Coronavirus, protocollo a tutela dei lavoratori: è una misura efficace?

Coronavirus, protocollo a tutela dei lavoratori: è una misura efficace?

Sommario: 1. Salute e sicurezza dei lavoratori in caso di pandemia – 2. Le indicazioni per i lavoratori e le imprese – 3. Prevalenza alla salute o al mercato? Troppa discrezionalità alle imprese

 

 

1. Salute e sicurezza dei lavoratori in caso di pandemia

Dopo l’emanazione del DPCM dell’11 marzo[1], si è sentita l’esigenza di intervenire in modo più specifico con riferimento alle misure di sicurezza da adottare nei luoghi di lavoro per contrastare i rischi derivanti dalla diffusione del Coronavirus.

Così, procedendo ancora in modo veloce ed efficiente, la mattina del 14 marzo si è giunti, a seguito di lunghe e articolate discussioni con i sindacati, alla firma del “Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro[2]. Alla riunione antecedente alla firma del Protocollo hanno presenziato CGIL, CISL e UIL, in rappresentanza dei lavoratori, nonché Confindustria e Confapi, in rappresentanza del mondo produttivo.

A seguito del Decreto dell’11 marzo, sono, infatti, rimaste aperte un gran numero di fabbriche, in relazione alle quali i sindacati avevano subito chiesto di predisporre una tutela dei lavoratori.

Il diritto alla salute dei lavoratori, il quale deve, in ogni circostanza, essere salvaguardato dal datore di lavoro (per lo più in applicazione del T.U. del 2008[3]), è riconosciuto anche in ambito europeo ed internazionale e, quindi, in un periodo di pandemia, quale è quello che stiamo vivendo, è richiesto un intervento da parte dello Stato per tentare di salvaguardare la salute degli stessi.

Il problema era già stato preso in considerazione in occasione della diffusione del virus influenzare del 2009; in tale occasione si erano evidenziati gli effetti di un’influenza pandemica sui luoghi di lavoro; dal momento che in tali luoghi, in ragione della condivisione di spazi e frequenti contatti con il pubblico, sarebbe decisamente maggiore il rischio di trasmissione. Per tali ragioni, già nel 2009 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali aveva adottato alcune Raccomandazioni generali ad interim per la riduzione del rischio espositivo in corso di pandemia influenzale nei luoghi di lavoro, per stabilire alcune linee guida che potessero diminuire il rischio di contagio negli ambienti lavorativi.

Il Governo italiano, inoltre, aveva iniziato una più ampia strategia su Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione per la stagione 2008/2009, per fronteggiare l’impatto che una rapida diffusione del virus avrebbe potuto avere[4].

2. Le indicazioni per i lavoratori e le imprese

Il Protocollo intervenuto sabato 14 marzo, per tentare di contenere i rischi di contagio, in considerazione della rapida diffusione del Coronavirus, ha voluto fornire delle vere e proprie indicazioni operative, per garantire il rispetto e l’efficacia nei luoghi di lavoro delle misure precauzionali adottate nei giorni precedenti.

Si è, quindi, stabilito che, in aggiunta alle misure già previste col Decreto dell’11 marzo, le imprese dovranno adottare misure ulteriori, che siano idonee a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori e la salubrità dei luoghi di lavoro.

Per semplicità logica, il Protocollo in discorso è stato distinto in tredici punti.

Il primo punto concerne l’informazione, per cui l’Azienda è tenuta a informare tutti i lavoratori nonché chiunque altro acceda al luogo di lavoro delle disposizioni assunte dall’Autorità.

Le informazioni per i lavoratori concernono, in primo luogo, nell’obbligo di rimanere presso il proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria.

Il secondo punto, concernente le modalità di ingresso in azienda, determina il fatto che, in stretta connessione con il punto precedente, il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro, potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea.

