Contratto preliminare e contratto definitivo: regola ed eccezione
1. Il negozio stipulato a seguito di un contratto preliminare è, di norma, soggettivamente ed oggettivamente corrispondente al contenuto di quest’ultimo.
Tuttavia, non di rado, può accadere che i contraenti, in sede di stipula del contratto definitivo, si discostino da quanto precedentemente pattuito omettendo alcune clausole, diritti od obblighi o disciplinando in modo diverso quanto già predeterminato.
In questi casi si pone il problema di individuare la regolamentazione pattizia da applicare al negozio voluto e più precisamente di stabilire se, nonostante l’omissione, le clausole del preliminare continuano ad avere efficacia fra le parti oppure, in caso di contrasto fra il contenuto del preliminare ed il contenuto del definitivo, quale dei due debba considerarsi prevalente sull’altro.
2. Il contratto preliminare rientra nell’ambito dei contratti ad effetti obbligatori in quanto con esso le parti si impegnano a stipulare, entro un termine prestabilito, un determinato contratto individuandone il relativo contenuto.
La sua conclusione comporta pertanto “la nascita di un rapporto obbligatorio, cioè di una obbligazione di carattere finale e non meramente strumentale al prodursi di effetti ulteriori.” (Francesco Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015, p. 952).
Oggetto di questa obbligazione è, precisamente, la futura stipula di un contratto le cui clausole vengono già individuate in maniera più o meno esaustiva.
Di norma, con il contratto definitivo si dà attuazione a quanto già pattuito con il contratto preliminare, ma – in virtù del principio di autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 Codice Civile – niente impedisce alle parti, al momento della stipula del contratto definitivo, di discostarsi da quanto stabilito con il contratto preliminare tralasciando una o più pattuizioni, aggiungendone di nuove o modificando il contenuto di alcune di esse.
La non coincidenza fra quanto disposto con il preliminare e quanto disposto con il definitivo pone il problema di individuare quale sia la fonte regolatrice del negozio voluto dalle parti.
3. La Corte di Cassazione, con una isolata sentenza, ha affermato che la disciplina del negozio giuridico concluso dalle parti è contenuta esclusivamente nel contratto preliminare in quanto il contratto definitivo si limita a dare attuazione all’assetto di interessi già regolamentato con il preliminare (Cassazione Civile 18 novembre 1987 n. 8486) .
Dunque, se le parti – al momento della conclusione del contratto definitivo – decidono di modificare quanto precedentemente stabilito con il preliminare, le nuove pattuizioni possono prevalere e togliere efficacia a quelle precedenti solo se ciò è stato espressamente previsto.
Secondo questa interpretazione, pertanto, il contratto preliminare prevale sul definitivo salva diversa ed espressa volontà delle parti.
4. Tale indirizzo, che già si discostava dalla prevalente giurisprudenza, non ha trovato conferma in altre pronunce della Suprema Corte di Cassazione. Infatti, per la giurisprudenza di legittimità così come per la dottrina, il rapporto fra contratto preliminare e contratto definitivo è inverso: è il contratto definitivo a prevalere sul preliminare salva diversa volontà dei contraenti.
Se, ex articolo 1322 Codice Civile, le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto – fermi restando i limiti imposti dalla legge – il fatto che esse abbiano assunto l’obbligo di stipulare un negozio predisponendone la relativa regolamentazione non gli impedisce di decidere, con una successiva manifestazione di volontà, di modificare tale regolamentazione.
Il contratto definitivo non è altro che l’espressione di questa successiva manifestazione di volontà: le parti, in adempimento ed esecuzione dell’obbligo di contrarre in precedenza assunto, danno vita al negozio voluto e lo disciplinano in maniera conforme ai loro interessi anche distaccandosi da quanto già pattuito in sede di preliminare.
Non sussiste alcun obbligo di riprodurre pedissequamente il contenuto del contratto preliminare. La regolamentazione del futuro contratto non è, infatti, vincolante in maniera assoluta per i contraenti in quanto scaturisce dalla loro stessa volontà: esse, così come possono decidere di liberarsi dall’obbligo di contrarre risolvendo consensualmente il preliminare di vendita, allo stesso modo possono decidere, sempre di comune accordo, di discostarsi da quanto pattuito con il medesimo.
5. La stessa Corte di Cassazione ha ammesso la possibilità che non vi sia coincidenza fra l’oggetto del preliminare e l’oggetto del definitivo affermando, con riferimento al preliminare di vendita, che esso è valido anche se non vengono individuati in maniera dettagliata tutti gli elementi del futuro contratto purché vi sia l’accordo delle parti in ordine agli elementi essenziali dello stesso (Cassazione Civile 1° febbraio 2013 n. 2473).
Se si riconosce ai contraenti, in sede di stipula del contratto definitivo, la facoltà di integrare la regolamentazione del rapporto, non vi è motivo per negare alle stesse, sempre in quella sede, la facoltà opposta ovvero la possibilità di eliminare o di modificare parte di quanto già predeterminato con il contratto preliminare.
Non vi è nessuna norma che obblighi le parti a non discostarsi da quanto disposto con il preliminare, né tantomeno questo obbligo può discendere dallo stesso preliminare in quanto esso è espressione della volontà dei soggetti i quali – nell’intervallo di tempo fra la stipula del preliminare e la stipula del definitivo – possono decidere di modificare l’assetto dei propri interessi: è una volontà che si forma in itinere.
Il contratto definitivo diventa così l’unica fonte dei diritti ed obblighi inerenti il negozio giuridico voluto dalle parti.
6. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il contratto definitivo, atto successivo ed espressione ultima della volontà delle parti in ordine a quel determinato rapporto giuridico, toglie efficacia ai diritti ed agli obblighi regolamentati con il preliminare e conseguentemente la disciplina da applicare al negozio diventa unicamente quella contenuta nel contratto definitivo.
Se le parti hanno dato al contratto definitivo quel determinato contenuto, si deve presumere che questo contenuto rispecchi la loro volontà definitiva ovvero che esse vogliano assoggettare il negozio a quella nuova regolamentazione togliendo efficacia alle clausole contenute nel preliminare.
Questa “presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti, contemporaneamente, alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo” (Cassazione 14 marzo 2018 n. 6223).
Il che significa che tutte le pattuizioni non ripetute o comunque modificate non produrranno alcun effetto fra le parti a meno che non risulti – dal contratto definitivo o da altro accordo contestuale allo stesso – la volontà concorde dei contraenti di mantenerne l’efficacia (Cassazione Civile 14 marzo 2018 n. 6223; 29 gennaio 2015 n. 1677; 30 aprile 2013 n. 10.209; 5 giugno 2012 n. 9063; 11 luglio 2007 n. 15.585; 10 gennaio 2007 n. 233).
7. In conclusione, la sottoscrizione di un contratto in esecuzione dell’obbligo assunto con il preliminare determina la perdita di efficacia di tutte le clausole, diritti ed obblighi originariamente previsti dalle parti in ordine al futuro negozio.
Il contratto definitivo diventa così l’unica fonte della disciplina che regola il negozio concluso e ciascuna parte non può opporre all’altra diritti ed obblighi discendenti dal contratto preliminare e non riprodotti o diversamente disciplinati dal contratto definitivo.
Solo laddove sia stato espressamente previsto, le clausole del preliminare possono mantenere la loro efficacia.
In tal caso, la parte che intende far valere la sopravvivenza di queste clausole ha l’onere di provare l’esistenza di un accordo in tal senso, accordo che può risultare dallo stesso contratto definitivo o da un atto separato purché contestuale ad esso.
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Patrizia Tonarelli
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