Contratti a tutele crescenti: estesa la disciplina reintegratoria a tutti i casi di nullità del licenziamento
Si amplia la tutela del lavoratore nei contratti a tutele crescenti, che potrà beneficiare delle garanzie reintegratorie previste per i casi di licenziamento discriminatorio o comunque ingiustificato.
Lo afferma la Corte Costituzionale con la sentenza n. 22 depositata il giorno 22 Aprile 2024 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 Marzo 2015 n 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tutele crescenti in attuazione della legge 10 Dicembre 2014 n.183) nella parte in cui prevede la parola “espressamente”.
Il caso di specie trae la propria origine da una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze, che aveva rigettato una richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro da parte di un lavoratore subordinato.
Alla base della loro decisione i giudici di merito avevano posto la mancata previsione tra le cause che consentivano la reintegrazione nel posto di lavoro previste dalla normativa vigente anche quella contestata nel caso di specie.
La sentenza veniva impugnata in sede di Cassazione ed in tale sede, a seguito della proposizione di una eccezione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art 76 della Costituzione ritenuta non manifestamente infondata, rinviata ai Giudici della Consulta.
Ad avviso del giudice remittente infatti la normativa nella sua attuale formulazione lederebbe la predetta disposizione costituzionale, nella parte in cui prevede nel caso di delega della funzione legislativa all’esecutivo alcune precise limitazioni dirette a consentire che l’esercizio del potere legislativo da parte dell’esecutivo non si trasformi in un abuso.
La funzione legislativa potrà essere esercitata da parte del Governo sulla base delle indicazioni contenute in una specifica legge delega. Quest’ ultima infatti dovrà contenere principi e criteri direttivi sulla base dei quali dovrà essere determinato il contenuto del decreto di successiva emissione del decreto legislativo.
Nel caso di specie il Parlamento tramite la legge 183/2014 delegava al Governo la facoltà di provvedere alla regolamentazione delle garanzie previste nel caso di licenziamento qualora esso avesse quale destinatario un lavoratore assunto con un contratto a tutele crescenti.
L’art 7 comma 1 lett. c) della legge delega attribuiva infatti al Governo la facoltà di prevedere e regolamentare l’aspetto specifico della tutela reintegratoria nel caso di licenziamenti nulli e discriminatori ovvero di specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Come è facile evincere dall’esame del contenuto della legge delega una forma di tutela particolarmente impegnativa come quella reintegratoria potrà essere applicata alle sole ipotesi di cessazione unilaterale del rapporto di lavoro che presentino una particolare gravità.
Tuttavia la normativa emanata da parte del legislatore delegante non compie alcun riferimento all obbligo per il Governo in sede di emanazione del decreto delegato preveda che tra i casi che consentono la reintegrazione nel posto di lavoro debbano rientrarvi soli i casi di licenziamento per i quali sia espressamente prevista dalla normativa la nullità.
L’esecutivo pertanto – osservano i Giudici della Consulta – ha sicuramente violato i principi posti dalla legge delega che per la tutela reintegratoria nel caso di licenziamento discriminatorio non avevano in alcun modo prevista necessità della presenza di una sanzione che comminasse la nullità.
Con la sentenza n. 22/2024 emessa dalla Corte Costituzionale, pertanto, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di quella parte della norma contenente l’avverbio “espressamente”.
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