Il terzo punto del Protocollo concerne i doveri di pulizia, per cui l’azienda deve assicurare la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago. In tal senso, si è già sostenuto in passato che la sanificazione degli ambienti e delle attrezzature costituisce una pratica fondamentale per contenere il rischio di contaminazione microbica. Una corretta sanificazione può derivare solo dall’esatta sequenza delle operazioni di pulizia: rimozione dei residui grossolani; detersione; risciacquo; disinfezione; risciacquo[5].

Il Protocollo impone poi, al quarto punto, il banale, quanto fondamentale, obbligo di lavarsi le mani: tutte le persone presenti in azienda devono, infatti, assumere le precauzioni necessarie, in primis lavarsi le mani e l’azienda deve mettere a disposizione idonei mezzi detergenti.

Si tratta di un’obbligazione già prevista in modo specifico per gli addetti alla manipolazione di alimenti[6].

Inoltre, il quinto punto stabilisce che, nel caso in cui il lavoro imponga una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative (si pensi alla mansione di un cassiere), è necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, etc.) conformi che, però, come si vedrà a breve, l’impresa non è espressamente obbligata dal Protocollo a fornire.

Deve poi, ai sensi del sesto punto, essere severamente regolato l’accesso agli spazi comuni, comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi, occorre che vi sia un tempo ridotto di sosta e che si mantenga sempre la distanza di sicurezza (1 metro) tra i lavoratoti.

Così come gli ambienti di lavoro ai quali ha diritto accesso la clientela, devono essere sanificati anche gli spogliatoi, i locali mensa, nonché le tastiere dei distributori di bevande e snack (punto 7).

Una disposizione importante del Protocollo è quella prevista dal punto ottavo, per cui, per tutto il periodo dell’emergenza Coronavirus, le imprese potranno, con riferimento alle previsioni dei Contratti collettivi nazionali d’accordo con le rappresentanze sindacali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di per cui è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working.

Giova fare un breve riferimento alla forma di lavoro da ultimo menzionata, dove il prefisso “smart” non vuole significare “lavoro agile”, essendo, invece, finalizzato a innovare i processi di gestione delle risorse umane, rendendo più flessibile la forza lavoro rispetto alle necessità e più snelli i processi operativi. A differenza del flexibility working, tuttavia, lo smart working resta legato al lavoro subordinato, fornendo una garanzia di stabilità[7]

Ancora, al nono punto si impone una riorganizzazione dei turni e dei modelli di gestione precedentemente vigenti in azienda, assicurando un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione in moda da diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili.

Al fine di permettere ai lavoratori di restare a casa in questo periodo un po’ “pericoloso”, dovrebbero essere utilizzati in via prioritaria, in virtù di quanto disposto dal decimo punto, gli ammortizzatori sociali e, ulteriormente, i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti.

Dovranno essere tassativamente sospese e/o annullate tutte le trasferte ed i viaggi di lavoro nazionali e internazionali, così come gli eventi interni e di formazione. Non sono consentite le riunioni in presenza (ma al massimo utilizzando mezzi informatici, come, ad esempio, Skype) (punto 11), evidentemente al fine di evitare la formazione di capannelli di persone.

Ai sensi del dodicesimo punto, gli orari di entrata e uscita dei lavoratori devono essere quanto più possibile scaglionati, al fine, nuovamente, di evitare contatti nelle zone comuni (quali ingressi, spogliatoi, sala mensa).

Infine, all’ultimo punto del Protocollo, si fa espresso riferimento al caso in cui un lavoratore dell’azienda abbia contratto il virus, spiegando come occorre comportarsi in tal caso. In primo luogo, quando una qualsiasi persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria come la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale; a questo punto, dovrà procedersi subito con l’isolamento del soggetto -e, eventualmente, di coloro che lavoravano nello stesso reparto- e l’azienda dovrà avvertire immediatamente le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il Covid-19[8]. Si mira, così, ad evitare quanto più possibile che il contagio possa estendersi anche agli altri lavoratori, nonché alla clientela, valutando, in tal caso, quando sia possibile, anche la chiusura dell’esercizio.

