Coppie: chi deve mantenere i figli? E fino a quando?
In via generale ogni genitore (ivi incluso il genitore non esercente attività lavorativa) ha l’obbligo di mantenere i figli, giacché in mancanza – e qualora sussistano tutti i presupposti di legge – ben può incorrere in responsabilità civile e penale.
Il suddetto obbligo, inoltre, non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età.
Analizzando, più nel dettaglio, l’ampio quadro normativo si evince che l’obbligo di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati, atteso che il suddetto officium è esclusivamente e eziologicamente connesso alla sola procreazione.
La conseguenza ineludibile di ciò è che il figlio acquista lo ius di essere mantenuto da entrambi i genitori già dalla propria nascita, a prescindere – perfino – da qualsivoglia domanda e dalla circostanza che la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale sia intervenuta solo successivamente rispetto al momento della nascita stessa (cfr.: Cass. Civ., Sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079; Cass. Civ., 22 novembre 2013 n. 26205; Cass. Civ. 10 aprile 2012 n. 5652; Cass. Civ., Sez.I, 11 settembre 2012 n. 15162; Cass. Civ., 10 aprile 2012 n. 5652; Cass. Civ. 2 febbraio 2006 n. 2328; Cass. Civ., Sez. I, 22 marzo 2005 n. 6197; Cass. Civ., Sez. I, 26 maggio 2004 n. 10124; Cass. Civ., 14 maggio 2003 n. 7386; Cass. Civ., Sez. I, 22 novembre 2000 n. 15063; Cass. Civ. 28 giugno 1994 n. 6217).
A tale riguardo va osservato come il Legislatore, anelando a cristallizzare nell’Ordinamento Giuridico ciò che è anche un dovere morale, in pluris disposizioni di legge ha consacrato tale “dovere di mantenere i figli” elevandolo, anche, a dovere costituzionale con il dispositivo di cui all’art. 30 Cost..
L’art. 30 Cost., più nello specifico, crea nella sfera giuridica dei genitori il “diritto e dovere” di mantenere i figli, sia che questi ultimi siano nati all’interno di quel c.d. consortium coniugalis, sia che siano nati al di fuori del matrimonio.
In attuazione del suddetto principio si collocano le disposizioni di cui agli artt. 143, 147, 148, 315 bis e 316 bis c.c..
Fra queste meritevole di menzione è l’art. 147 c.c. il quale abbraccia l’officium di cui si discorre nell’ambito del coniugio, imponendo “ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis”.
Altresì meritevole di menzione è l’art. 315 bis c.c. il quale – quasi da specchio al dovere incombente sui genitori di cui all’art. 147 c.c., nonché in coerenza con il disposto di cui all’art. 30 Cost. – costituisce in capo a ciascun figlio, e senza distinzioni di sorta (id est: a prescindere dal se i genitori siano coniugi o meno), il diritto soggettivo di essere mantenuto dai genitori nel rispetto dei dettami dell’art. 147 c.c. che all’uopo lo richiama (rectius: nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni).
Conseguenza imprescindibile di ciò è che i genitori, nell’adempiere all’ufficium di cui qui si discorre, devono provvedere a soddisfare una molteplicità di esigenze dei figli all’uopo provvedendo a soddisfare esigenze non circoscrivibili a quelle meramente alimentari, bensì “estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale ed all’opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Poiché, peraltro, lo standard di soddisfazione di tali esigenze è correlato anche al livello economico-sociale del nucleo familiare, il parametro di riferimento, ai fini della quantificazione del concorso nei predetti oneri, è costituito non soltanto dalle esigenze dei figli, ma anche dalle sostanze e dai redditi, nonché dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, che, rappresentando l’insieme delle risorse economiche a disposizione della famiglia, consentono di valutare il tenore di vita dalla stessa goduto nel corso della convivenza, al quale dev’essere rapportato il contributo in esame (cfr. Cass. Civ., Sez.I, 10 luglio 2013 n. 17089; Cass., Sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197; Cass. Civ., 19 marzo 2002, n. 3974)”
Stante la suesposta precisazione è possibile evidenziare che il Legislatore, nell’imporre l’officium di mantenere i figli, ha fatto sì che la posizione economica, nonché le sostanze e i redditi, la capacità di lavoro, professionale o casalingo, dei rispettivi genitori, più che influenzare sull’an, influenzasse sul quantum del mantenimento stesso.
