello di Palermo, riformando la sentenza di primo grado affermava, fra le altre cose, che non avevano fondamento le deduzioni dirette ad escludere l’illegittimità delle pattuizioni relative agli usi di piazza e all’anatocismo. Per quanto riguarda, invece, la sollevata eccezione di prescrizione, essa andava respinta in quanto il relativo termine decennale decorreva dalla definitiva chiusura del conto. Inoltre, le contestazioni sollevate dalla società appellata avevano giustificato il deferimento del giuramento di estimazione del credito alla stessa appellata. E che, in ragione della prestazione del detto giuramento il credito poteva essere determinato in euro 80.000. Questa era la somma che, secondo la Corte d’Appello di Palermo, l’Istituto di Credito avrebbe dovuto restituire alla società appellata.

Contro tale decisione la società correntista ha presentato ricorso per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione. Nella loro motivazione gli Ermellini fanno notare come, riguardo alla prescrizione del credito dell’odierna ricorrente nei confronti dell’Istituto di Credito, l’enunciato della Corte d’Appello secondo cui la prescrizione del diritto alla ripetizione decorrerebbe dalla chiusura del conto non è corretto. La Cassazione, facendo riferimento alla Sentenza della Corte Costituzionale n° 72 del 2012, richiamata dalla stessa Corte d’Appello di Palermo nella sua motivazione, secondo cui in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del Codice Civile, si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dalle annotazioni in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. Ma, nel caso di specie, secondo gli Ermellini il rinvio operato dalla Corte di merito a tale decisione non appare pertinente.

In proposito, invece, i giudici di legittimità richiamano un consolidato orientamento delle Sezioni Unite. In base a tale oritentamento le Sezioni Unite, ai fini della prescrizione dell’indebito del correntista, hanno distinto le rimesse solutorie da quelle ripristinatorie. Infatti, in base alla Sentenza delle Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 n° 24418 l’azione di ripetizione dell’indebito, proposta da un cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

In pratica, chiarisce la Cassazione, la Corte Costituzionale parte dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile nessun diritto di ripetizione.

Di conseguenza, per esemplificare, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi saranno considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione ( se eventualmente ritenuti indebiti) in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limti dell’affidamento concesso. Ciò che, invece, non si verificherà nel caso di versamenti ripristinatori della provvista, anche su un conto in passivo, di cui il correntista può continuare a godere.

Ciò che è dirimente per la Cassazione, quindi, è la distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista. Solo le prime, infatti, possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’articolo 2033 del Codice Civile, in tema di indebito oggettivo. Da ciò, deriva di conseguenza, che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per esse, dal momento in cui abbiano avuto luogo.

In base a tale ricostruzione della fattispecie legale, la Cassazione chiarisce che la Corte d’Appello, in presenza dell’eccezione di prescrizione della banca, avrebbe dovuto appurare se e quando fosse stato concluso un contratto di apertura di credito e se e in che misura alle rimesse della società correntista eseguite più di dieci anni prima dell’atto interruttivo della prescrizione potesse attribuirsi natura solutoria. E, una volta individuate le rimesse solutorie, secondo i giudici di legittimità, la Corte d’Appello avrebbe potuto procedere a dichiararle prescritte.

Per quanto riguarda, invece, la proposizione del giuramento estimatorio, secondo la Cassazione la Corte d’Appello non poteva esimersi dal non ordinarlo. La Cassazione, infatti, ammette che è suo pacifico orientamento che il giuramento estimatorio possa avere ad oggetto anche una somma di denaro allo scopo di stabilire il suo esatto ammontare. D’altra parte, continua la Cassazione, è escluso che tale mezzo di prova possa essere utilizzato per supplire a un esame del materiale probatorio acquisito al processo. Secondo i giudici di legittimità, invece, occorre ricordare come, da una giurisprudenza risalente, il giuramento di estimazione non potrebbe essere fatto valere nemmeno nel caso in cui della affermazione creditoria e della domanda dell’attore sia stata data prova, anche se insufficiente, e perciò da integrare.

Da questo punto di vista, infatti, l’articolo 241 del Codice di Procedura Civile consente il giuramento in questione nella sola ipotesi in cui non sia possibile accertare altrimenti il valore della cosa: e, all’evidenza, tale condizione difetta in tutte le ipotesi in cui una prova di tale valore sia stata offerta e si tratti solo di apprezzarne la portata.

Per tutto quanto sopra detto la Suprema Corte cassa la sentenza, respingendo il ricorso principale e accogliendo due motivi del ricorso incidentale proposto dall’Istituto di Credito e enunciando i seguenti due principi di diritto: “In materia di contratto di conto corrente bancario, la decorrenza della prescrizione delle rimesse solutorie, operate cioè su di un conto in passivo, quando non sia stata concessa al cliente un ‘apertura di credito, oppure su di un conto scoperto, essendo i versamenti destinati a coprire quella parte del passivo eccedente il limite dell’accreditamento, matura sempre dalla data del pagamento”  e  “Il deferimento del giuramento estimatorio non è ammesso nel caso in cui, trattandosi di stabilire l’ammontare della somma dovuta al creditore, il giudice abbia acquisito gli elementi di prova utili per tale accertamento”.


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