Corruzione antecedente e susseguente: due casi esplicativi
Sommario: 1. Introduzione – 2. Corruzione per un atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio (artt. 318 e 319 c.p.) – 3.Corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.) – 4. Sulla consumazione – 5. Osservazioni sulla corruzione in atti giudiziari aggravata (art. 319-ter comma 2 c.p.)
1. Introduzione
Due sentenze molto diverse, una di legittimità ed una di merito, distanti dieci anni l’una dall’altra, forniscono l’occasione di approfondire quelle forme di corruzione cosiddette “antecedente” e “susseguente”.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affrontato l’argomento con la sentenza n. 15208 del 25.02.2010, riguardante la corruzione in atti giudiziari del testimone David Mills nell’ambito del procedimento inerente al gruppo “Fininvest Group B”.
In tempi molto più recenti, invece, la Corte d’Appello di Milano, Sezione II Penale, con la sentenza n. 286 del 15.01.2020 si è occupata di una fattispecie di corruzione internazionale coinvolgente la società SAIPEM, controllata da ENI, ed alcuni politici e funzionari pubblici algerini al fine di ottenere l’aggiudicazione di appalti.
2. Corruzione per un atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio (artt. 318 e 319 c.p.)
La recente sentenza della Corte d’Appello di Milano, condividendo la prospettazione accusatoria, ritiene configurabile in astratto la fattispecie antecedente “avendo l’uomo politico algerino (ed i funzionari dell’ente petrolifero) accettato di favorire l’impresa italiana e le sue consociate estere nella partecipazione ed aggiudicazione delle indicate gare d’appalto, sulla base di un patto corruttivo concluso anteriormente all’attuazione di quella protezione”, definendosi la susseguente come l’ipotesi in cui, invece, “l’accordo interviene successivamente alla realizzazione dell’attività funzionale, presentando con questo un legame causale e non finalistico, in quanto l’accordo corruttivo è volto alla remunerazione di un’attività già esercitata prima ed indipendentemente dall’accordo stesso”.
L’accordo viene adottato prima della cosiddetta “vendita di discrezionalità” (discrezionalità amministrativa si intende: oggetto del mercimonio corruttivo è la funzione svolta dal pubblico ufficiale, che asservisce la discrezionalità che caratterizza lo svolgimento della sua funzione violando il principio di imparzialità); questa dinamica distingue la corruzione antecedente dalla susseguente.
E’ irrilevante che i termini dell’accordo prevedano il versamento della remunerazione illecita dopo l’aggiudicazione degli appalti (nel caso di specie, sotto forma di corresponsione per consulenze fittizie). Si configura comunque l’ipotesi corruttiva antecedente in quanto il reato di corruzione si perfeziona già al tempo della conclusione del pactum sceleris, procrastinandosi semplicemente, con i pagamenti, l’esecuzione del reato (concetto che rileva in relazione alla consumazione del reato, per cui si rinvia al paragrafo 4).
La Corte d’Appello, tuttavia, ritiene non sufficientemente provato l’accordo corruttivo e conclude dunque per l’assoluzione degli imputati da questo capo di imputazione. L’elemento essenziale del fatto tipico di corruzione, su cui grava un imprescindibile onere probatorio in capo alla Pubblica Accusa, è l’accordo corruttivo, mentre la dazione/ricezione di utilità è solo un indizio che dimostra, sul piano logico, il collegamento causale esistente tra la remunerazione e la violazione del dovere d’ufficio.
La pronuncia definisce anche “corruzione aleatoria” l’accordo illecito che prevede il pagamento della tangente solo nel caso in cui venga conseguita l’utilità attesa; nel caso trattato, solo laddove la società coinvolta risulti aggiudicataria delle commesse di interesse.
3. Corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)
L’art. 319ter c.p. punisce i casi in cui “i fatti indicati negli artt. 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”.
Con riferimento a questa fattispecie è risultata più problematica la configurabilità della forma susseguente; si sono sviluppati due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo una prima impostazione, minoritaria, la forma susseguente non sarebbe configurabile per questo specifico tipo di corruzione (salva la punibilità a titolo di corruzione generica).
