Contributo Unificato: dichiarazione di valore e clausole “di stile”, determinazione, natura, controllo
La Direzione Generale della Giustizia Civile del Ministero della Giustizia, in risposta a quesiti inoltrati da una Corte di Appello ha evidenziato e ribadito ( 1 ), con riferimento specifico alla determinazione del contributo unificato che la parte processuale è tenuta a versare, che:
occorre distinguere tra domanda giudiziale, rivolta al magistrato, e dichiarazione di valore ex art. 14, c. 2, DPR 115/02, alla quale è tenuto il procuratore, indirizzata al cancelliere;
il C.U. deve necessariamente essere quantificato sulla base della dichiarazione di valore;
l’omissione della predetta dichiarazione di valore comporta l’applicazione del C.U. di cui all’art. 13, c.1 lett. g), del citato decreto.
In effetti, l’indicazione del valore della causa, ai fini della determinazione del contributo unificato, riveste carattere esclusivamente fiscale non producendo alcun effetto sul valore della controversia, così come la sua omissione, costituendo una irregolarità fiscale, non determina l’improcedibilità o la nullità della domanda giudiziale ( 2 ).
Tenuto conto anche che già in materia in tal senso si era determinata l’Amministrazione Giudiziaria ( 3 ), con le indicate risposte ai quesiti, debitamente motivate, e in particolare con la nota n. 0063597.U dell’8/4/16, è stato anche ribadito, conseguenzialmente, che, in presenza negli atti di citazione e/o ricorsi, accanto al petitum, della formula “o della maggiore somma che verrà stabilita in corso di causa” o similari, il C.U. deve assolutamente quantificarsi sulla base della sola dichiarazione di valore formulata dalla parte.
Infatti, giusta pure la risposta data al quesito inoltrato da altro Ufficio ( 4 ), le clausole indicate – abbiano natura sostanziale o “di stile” – incidono sulla “qualificazione del petitum, istituzionalmente riservata al giudice adito”, e non può il cancelliere sulle stesse effettuare alcuna valutazione. Su tale indirizzo tuttavia, benchè osservato da tempo: “ il contributo unificato non va integrato quando nel ribadire la richiesta originaria si aggiungono formule del tipo “ o quella maggiore o minore che il giudice riterrà di competenza” o “ entro i limiti di competenza del giudice adito “ “ ( 5 ), è intervenuta in passato e in senso contrario la Corte di Cassazione (6 ). Ha ritenuto, infatti, che le formule citate hanno natura sostanziale e determinano la ragionevole incertezza sulla somma domandata in giudizio con la conseguenza che la stessa domanda – ai sensi dell’art. 14 C.P.C. – si deve presumere eguale alla competenza del giudice adito e l’applicazione del contributo unificato dovrà avvenire sulla base di questo parametro.
Oggi, comunque, per le disposizioni regolamentari e la giurisprudenza indicate è pacifica l’interpretazione secondo la quale il C.U. va determinato esclusivamente in base alla dichiarazione di valore ( art. 14, c. 2, DPR 115/02 ).
Anche se la norma da ultimo citata recita testualmente che la dichiarazione di valore deve essere “resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo”, l’Amministrazione Giudiziaria ( 7 ) ha comunque ritenuto valida la stessa dichiarazione resa fuori dall’atto introduttivo, purchè, oltre ad essere sottoscritta dal difensore, sia antecedente all’iscrizione a ruolo (con inserimento, ovviamente, della dichiarazione nel fascicolo d’Ufficio).
La ratio, che si ricava dalla relazione illustrativa del DPR 115/02 all’art. 13, della presunzione di valore di cui allo stesso art. 13, c. 6, con la sua valenza sanzionatoria ( 8 ), è che operi soltanto nell’ipotesi di mancata presentazione della dichiarazione di valore.
Con l’art. 14 più volte citato viene individuata la parte obbligata al pagamento del C.U., secondo, per come già detto, gli importi previsti con riferimento alla dichiarazione di valore rimessa alla stessa parte.
La norma originaria ( 9 ) prevedeva che in caso di modifica della domanda la parte fosse “tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al relativo pagamento integrativo”. In caso non vi provvedesse, “spettava al giudice dichiarare l’improcedibilità della domanda”.