3. Prevalenza alla salute o al mercato? Troppa discrezionalità alle imprese

Le disposizioni previste con il Protocollo potrebbero essere di per se stesse efficaci per evitare la diffusione del virus nei luoghi di lavoro; la problematica che già si può rilevare, tuttavia, è un’eccessiva discrezionalità concessa alla imprese.

Si dice, infatti, che le imprese “potranno”, se vorranno, “assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti”. Le imprese “potranno”, se vorranno, rimodulare gli orari di ingresso e di uscita in fabbrica in modo da consentire ai lavoratori di non assembrarsi e rispettare la distanza di sicurezza, ma anche no. I lavoratori “dovranno” comunque lavorare.

Anche nel caso in cui un lavoratore abbia i sintomi del virus, più di 37.5 di febbre e crisi respiratorie (punto n. 13 del Protocollo), l’azienda seguirà il protocollo previsto per i casi di sospetto Coronavirus e “potrà”, durante il periodo delle indagini, sospendere dal lavoro chi ha lavorato a stretto con lui, così da impedire il contagio di tutti i lavoratori, ma anche no. Il che significa che potrebbero anche restare operativi lavoratori potenzialmente infetti.

In particolare, il punto 6 del Protocollo specifica, come anticipato, che in determinati casi è obbligatorio l’uso di guanti e mascherine, senza, però, imporre all’impresa alcun obbligo di fornirli, essa sarà tenuta soltanto a mettere “a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani” (punto 6), ovvero sapone (che dovrebbe mettere a disposizione sempre) e, eventualmente, gel disinfettanti.

Come è noto, nel diritto del lavoro vige una posizione di garanzia del datore di lavoro in merito ai danni che potrebbero derivare ai lavoratori dalla mancata predisposizione delle tutele adeguate -responsabilità evidenziata, oltre che dal T.U. in materia di sicurezza sul lavoro, anche dall’art. 2087 c.c.[9].

Il Protocollo in discorso, probabilmente in quanto intervenuto in una situazione di particolare urgenza, non sembra aver tenuto in debita considerazione la menzionata posizione di garanzia, essendo, quindi, criticabile per il fatto di esonerare, di fatto, le aziende dalla maggior parte della responsabilità ed addossare ai lavoratori tutte le responsabilità legate al pericolo di contagio.

In ragione di ciò, a seconda dell’evoluzione della situazione, ci si potrebbe auspicare un correttivo maggiormente garantista.

 

 


[1] Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri Dpcm 11 marzo 2020- Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale, al sito: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/11/20A01605/sg
[2] Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, al sito: https://www.cisl.it/attachments/article/15467/Protocollo.pdf
[3] Decreto legislativo 09 aprile 2008, n. 81- Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, al sito: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2008/04/30/008G0104/sg
[4] M. Giovannone- M. Tiraboschi, Pandemia influenzale e ambienti di lavoro: tutela della salute pubblica e impatto sulla organizzazione del lavoro, Bollettino speciale Adapt, 6 ottobre 2009, pp. 1-2.
[5] M. P. De Filippo, Alimenti e bevande: somministrazione e commercio, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 326.
[6] N. G. Marriott- R. B. Gravani, Sanificazione nell’industria alimentare, Springer, Virginia, 2006, p. 98.
[7] A. Martone, Smart working, job crefting, virtual team, empowerment, Wolter Kluwer, Milanofiori Assago, 2018.
[8] Coronavirus, i 13 punti del Protocollo di sicurezza dei lavoratori, 14 marzo 2020, al sito: https://tg24.sky.it/economia/2020/03/14/coronavirus-protocollo-sicurezza-lavoratori.html
[9] A. D’Avirro- P. M. Lucibello, I soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro nell’impresa. Datori di lavoro, dirigenti, committenti, responsabili dei lavoratori e coordinatori, Giuffrè, Milano, 2010, p. 8.

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