Contratto preliminare e trascrizione
Il contratto preliminare può essere definito come il contratto con cui le parti si obbligano a concludere un futuro contratto, il c.d. definitivo, del quale vengono delineati gli elementi essenziali. Nella prassi, per riferirsi a questa fattispecie, si usa spesso anche il termine di “compromesso”.
L’art. 1351 c.c., con una disposizione in materia di forma, statuisce che “il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo”. La legge, dunque, fissa un principio di corrispondenza tra la forma richiesta per il definitivo e quella necessaria per la conclusione del preliminare. Da ciò si ricava che il preliminare di vendita avente ad oggetto un bene immobile richiede la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata, dato che questa è la forma imposta dall’art. 1350 c.c. per i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili.
Riferimenti al contratto preliminare si rinvengono anche in altre disposizioni codicistiche, ma nessuna di esse ne fornisce una definizione precisa: l’art. 2645 bis c.c., ad esempio, disciplina la trascrizione del preliminare, mentre l’art. 2932 c.c. regola in via generale l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, consentendo alla parte non inadempiente di ottenere, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, una sentenza costitutiva produttiva degli effetti del contratto non concluso.
Pur potendo riguardare, in linea teorica, numerose figure contrattuali, non si può negare che il preliminare abbia trovato il proprio campo applicativo privilegiato in materia immobiliare e, in particolare, nei contratti di compravendita di immobili. È proprio rispetto a questi ultimi, infatti, che il preliminare riesce a soddisfare al meglio l’obiettivo di bloccare un affare ritenuto vantaggioso, riservando ad un momento successivo il compimento di valutazioni ulteriori e la produzione dell’effetto traslativo.
La natura giuridica del preliminare è, peraltro, un tema su cui si è ampiamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, soprattutto a causa delle difficoltà riscontrate nell’individuazione del momento prevalente all’interno della sequenza preliminare-definitivo, che caratterizza lo schema contrattuale in esame. Alcuni autori hanno sostenuto il carattere meramente preparatorio del preliminare di vendita, mentre altri, all’opposto, hanno affermato che il definitivo non è altro che un atto dovuto di carattere non negoziale con funzione solutoria e causa esterna. In realtà, la tesi oggi prevalente tende a non svalutare il ruolo del contratto definitivo, constatando che esso è pur sempre dotato di una propria giustificazione causale. Questa ricostruzione, che individua una causa interna al contratto definitivo, permette di evitare che l’eventuale mancanza o invalidità del preliminare finisca per tradursi automaticamente in un difetto di causa del definitivo e nell’affermazione della sua nullità strutturale per difetto di causa, conseguenza cui conduce inevitabilmente la tesi che qualifica il definitivo come mero atto dovuto. Il preliminare, quindi, serve a scindere la relazione contrattuale in due momenti. In sostanza, tramite questo strumento l’ordinamento permette all’autonomia privata di bloccare immediatamente un affare considerato vantaggioso, lasciando ad un momento successivo l’ulteriore esame circa la sua effettiva convenienza economica. Non a caso, si dice spesso che il preliminare consente alle parti di esercitare un controllo sulle sopravvenienze, tenendo conto degli elementi intervenuti dopo la stipulazione.
Oggetto di vivace dibattito è stata la questione concernente l’ammissibilità del c.d. preliminare aperto, detto anche preliminare del preliminare o pre-preliminare. Questa particolare tipologia contrattuale ha trovato ampia diffusione nel settore delle compravendite immobiliari realizzate tramite attività di mediazione professionale (agenzie immobiliari). Si è soliti, infatti, scindere la fase preliminare in due parti distinte: un primo preliminare, c.d. aperto, che programma la conclusione di un successivo preliminare, c.d. chiuso, che, a propria volta, programma la stipulazione del contratto definitivo. Per molto tempo la giurisprudenza ha sostenuto la nullità per difetto di causa del pre-preliminare, considerando inutile, e dunque privo di causa, un contratto con cui ci si obbliga ad obbligarsi. Tale orientamento, tuttavia, è stato superato nel 2015 dalle Sezioni Unite, le quali, facendo leva sul concetto di causa in concreto, hanno individuato una giustificazione causale anche nel preliminare aperto. Le parti, infatti, possono trarre un’utilità dal frazionamento della fase preliminare, riuscendo, tramite il pre-preliminare, a bloccare l’affare e rinviare ad un momento successivo la stipulazione del secondo preliminare, così da poter nel frattempo effettuare i controlli necessari per completare il contenuto contrattuale ed evitare l’integrazione eteronoma. Secondo le Sezioni Unite, affinché il pre-preliminare possa essere considerato valido, occorre accertare l’effettiva sussistenza di una differenza contenutistica tra i due preliminari (quello c.d. aperto e quello c.d. chiuso) poiché un’eventuale identità di contenuto tra gli stessi sarebbe indice di una mancanza di causa del primo. In pratica, è proprio il livello crescente dei contenuti a dare un senso all’intero procedimento: il secondo preliminare deve avere un contenuto più ampio rispetto al primo, pena la perdita di significato dell’operazione. La Cassazione, inoltre, sottolinea che dal pre-preliminare non nasce un obbligo di contrarre, bensì un obbligo di contrattare, cioè di proseguire la trattativa correttamente, senza rimettere immotivatamente in discussione aspetti su cui l’accordo era già stato raggiunto.