Il Ministero della Giustizia (10), nel dare valore formale al riscontro effettuato dalla cancelleria, anche perché la stessa potesse richiamare l’attenzione del giudice, tra importo pagato e quello previsto secondo la dichiarazione resa dall’avvocato, ha previsto, sempre in capo al giudice, la possibilità di dichiarare l’atto irricevibile di caso di mancato o inesatto pagamento.
Tuttavia il successivo D.L. 28/02, convertito con modif. nella L.91/02, ha eliminato l’improcedibilità della domanda e superato l’irricevibilità della stessa: infatti, per come si rileva dalla relazione illustrativa citata all’art. 14, forti erano stati i dubbi sulla legittimità costituzionale di tali scelte in quanto, secondo un consolidato orientamento della Consulta , l’esercizio del diritto di azione (art. 24 Costituzione) non può essere condizionato dal pagamento di un contributo di tipo fiscale.
L’attuale soluzione al mancato o incompleto pagamento del C.U., e premessa quindi la ricevibilità degli atti da parte del personale delle cancellerie giudiziarie, è quella prevista dall’art. 16 del DPR 115/02: riscossione con iscrizione a ruolo.
L’omesso o insufficiente pagamento del C.U. è accertato secondo quanto previsto dall’art. 15 del T.U. Spese di Giustizia: la cancelleria verifica l’esistenza della dichiarazione di valore e della ricevuta di pagamento e verifica, inoltre, se l’importo risultante dalla stessa ricevuta corrisponde allo scaglione di valore della causa.
Richiamando, quindi, quanto ribadito dall’Amministrazione in risposta ai quesiti di cui sopra, il C.U. – e perciò anche il suo omesso o incompleto pagamento – è determinato sulla sola base della dichiarazione di valore della parte.
Il controllo di conseguenza, per come pure evidenziato in disposizioni ministeriali ( 11 ), è meramente formale.
La stessa relazione illustrativa all’art. 15 attribuisce tale valore al controllo dal momento che “la legge è inequivocabile nell’attribuire la determinazione del valore……alla parte e nel non prevedere alcun controllo sul valore così determinato”. Prosegue la relazione affermando che “certamente manca il controllo all’origine sull’importo da versare. Il legislatore ha scelto di fare affidamento sulla dichiarazione dell’avvocato che, nella sostanza, non è libera, essendo indirettamente collegata con la competenza per valore”.
La relazione illustrativa sempre all’art. 15 chiarisce, poi, che la natura formale del controllo si estende anche ai casi di esenzione dal C.U., la cui ragione, a mente dell’art. 10, c. 6, del DPR 115/02, “deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo”.
Dr. Giuseppe Cuzzocrea
Dirigente Amministrativo Tribunale di Reggio Calabria
( 1 ) Note Min. della Giustizia n. 0063597.U dell’8/4/2016 e n. 0153361.U del 16/8/17.
( 2 ) Vedi Cassazione Civile: Sez. III – Ord. N. 15714 del 13/7/07; Sez. IV – Ord. 18732 del 22/9/15; Sez. II – Ord. N. 26988 del 20/12/07; Sez. II – Ord. N.
9195 del 10/4/17; Sez. II – Sent. N. 8555 del 12/4/06.
( 3 ) Min. della Giustizia: Circ. n. 3 del 13/5/02 – Circ n.1/12244/U/44 del 29/9/2003 – nota DAG 14/7/2005.1543 .
( 4 ) Nota Min. della Giustizia n. 60759.U del 5/4/16.
( 5 ) Circolare Min. della Giustizia DAG 1572/07 0020047.U .
( 6 ) Cassazione Civile Sez .VI Sent. N. 06053 del 10/3/13 .
( 7 ) Circ. Min. della Giustizia n. 1/1224/U/44 del 29/9/2003.
( 8 ) Vedi anche nota Min. della Giustizia DAG 14/7/05.1543 .
( 9 ) Art. 9 L. 488/99.
(10) Circolare del 26/2/2002.
(11) Circolari del Min. Giustizia n. 2 del 12/3/2002 e del 26/2/2002.
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