Ciascuno dei genitori, infatti, ha un proprio dovere, che si atteggia autonomo e concorrente con quello dell’altro, di provvedere al mantenimento dei figli in ragione delle proprie sostanze (Cass. Civ., Sez. I, 6 luglio 2012 n. 11414).
A conferma di ciò si pone l’accento anche sull’art. 316 bis c.c. in virtù del quale i genitori devono provvedere, a mantenere il figlio, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro (professionale o casalingo).
L’obbligo de quo sprigiona particolare valenza all’interno dell’Ordinamento giuridico anche laddove si considera che lo stesso non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli.
“L’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, cessa (infatti, solo) a seguito del raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass., Sez. VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168)”.
Inde est quod, onde ottenere la “declaratoria della cessazione dell’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne”, il genitore deve superare l’onus probandi di cui all’art. 2697 c.c. all’uopo fornendo la prova di come il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, ovvero – in alternativa – di come il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica sia da ricondurre a colpa del figlio stesso il quale – pur posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente – si è sottratto volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita (Cass.Civ. 12 aprile 2016, n. 7168; Cass. Civ., Sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858; Cass.Civ., Sez. I, 26 gennaio 2011 n. 1830; Cass. Civ., 6 novembre 2006 n. 23673; Cass.Civ., 11 marzo 1998 n. 2670).
In ogni caso la declaratoria della cessazione dell’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne sarà pronunciata dal Giudicante valutando ed accertando plurimi fattori.
Fra questi importanza predominante va riconosciuta “all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età”, tenendo in considerazione – altresì – che “l’obbligo di mantenimento in oggetto, anche in forza del principio di autoresponsabilità, non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo (Cassazione civile Sez. I sentenza n. 12952 del 22 giugno 2016)”.
Sulla scia di tutto quanto quivi precisato la giurisprudenza ha più volte precisato che l’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne cessa nel caso in cui quest’ultimo svolga regolare attività lavorativa, sia pure con contratto a termine e guadagni contenuti, giacché lo stesso deve essere considerato – in tali casi – economicamente autosufficiente (Cass. Civ., Sez. I, 26 maggio 2017 n. 13354).
La giurisprudenza ha specificato, altresì, che nessun mantenimento è dovuto qualora trattasi di figlio maggiorenne studente che non provveda a completare gli studi per propria ingiustificata inerzia o colpa (Cass. Civ. n. 7970/2013; Cass. Civ.n. 4555/2012; Cass. Civ. n 8954/2010).
Allorquando la magistratura si è pronunciata – invece – in senso favorevole alla sussistenza dell’obbligo di mantenere i figli maggiorenni, la stessa, ha evidenziato – ex pluris – che il “raggiungimento, ad opera del figlio, dell’autosufficienza economica” non è evincibile – sic et simpliciter – né dalla mera prestazione di lavoro da parte del figlio occupato come apprendista (cft.: Cass. Sez. I, 26 maggio 2017 n. 13354; Cass. Sez. I, 11 gennaio 2007 n. 407), né dall’avere il figlio conseguito una borsa di studio (Cass. Sez. I, 10 maggio 2017 n. 11467); altresì, non integra di per sé “raggiungimento dell’autosufficienza economica” il conseguimento di un titolo di studio universitario, o la celebrazione di un matrimonio cui non consegua la costituzione di una nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente (Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 1830 del 26 gennaio 2011).
Inde est quod, anche in tali ultime evenienze, sussiste l’obbligo dei genitori di mantenere i figli.