Il tenore letterale della norma limita la punibilità solo al caso in cui la dazione o la promessa di utilità siano finalizzate ad influenzare l’imparziale andamento di un processo in un momento futuro, incompatibilmente con una situazione in cui l’interesse alla distorsione dell’amministrazione della giustizia sia già stato soddisfatto. In tal caso, infatti, la dazione o la promessa di utilità non sarebbero idonee ad influenzare l’andamento dell’attività giudiziaria.
Ammettere la configurabilità della forma susseguente, e dunque includere nel precetto di cui all’art. 319ter c.p. anche il caso di dazioni o promesse di utilità per atti pregressi, andrebbe a violare il principio di tassatività del diritto penale e costituirebbe una forzatura interpretativa in malam partem.
La posizione maggioritaria, invece, ritiene che anche per questo reato possano riconoscersi entrambe le forme: sempre muovendo dal dato letterale, la norma rinvia al contenuto integrale degli artt. 318 e 319 c.p.; escludere la forma susseguente si risolverebbe dunque in una interpretazione abrogatrice del precetto di cui all’art. 319ter c.p.
Le Sezioni Unite, appoggiando quest’ultima tesi, ritengono che le due tipologie si distinguano per la cosiddetta “causalità invertita”.
Nel caso della corruzione antecedente, il dolo specifico del favorire o danneggiare una parte si articola in una doppia finalità: quella, comune alla fattispecie di corruzione generica, di adottare un atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio e quella, caratteristica della corruzione in atti giudiziari, di violare, per mezzo del compimento dell’atto, il dovere di imparzialità che vincola lo svolgimento della funzione giudiziaria.
Nel caso della corruzione susseguente, se da un lato permane il dolo comune alla corruzione generica, dall’altro il dolo caratteristico della corruzione in atti giudiziari “si atteggia a elemento antecedente alla condotta tipica”: la dazione/ricezione di utilità assume una valenza unicamente causale rispetto alla violazione del dovere di imparzialità ed è ciò che comporta la rilevanza penale della stessa. Ciò significa che, chiaramente, nel momento in cui si violano i doveri d’ufficio per favorire o danneggiare una parte ancora non si può sapere della futura dazione/ricezione di utilità, ma nel momento in cui la si ottiene/la si accetta per aver violato i doveri d’ufficio, questo arricchimento diventa penalmente rilevante: “l’atto (conforme o contrario ai doveri d’ufficio) costituisce il presupposto strutturale indispensabile della condotta, che assume rilievo penale solo in forza del contributo causale dell’atto stesso”. La Corte ritiene infatti che anche in questo caso si concretizzi una strumentalizzazione della pubblica funzione.
E’ il comportamento processuale del pubblico ufficiale a dover essere finalizzato a favorire o danneggiare una parte, non la dazione/ricezione/promessa di utilità; è dunque del tutto indifferente che queste si verifichino prima o dopo il comportamento processuale.
4. Sulla consumazione
Entrambe le pronunce confermano la categoria del duplice schema: nel caso in cui alla promessa di utilità non consegua alcuna dazione, la consumazione si concretizza al momento della promessa accettata (“forma contratta o sussidiaria” secondo le Sezioni Unite); laddove invece alla promessa segua la dazione/ricezione, questo momento assorbe la promessa, che perde di rilevanza autonoma, ed il momento consumativo si identifica con esso.
Più specificamente, la Corte d’Appello afferma da un lato che la corruzione antecedente si perfeziona al momento del pactum, essendo il pagamento solo un rinvio di esecuzione, e dall’altro che il pagamento di quanto accordato illecitamente è il momento consumativo del reato.
La sentenza accoglie dunque la tesi che definisce il perfezionamento del reato come l’integrazione di tutti gli elementi costitutivi e la consumazione come il momento in cui l’offensività della condotta raggiunge la sua massima gravità, di contro alla posizione che fa coincidere i due istituti. Si legge infatti: “versandosi in un’ipotesi assimilabile a quella del reato progressivo … giacché ove alla promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione”.
Nel sostenere questa tesi rinvia proprio alla sentenza Mills, la quale egualmente riconduce la corruzione alla categoria del reato progressivo “verificandosi una sorta di passaggio necessario da un minus (la promessa) ad un maius (la dazione), e risultando offeso con gravità crescente il medesimo bene giuridico”.
