Coronavirus e locazioni
L’emergenza coronavirus non è solamente sanitaria ma anche finanziaria ed economica. Le saracinesche abbassate, le insegne spente e le porte chiuse rappresentano l’immagine preoccupante del Paese alle prese con la rigida serrata imposta dal Governo.Il decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. Cura Italia) è ormai entrato in vigore e prevede “Misure di potenziamento del Servizio sanitario Nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, intervenendo su quattro tematiche principali e ulteriori misure settoriali.
In tale contesto, un aspetto particolarmente delicato è quello relativo ai contratti di locazione. Infatti, tra i tanti costi cui devono far fronte i cittadini spesso vi sono anche gli affitti, che rappresentano, al tempo stesso, una fonte di reddito per molti altri cittadini.
Dinnanzi a tale scenario diverse sono le domande che si avvicendano, sia con riferimento alle locazioni ad uso abitativo che a quelle ad uso diverso.
Allo stato attuale le disposizioni contenute nel decreto legge non riguardano le abitazioni, ma esclusivamente gli esercizi commerciali. Tra le varie misure adottate a sostegno delle imprese vi è infatti il riconoscimento di un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo [1], mentre nulla è previsto circa i contratti di affitto di azienda.
Molti conduttori di immobili ad uso diverso, a fronte di questa situazione emergenziale, chiedono la riduzione del canone. A tal riguardo si possono ipotizzare diverse soluzioni giuridiche nessuna delle quali, tuttavia, sembrerebbe soddisfare pienamente l’aspettativa del conduttore in relazione alla prosecuzione dell’attività.
La prima soluzione è contemplata dall’art. 27 della legge 392/1978, secondo cui per “gravi motivi” – consistenti in fatti non solo estranei alla volontà del conduttore, ma anche imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, il cui effetto è rendere oltremodo gravosa la sua persistenza per il conduttore (Cassazione, 26 luglio 2005, n.1560) – il conduttore può recedere dal contratto con un preavviso di almeno 6 mesi. Tale soluzione, se percorribile, comporterebbe la cessazione dell’attività: bisognerebbe pertanto valutare che, allo stato attuale, la situazione emergenziale è solo contingente, temporanea e potrebbe quindi concludersi in un lasso di tempo limitato.
Altra soluzione potrebbe essere quella della impossibilità parziale sopravvenuta, così come previsto dall’art. 1464 c.c., il quale contempla la possibilità della riduzione della prestazione dovuta (il canone) quando la prestazione dell’altra parte (il locatore) è diventata solo parzialmente impossibile. In altri termini, se il conduttore non può utilizzare l’immobile oggetto del contratto d’affitto e tale inutilizzabilità non è definitiva, questi è liberato dall’eseguire la sua controprestazione, cioè quella di corrispondere il canone per il periodo in cui si è verificata l’impossibilità.
Ulteriore soluzione è offerta dalla eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c.. Tale fattispecie, tuttavia, potrebbe determinare la sola pretesa di risoluzione del contratto da parte del conduttore (evitando il preavviso di 6 mesi per gravi motivi). Ciò sempre che il locatore, a fronte della richiesta risoluzione, non offra di modificare equamente le condizioni del contratto al fine di ristabilire l’equilibrio contrattuale. Anche in questo caso, fattore da non sottovalutare è la non definitività e assolutezza della situazione emergenziale che determina l’eccessiva onerosità e il rischio di risoluzione del contratto e, pertanto, di cessazione dell’impresa.
Risulta anche ammissibile la disposizione relativa alla cosiddetta impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione, di cui all’art. 1256 c.c.. In proposito va considerato che il divieto di esercitare l’attività lavorativa comporta l’impossibilità per il conduttore di utilizzare l’immobile, quale prestazione dovuta dalla controparte (il locatore). La mancanza degli incassi determina l’impossibilità di adempiere alla propria obbligazione (il canone). Tutto ciò per il perdurare dell’emergenza sanitaria che comporterebbe, quindi, la posticipazione dell’obbligo e non la sua esclusione. Tale ultima ipotesi potrebbe verificarsi solo se l’impossibilità dovesse perdurare fino al momento in cui, considerato il rapporto in corso, non vi sarà più l’obbligo di corrispondere il canone. Al contrario, dal momento in cui l’impossibilità sarà cessata il conduttore sarà tenuto al pagamento dei canoni precedenti non corrisposti.
Un’altra ipotesi plausibile è quella della impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta (il canone), ex art. 1258 c.c., quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Anche qui, tuttavia, deve considerarsi che l’impossibilità parziale, allo stato, non è definitiva. Superata l’emergenza, infatti, l’immobile sarà nuovamente e totalmente utilizzabile.
L’art. 91 del D.L. 18/2020 introduce una disposizione che è diretta a considerare le conseguenze di un inadempimento qualora le stesse derivino dal “rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”, precisando che tale situazione “è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c.” e ciò in relazione a “eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.
Tale disposizione assume esclusivo valore rafforzativo e confermativo delle disposizioni già vigenti nel nostro ordinamento giuridico: si tratta proprio delle disposizioni di cui agli artt. 1256 c.c. (impossibilità definitiva o temporanea) e 1258 c.c. (impossibilità parziale) suesposte.
Salve le riserve e indicazioni anzidette, appare difficile sostenere il diritto dei conduttori di immobili ad uso diverso ad un’automatica riduzione del canone.
Ancor più improbabile risulta giustificare l’interruzione del pagamento nel caso delle locazioni a uso abitativo, come quelle degli studenti fuori sede, in assenza di una regolamentazione ufficiale.
Gli studenti che hanno lasciato gli appartamenti sono tenuti a pagare il canone? Cosa accade se ciò non avviene?
Nell’ipotesi in cui il debitore (conduttore) non adempia alla propria obbligazione, è possibile costituire in mora quest’ultimo – ai sensi dell’art. 1219 c.c. – a fronte del mancato pagamento anche solo di un mese; ciò comporta la possibilità per il proprietario di sciogliere il legame contrattuale o, eventualmente, di trattenere la cauzione come rimborso del mancato preavviso, a fronte dell’accordo scritto.
All’attualità, sia relativamente ai contratti ad uso abitativo che a quelli ad uso diverso, tenendo in considerazione tutte le ipotesi fin qui esposte, la soluzione migliore praticabile è quella di contattare per le vie ordinarie il locatore e concordare una soluzione amichevole e transattiva.
Nel caso di rifiuto del locatore e mantenendo fermo il pagamento del canone vigente, al fine di evitare eccezioni di risoluzione del contratto per inadempimento, il conduttore potrà convocare lo stesso in mediazione. Trattandosi di una controversia in materia locatizia, infatti, prima dell’eventuale giudizio è obbligatorio esperire tale procedimento come previsto dal D.lgs. 28/2010. Nel caso di fallimento della mediazione, non rimane che la via giudiziale sostenendo una delle ipotesi formulate in precedenza.
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[1]L’art. 65 del D.L. 18/2020 (credito d’imposta per botteghe e negozi) al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica COVID-19, ai soggetti esercenti attività di impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1. Il credito d’imposta non si applica alle attività non soggette a sospensione ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241.
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Avv. Elisabetta Barba
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