Corruzione di minorenne: configurabile anche via WhatsApp

Corruzione di minorenne: configurabile anche via WhatsApp

Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2020, n. 14210

L’articolo 609 quinquies c.p., rubricato ‘’Corruzione di minorenne’’, è stato inserito all’interno del Codice penale dalla Legge 15 febbraio 1996 n. 66 e sostituito dall’art. 4 comma 1 lettera s) della legge 1 ottobre 2012 n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonchè norme di adeguamento dell’ordinamento interno).

Si tratta di un reato facente parte della più ampia categoria dei reati sessuali, prima annoverati tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume e poi, con la legge 15 febbraio 1996 n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), introdotti nel Titolo XII del Codice Penale rubricato “Delitti contro la persona”, in linea con la concezione personalistica della tutela giuridica propria della nostra Carta costituzionale.

Fin da subito dopo l’entrata in vigore di tale reato, la dottrina e la giurisprudenza si sono occupate di definirne la natura giuridica e gli elementi costitutivi che lo caratterizzano, dato anche il forte allarme sociale generato dai reati a sfondo sessuale, soprattutto quando le vittime sono soggetti deboli o gli autori incapaci d’intendere e di volere.

Si tratta di un reato comune, potendo essere commesso da “chiunque” e la norma che lo prevede si potrebbe qualificare come norma penali mista nella forma di disposizione a più norme, nel senso che contiene tante norme incriminatrici quante sono le fattispecie legislativamente previste.

L’art. 609 quinquies c.p., infatti, contiene due tipologie di condotte che non sono alternative tra loro, bensì costituiscono differenti elementi materiali di altrettanti reati: la prima condotta (primo comma) consiste nel compiere atti sessuali in presenza di un minore di anni quattordici al fine di farlo assistere; la seconda consiste nel mostrare materiale pornografico ad un minore, con la finalità di indurlo ad attività sessuali.

Risulta evidente che si tratta di due azioni differenti accomunate dallo stesso bene giuridico offeso, ovvero il corretto sviluppo sessuale del minore di anni quattordici che la disposizione in esame pretende di difendere e garantire.

Qui, la compromissione della libertà sessuale del minore avviene tramite il suo coinvolgimento emotivo a causa della condotta illecita del reo.

Di recente, la Corte di Cassazione si è espressa in merito a questo reato con la pronuncia dell’11 maggio 2020, n.14210 stabilendo che il reato di corruzione di minorenne può porsi in essere anche in assenza di contatto fisico con la vittima, bensì tramite un mezzo di comunicazione telematico.

Il caso di specie ha visto coinvolto un soggetto maggiorenne che inviava ad una persona minore di anni 14 dei video pornografici sulla sua utenza cellulare e la induceva a compiere atti sessuali e segnatamente a ritrarsi nuda e a compiere atti di masturbazione inviando sulla propria utenza cellulare le relative immagini.

La conclusione della Corte è in linea sia con un’interpretazione letterale della norma di legge che con quella teleologica, in quanto l’analisi delle parole utilizzate dal legislatore nonché lo scopo sotteso alla creazione della disposizione stessa militano nella direzione proclamata dalla Corte.

L’art. 609 quinquies, al secondo comma (che è quello che ha interessato il caso di specie), stabilisce “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali. […]”

Intanto, tale clausola di sussidiarietà sta ad indicare che la fattispecie in oggetto è costruita come condotta prodromica al compimento di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609 quater, configurandosi tale ultimo delitto (con assorbimento del reato di corruzione di minorenne, ex art. 15 c.p.) nel caso di realizzazione effettiva dell’intento criminoso.

Si analizzi letteralmente la norma.

Il legislatore utilizza la locuzione “fa assistere” per descrivere la condotta del reo nei confronti del minore e, dunque, risulta necessario comprenderne il significato per poi essere in grado di affermare la necessaria presenza contemporanea delle parti coinvolte.

Con il termine “assistere” s’intende letteralmente “essere presente allo svolgimento di un fatto”, come si può assistere ad una lezione, ad una rappresentazione teatrale o alla proiezione di un film, a un colloquio.

Applicando tale definizione al caso di specie, il fatto a cui si “fa assistere” è il compimento di atti sessuali ed è sufficiente che siano percepiti dal minore, perché è dalla percezione del fatto che deriva il suo turbamento, ma non necessariamente questi devono essere visti “dal vivo” perché si può “assistere” ad un fatto anche tramite un video.

Le nuove tecnologie, infatti, hanno aperto le porte a nuove forme di visione di fatti online che possono addirittura avvenire in formato “streaming”, quando un soggetto assiste ad un fatto che sta avvenendo in un luogo diverso ma in quello stesso istante oppure “differito” ovvero sempre il un luogo diverso ma viene visto anche in un tempo differente.

Ecco che la locuzione “fa assistere” deve essere letta nel significato letterale così come interpretato alla luce del momento storico in cui i fatti vengono valutati, ovvero quello odierno in cui la società ha cambiato completamente volto grazie al progresso tecnologico che purtroppo porta con sé anche risvolti negativi quando viene utilizzato per commettere fatti delittuosi.

Si passi ora ad analizzare il concetto di “atto sessuale” ovvero un atto attinente alla sfera sessuale, ovvero tutto l’ambito che riguarda il sesso, inteso come l’insieme dei caratteri anatomici, strutturali e funzionali, che in ogni specie di esseri viventi distingue il maschio dalla femmina.