In via generale e succinta si precisa che allorquando sussiste l’officium di mantenere i figli, giacché lo stesso – come detto – grava su ciascun genitore, il genitore che adempia a tale obbligo anche per la quota incidente sull’altro genitore è legittimato ad agire iure proprio onde ottenere il rimborso di tale quota per tutto il periodo decorrente dalla nascita del figlio, ed anche per il periodo ex ante rispetto alla domanda (ex pluris: Cass. Civ., 15 marzo 2017, n. 6819; Cass. Civ. 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass. Civ., 4 settembre 1999, n. 9386; Cass. Civ., 11 luglio 1990 n. 7211; Cass. Civ., Sez. I, 19 marzo n. 1862).
Nell’indicato comportamento del genitore adempiente infatti, stante che l’obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione, è ravvisabile un caso di gestione d’affari produttiva a carico dell’altro genitore degli effetti di cui all’art. 2031 c.c. (ex pluris: Cass. Civ., 15 marzo 2017, n. 6819; Cass. Civ., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass. Civ., 4 settembre 1999, n. 9386; Cass. Civ., 11 luglio 1990 n. 7211; si veda però, in senso contrario, Cass. Civ., Sez. I, 22 novembre 2000 n. 15063, secondo cui “il riconoscimento del figlio naturale comporta, tra l’altro, a carico di entrambi i genitori, l’obbligo di mantenimento senza che rilevi la circostanza che gli stessi siano conviventi o meno. Pertanto, ove uno dei genitori abbia provveduto integralmente al detto mantenimento – o oltre la misura delle proprie sostanze – lo stesso ha diritto di agire in regresso per il recupero della quota del genitore inadempiente, secondo le regole generali dei rapporti tra condebitori solidali, senza che sia configurabile un caso di gestione di affari altrui e a prescindere, altresì, dall’epoca in cui il rapporto di filiazione, nei confronti dell’inadempiente, sia stato accertato e riconosciuto”).
Le conseguenze giuridiche sfavorevoli a carico del genitore inadempiente non sono certo solo queste.
A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, infatti, il genitore inadempiente può essere condannato – altresì – a risarcire ogni danno, ivi incluso non patrimoniale, arrecato al figlio.
Non a caso la violazione dei doveri di cui alla sfera giuridica di ciascun genitore, ivi incluso del dovere di mantenere i figli, può integrare gli estremi dell’illecito civile a mezzo della lesione di diritti costituzionalmente protetti, e più precisamente “di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano nella carta costituzionale (in part., articoli 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela (Cass. Civ., Sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079)”.
A fronte di ciò la condotta del genitore inadempiente può trovare la sua sanzione non solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, bensì anche in “un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella nota decisione n. 26972 del 2008 (Cass. Civ., Sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079)”.
Sempre a mero titolo esemplificativo e non esaustivo circa le possibili conseguenze giuridiche in cui potrebbe incorrere il genitore inadempiente si precisa, inoltre, che l’omesso mantenimento del figlio potrebbe integrare gli estremi del reato previsto e punito dall’art. 570 c.p., o del reato previsto e punito dall’art. 570 bis c.p., qualora ricorrano anche tutti gli altri elementi costitutivi delle rispettive fattispecie di reato quivi enucleate.
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Avv. Ilaria Parlato
L'AVV. ILARIA PARLATO fornisce assistenza legale in tutta l'Italia.
Ha conseguito con profitto il Master di Alta Formazione Professionale in Criminologia e Psicopatologia Forense.
È autrice di articoli in materia di Diritto Civile, Diritto di Procedura Civile, Diritto Penale e Diritto di Procedura Penale, pubblicati da riviste di pregiato valore nel mondo dell'avvocatura quali Salvis Juribus, Studio Cataldi, Altalex, Diritto.it e La legge per tutti.
L'AVV. ILARIA PARLATO è, altresì, autrice del libro giuridico "Risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali in regime more uxorio", pubblicato – nell'anno 2016 - dalla Fondazione Mario Luzi, casa editrice avente la prerogativa di premiare il merito e gli autori più meritevoli.
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