L’art. 2645 bis c.c., introdotto dal D.L. n. 669 del 1996, poi convertito con la legge n. 30 del 1997, ha fatto del contratto preliminare un atto trascrivibile. La trascrizione, in generale, è un mezzo di pubblicità legale, avente la funzione tipica di dirimere i conflitti tra più aventi causa di uno stesso diritto. L’art. 2643 c.c. individua un elenco di atti per i quali è obbligatoria la trascrizione, mentre l’art. 2644 c.c. ne descrive gli effetti, statuendo che “gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi”.
Prima dell’introduzione dell’art. 2645 bis c.c., il contratto preliminare, in forza del principio di tassatività degli atti trascrivibili, non poteva mai essere trascritto. Ciò finiva per pregiudicare fortemente il promissario acquirente. Egli, infatti, nel caso, tutt’altro che raro, di trasferimento del bene da parte del promittente venditore ad un terzo e di trascrizione dell’acquisto da parte di quest’ultimo antecedentemente alla trascrizione del definitivo ad opera del promissario acquirente, non aveva alcuna tutela sul bene. Dunque, proprio nell’ottica di dare maggiore protezione alla posizione del promissario acquirente, vista anche la crescente diffusione dei contratti preliminari con pagamento anticipato del prezzo, il legislatore del 1996 ha introdotto la trascrivibilità del preliminare avente ad oggetto la conclusione dei contratti di cui ai numeri 1 (contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili), 2 (contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta), 3 (contratti che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti) e 4 (contratti che costituiscono o modificano servitù prediali, il diritto di uso sopra i beni immobili, il diritto di abitazione) dell’art. 2643 c.c.
L’effetto della trascrizione, tuttavia, è limitato nel tempo: i suoi effetti “cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’articolo 2652, primo comma, numero 2” (art. 2645 bis, comma 3, c.c.).
Secondo la tesi prevalente, la trascrizione del preliminare produce un effetto prenotativo della trascrizione del contratto definitivo. In sostanza, una volta trascritto il definitivo, i suoi effetti retroagiscono fino alla data della trascrizione del preliminare. Per tale via, il promissario acquirente beneficia di una tutela reale e non corre più il rischio di soccombere di fronte agli aventi causa del promittente alienante. Il promissario acquirente, però, potrebbe anche non avere alcun interesse ad ottenere una simile forma di tutela e preferire, invece, la risoluzione del contratto. In questa seconda eventualità, il promissario acquirente avrà come obiettivo il recupero delle somme già versate alla controparte ed eventualmente il risarcimento del danno. A tal proposito, la posizione creditoria del promissario acquirente che ha trascritto il preliminare appare rafforzata dal contenuto dell’art. 2775 bis c.c., il quale prevede che in caso di mancata esecuzione del preliminare trascritto i crediti del promissario acquirente siano assistiti da un privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare. Tale privilegio, tuttavia, presenta delle particolarità che valgono a distinguerlo dalla generalità dei privilegi, i quali, come noto, sono cause di prelazione riconosciute dalla legge in ragione della causa del credito. Il credito del promissario acquirente, infatti, non è privilegiato in quanto tale, ma lo diviene soltanto in seguito alla trascrizione. Il privilegio, dunque, nasce in seguito all’adempimento di una formalità pubblicitaria, ossia la trascrizione del contratto preliminare. Proprio in ragione delle accennate peculiarità il privilegio di cui all’art. 2775 bis c.c. è stato oggetto di notevoli dibattiti, i quali hanno riguardato soprattutto la relazione tra tale privilegio e le ipoteche anteriori. Ci si è chiesti, nello specifico, se possa trovare applicazione la regola generale della prevalenza del privilegio sulle ipoteche o se, viceversa, le caratteristiche del privilegio in esame giustifichino una deroga rispetto alla disciplina comune. L’orientamento prevalente, avallato da una pronuncia delle Sezioni Unite, ritiene che questo privilegio non possa prevalere sulle ipoteche anteriori, rimanendo sottoposto all’ordinario regime in materia di pubblicità degli atti.
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Alice Da Ros
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