A lungo si è dibattuto sui limiti concettuali di tale nozione, in quanto il legislatore si limita a nominarli ma non fornisce nel dettaglio un elenco specifico di quali condotte siano da annoverarsi come “sessuali” e questo pone il problema dell’eccesso di discrezionalità assegnato al giudice in merito alla scelta d’incriminare o meno una certa condotta.

Tuttavia, le leggi scientifiche ci offrono un fondamentale ausilio in merito, perché grazie ad esse la giurisprudenza e la dottrina sono pervenute all’idea che per atto sessuale non può considerarsi solo la condotta che inerisce l’organo genitale femminile o maschile ma anche le c.d. zone erogene, ovvero quei punti la cui stimolazione esterna provoca eccitazione e piacere sessuale.

Inoltre, ci si è chiesti se l’atto sessuale, per essere considerato tale, dovesse necessariamente soddisfare l’appetito sessuale del soggetto agente o meno.

La risposta è stata data osservando non il punto di vista dell’agente ma piuttosto quello della vittima, nel senso che deve considerarsi atto sessuale ogni atto che provoca una soppressione o anche una compressione della libertà sessuale di qualcuno, a prescindere dall’effettivo godimento provato dal reo.

Questa è l’unica conclusione in linea con la ratio sottesa ad ogni reato sessuale, ovvero quella di proteggere l’autodeterminazione sessuale delle vittime, ancor di più se deboli ed inermi come lo sono dei minori degli anni quattordici (come nel caso di specie analizzato dalla Corte nella sentenza di cui sopra).

Ad oggi, dunque, per “atti sessuali” s’intende “Atti espressione di un appetito o di un desiderio sessuale, che quindi riguardano zone erogene differenti, idonei al contempo ad invadere la sfera sessuale del soggetto passivo mediante costringimento. Vi rientrano dunque diverse tipologie di atti, dal momento che il legislatore ha adottato una definizione onnicomprensiva, sostitutiva di quella vigente in precedenza e che era incentrata sulla distinzione tra congiunzione carnale (intesa come qualsiasi forma di compenetrazione corporale che consenta il coito o un equivalente abnorme di esso), ed atti di libidine violenti (intesi come ogni forma di contatto corporeo diversa dalla penetrazione, che, per le modalità con cui si svolge, costituisca inequivoca manifestazione di ebbrezza sessuale).”

Infine, l’art. 609 quinquies, al secondo comma, oltre alla condotta di “far assistere” un minore al compimento di atti sessuali, alternativamente a questa comprende anche il caso di chi soggiace alla stessa pena qualora “mostri” al minore del materiale pornografico.

In entrambi i casi sopra descritti, il fine ultimo deve essere quello di indurre il minore a compiere o a subire atti sessuali ed è qui che si palesa il dolo specifico che caratterizza tale fattispecie.

Occorre qui domandarsi quale sia la portata descrittiva dal termine “mostrare”, ovvero se esso implichi necessariamente che il minore sia presente fisicamente nel momento in cui il soggetto agente gli mostra il materiale pornografico.

In assenza d’indicazione da parte del legislatore, risulta utile osservare la definizione di tale termine.

Invero, “mostrare” significa letteralmente “far vedere, presentare ad altri perché veda, esamini, osservi”, ergo è palese come l’atto di mostrare qualcosa non implichi necessariamente una presenza fisica ma possa avvenire anche tramite altri strumenti ed in una situazione in cui la parte ricevente e quella mittente siano lontane, così come accade quando si utilizzano i mezzi di messaggistica.

Proprio ragionando in questi termini è chiaro come l’iter argomentativo posto in essere dalla Corte sia assolutamente in linea col significato letterale delle parole utilizzate dal legislatore e con la ratio del reato incriminato.

Ecco perché può affermarsi che la Corte dichiari ragionevolmente che “Per il reato di corruzione di minorenne oltre all’esibizione diretta deve ritenersi comportamento rientrante nella norma anche l’esibizione sui social (nel caso WhatsApp) al pari della configurabilità del reato di cui all’art. 609 quater c.p. nell’ipotesi di uso dei social, senza contatti fisici: ‘In tema di atti sessuali con minorenne, deve escludersi che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica presentino per il solo fatto di svolgersi in assenza di contatto fisico con la vittima connotazioni di minore lesività sulla sfera psichica del minore tali da rendere applicabile, in ogni caso, l’attenuante speciale prevista dall’art. 609 quater c.p., comma 4. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretto il mancato riconoscimento della circostanza attenuante in favore dell’imputato che, collegato via ‘webcam’ con due bambine di 9 ed 11 anni, si era denudato e masturbato, ed aveva indotto le minori a fare altrettanto -‘ (Sez. 3, n. 16616 del 25/03/2015 – dep. 21/04/2015, T, Rv. 26311601; vedi anche Sez. 3, n. 12987 del 03/12/2008 – dep. 25/03/2009, Brizio, Rv. 24309001, Sez. 3, n. 27123 del 18/03/2015 -dep. 30/06/2015, 5, Rv. 26403601 e Sez. 3, n. 32926 del 11/04/2013 -dep. 30/07/2013, N, Rv. 25727301).”

Il principio di diritto che la stessa enuncia è “ In tema di corruzione di minorenne, deve escludersi che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica presentino – per il solo fatto di svolgersi in assenza di contatto fisico con la vittima – modalità non ricomprese nella norma di cui all’art. 609 quinquies c.p., comma 2 poiché il far assistere alla minore di anni 14 al compimento di atti sessuali o il mostrare alla medesima materiale pornografico al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali non richiede necessariamente la presenza fisica essendo idonei anche le comunicazioni telematiche tra i due, così come per il reato ex art. 609 quater c.p.”


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