Il rinvio della Corte d’Appello alle Sezioni Unite è anche “facilitato” dall’analogia del fatto concreto: in entrambi i casi le utilità in denaro venivano versate su conti bancari nella disponibilità del presunto corrotto.
Al riguardo le Sezioni Unite stabiliscono che “essere stato messo al corrente “di una somma in proprio favore” non significa necessariamente che la somma sia stata posta nella propria disponibilità … la consumazione del reato deve ritenersi coincidente, invece, con il momento in cui M., attraverso l’istruzione data a Q. l’11 novembre 1999, si comportò uti dominus (con conseguente mutamento del titolo del possesso) nei confronti della somma”. Tale utilizzo del denaro costituisce l’esteriorizzazione inequivocabile dell’intenzione di fare propria la somma.
Nel caso SAIPEM la Procura Generale ritiene che “la pubblica accusa ha provato documentalmente la disponibilità giuridica del denaro e tanto basta a provare che una parte delle tangenti è arrivata al ministro” (la sentenza cita le note di udienza depositate dal Procuratore Generale in sede di replica). La disponibilità giuridica consisteva, nel caso di specie, nella titolarità di procure ad operare sui conti su cui il denaro confluiva.
Contrariamente, la Corte valorizza il mancato compimento di operazioni: non è sufficiente provare la “teorica disponibilità giuridica” per ritenere provata la ricezione dell’utilità.
Tutto questo assume rilevanza in tema di prescrizione, considerando che ai sensi dell’art. 158 comma 1 c.p. “il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione”.
5. Osservazioni sulla corruzione in atti giudiziari aggravata (art. 319-ter comma 2 c.p.)
Permane una perplessità con riferimento alla configurabilità della forma susseguente nel caso di corruzione in atti giudiziari aggravata ex art. 319ter comma 2 c.p., ovvero “Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione superiore a cinque anni“.
La sentenza Mills, come detto, attribuisce rilevanza penale alla successione “violazione del dovere d’ufficio-accordo” nel caso della corruzione susseguente. Dunque questi due elementi, collegati causalmente, costituiscono il “fatto” di cui parla la norma: in mancanza di uno dei due fattori, la condotta non avrebbe rilevanza penale (almeno con riferimento al reato di corruzione). Tale “fatto”, così composto, è collegato a sua volta ad una condanna specifica sulla base di un ulteriore nesso eziologico. Stando alla lettera del precetto, i due fattori che compongono il fatto sono concause della condanna.
Ora, se il reato base è integrato anche laddove l’accordo corruttivo sia successivo alla violazione del dovere, arrecandosi comunque un pregiudizio alla trasparenza ed all’imparzialità nell’amministrazione della giustizia, l’ipotesi aggravata non potrà verificarsi nella forma susseguente in quanto dall’accordo corruttivo, rientrante nel “fatto” di cui parla il comma 2 dell’art. 319ter c.p., non potrà mai derivare l’effetto della reclusione altrui, determinata unicamente dal comportamento processuale scorretto.
Più semplicemente, se un testimone depone il falso per danneggiare l‘imputato che viene poi condannato alla pena della reclusione superiore a cinque anni sulla base della suddetta deposizione, il successivo accordo illecito stipulato dal testimone risulta del tutto irrilevante con riferimento alla condanna. Il testimone si avvantaggia a seguito della violazione dei propri doveri, ma la condanna prescinde dall’accordo corruttivo.
Perplessità che, invero, può estendersi anche al reato base susseguente: l’accordo corruttivo, in concreto, non incide in alcun modo sull’andamento del processo, già distorto dalla condotta processuale scorretta in modo del tutto indipendente dal pactum sceleris.
Ad ogni modo, un’interpretazione risolutiva può essere quella che ricomprende nel termine “fatto” unicamente la condotta processuale, punibile ai sensi di questa norma solo laddove ne seguano due eventi: la condanna alla reclusione ultraquinquennale e l’accordo corruttivo che abbia, come cause, sia la violazione del dovere d’ufficio sia la suddetta condanna.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Lara Gallarati
Avvocato presso il Foro di Milano.
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