Contrasto tra giudicati: intervento garantista della Corte di Cassazione

Contrasto tra giudicati: intervento garantista della Corte di Cassazione

Con la pronuncia n. 6172, depositata il 17.02.2021, la Terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di revisione delle sentenze di condanna per reati necessariamente plurisoggettivi, qualora una sentenza definitiva statuisca l’insussistenza del fatto in relazione ad altro imputato.

Nella vicenda in esame, con l’impugnata ordinanza, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. nell’interesse del ricorrente in relazione alla sentenza emessa dal Gip presso il Tribunale di Napoli, riformata dalla Corte di appello di Napoli, divenuta irrevocabile, che lo ha condannato in ordine al reato previsto e punito dall’art. 319 c.p.

Assume il ricorrente che i fatti posti a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità, in relazione ai quali è stato definitivamente condannato, si porrebbero in contrasto con quelli accertati con la sentenza di altro Tribunale, la quale ha definitivamente assolto perché il fatto non sussiste l’agente di polizia penitenziaria nella veste di soggetto corrotto, dal medesimo reato contestato al ricorrente, quale corruttore.

In particolare, la Corte ha affermato che “è suscettibile di revisione, a norma dell’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., la sentenza irrevocabile di applicazione della pena emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. nei confronti del privato corruttore, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto a carico del pubblico ufficiale imputato del delitto di corruzione, posta l’inconciliabilità delle due pronunce per l’impossibilità di ipotizzare il predetto reato in assenza dell’attività coordinata del corruttore e del corrotto”.

Peraltro, ha rilevato il Collegio, come analoghe conclusioni siano state affermate con riferimento ad altre figure di reato necessariamente plurisoggettive, quali le fattispecie associative, per la cui sussistenza è richiesta la partecipazione di almeno tre persone: l’esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all’associazione richiesto dalla legge per effetto di una sentenza definitiva assolutoria implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato definitivamente condannati, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione. Si è difatti affermato che, in tema di revisione, il fatto dell’esistenza dell’associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei confronti di un associato, non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, perché il fatto non sussiste, tutti gli altri imputati della stessa associazione.

La Corte Suprema, pertanto, ha cassato la seconda decisione di merito in quanto il Giudice territoriale avrebbe dovuto verificare l’applicabilità dei principi sopra richiamati nel contraddittorio tra le parti, verificando, in particolare, se i fatti accertati con la sentenza di condanna siano o meno conciliabili con quelli accertati dalla sentenza assolutoria, con la formula perché il fatto non sussiste.

Si tratta, con ogni evidenza, di pronuncia di notevole interesse, avuto riguardo alla funzione garantista che la stessa è in grado di spiegare sulla successiva giurisprudenza in materia.

Ed invero, com’è noto, la disposizione del codice di rito individua in modo tassativo le ipotesi in cui, mediante l’esperimento di tale impugnazione straordinaria, è possibile superare il giudicato validamente formatosi.

In dettaglio, oggetto dello scrutinio di legittimità è stata la lettera a) dell’art. 630 c.p.p., che si riferisce all’inconciliabilità tra giudicati, che si registra qualora vi sia, da un versante, la decisone definitiva in relazione alla quale è stata avanzata istanza di revisione e, dall’altro, una sentenza – del pari irrevocabile – che si pone in contrasto ontologico e strutturale con la prima.

È proprio quanto avvenuto nel caso in esame, atteso che il ricorrente si era visto condannare per un fatto corruttivo nonostante fosse intervenuta in precedenza pronuncia assolutoria, con formula ampia, in relazione al soggetto asseritamente correo.

Nonostante la evidente incompatibilità tra le predette sentenze, la Corte di Appello di Roma, è incorsa in palese svista di diritto, rilevando l’inammissibilità dell’istanza sul presupposto che si tratti di soltanto di “una diversa valutazione sui medesimi fatti su cui le due sentenze si fondano”, ossia quella di condanna per il privato corruttore e quella di assoluzione per il pubblico ufficiale corrotto.

Tuttavia, secondo il Supremo Collegio, così facendo, la Corte d’appello non solo ha esteso il controllo sulla tenuta della sentenza di condanna rispetto ai fatti accertati con la pronuncia assolutoria nei confronti del soggetto in ipotesi corrotto ma ha anche omesso di considerare come si fosse in presenza di un reato a concorso necessario, il quale esige, per la sussistenza del fatto oggetto di incriminazione, la presenza indefettibile di almeno due soggetti, vale a dire il privato corruttore e il pubblico ufficiale corrotto.

Ed invero, approdando a risultati divergenti in ordine alla sussistenza del fatto, le decisioni in questione non contenevano mere valutazioni giuridiche differenti, bensì rilevano ai fini della revisione ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. a) c.p.p., essendo venuti meno gli elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiedeva la revoca.

Non può che accogliersi con favore l’arresto di legittimità in commento, che, mutatis mutandis, si staglia nel solco inaugurato dalla pronuncia della Corte EDU nella nota vicenda Scoppola c. Italia, il cui insegnamento è stato recepito dalla nostra Corte di Cassazione nella Sezioni Unite Ercolano.

Deve, infatti, sempre essere pressante l’esigenza di porre fine agli effetti negativi dell’esecuzione di una pena contra legem a prevalere sulla tenuta del giudicato, la cui legittimità deve essere assicurata durante tutto il corso della sua esecuzione, fase in cui la sanzione concretamente assolve la sua funzione rieducativa, in una dimensione ovviamente dinamica e, quindi, in termini di attualità.


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Domenico Palmisani Battaglia

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