Cort. Cost. 7 maggio 2020 n. 85: la legittimità costituzionale del divieto dell’impresa mandataria di un RTI in concordato preventivo con continuità aziendale dalla partecipazione a gare pubbliche
Il Tar Lazio, in data 29 ottobre 2018, solleva innanzi alla Corte costituzionale il quesito di legittimità costituzionale degli artt. 38, co. 1, lett. a) del d. lgs 12 aprile 2006, n. 163 e 186 bis, co. 5 e co. 6 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267[1].
Guerra spa, insieme ad un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito in senso alla società cooperativa Ciclat, agisce – sia in proprio che in veste di mandataria della RTI – per ottenere l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla partecipazione alla gara pubblica per “l’affidamento di alcuni lotti dei “servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli istituti e luoghi di cultura pubblici individuati dall’art. 101 del D. Lgs. n. 42/2004”[2]. Altresì chiede il risarcimento del danno determinato dalla esclusione medesima.
Mediante i motivi aggiunti impugna il provvedimento di esclusione delle garanzie di RTI volte alla partecipazione in gara.
Secondo la ricorrente, il provvedimento di esclusione dalla gara non è legittimo, in quanto RTI presenta il requisito indicato dall’art. 186-bis, co. 6 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, per cui “l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale”. Infatti Guerra Spa risulta ammessa, in data 2 maggio 2018, alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale con decreto dal Tribunale ordinario di Rovigo.
Escludere l’impresa mandataria di un RTI significa violare l’art. 3 Cost., poiché si concreta in una condotta espulsiva né ragionevole né giustificata. Altresì esprime un discostamento dal diritto dell’Unione europea, il quale invece richiede una disciplina nazionale volta al favor della continuità aziendale mediante una disciplina di prevenzione della crisi più efficiente e di qui l’ammissione a gare pubbliche di imprese soggette a procedure concorsuali nell’ottica della cd. continuità aziendale e del superamento della crisi.
I principi di libera iniziativa economica e di concorrenza verrebbero pregiudicati ovvero limitati se così non fosse ovvero se si escludesse tali imprese che versino nelle situazioni di crisi e che siano sottoposte alle procedure concorsuali. Gli artt. 41 e 117, co. 2 lett. a) Cost conducono alla conclusione per cui percorrere la strada opposta ovvero della loro esclusione altro non sarebbe che una condotta irragionevole, lesiva dei principi cardine Ue.
In linea con l’approccio normativo dell’Unione europea, il legislatore nazionale imprime un’evoluzione chiara alla materia per cui viene rimosso il riferimento alla composizione dell’operatore economia ovvero se costui agisce individualmente oppure in RTI ed altresì non rilevando più la posizione occupata dalle imprese nell’ambito di un gruppo di imprese.
Il d. lgs. n. 50 del 2016, all’art. 80, comma 5, lettera b) dispone l’impossibilità per l’operatore economico di essere ammesso ad una procedura di appalto nell’ipotesi in cui versi nelle situazioni seguenti: stato di fallimento; liquidazione coatta; concordato preventivo.
Vi è però un’eccezione in cui non si annovera la situazione di concordato con continuità aziendale.
La disposizione disciplina con maggior dettaglio le cause di esclusione ovvero di impossibilità di partecipazione alle procedure di affidamento. Oltre a questa normativa importante maggior dettaglio contenutistico ed anche di tecnica normativa, non importa più il rinvio all’art. 186-bis della legge fallimentare.
Il nuovo codice dei contratti introduce una disposizione che prevale sull’art. 186-bis della legge fallimentare per due ordini di motivi. Il primo dato dal carattere speciale ed il secondo dal dato letterale della nuova normativa, a fare della conclusione della prevalenza della prima fonte sulla seconda.
Vediamo che con il tempo il legislatore ha cambiato rotta; l’attuale normativa è in collisione con quella precedente, perché irragionevole e pregiudicante l’interesse economico dell’impresa mandataria di un RTI[3].
“L’art. 186-bis, sesto comma, della legge fallimentare sarebbe irragionevole, in primo luogo, per l’ingiustificata disparita di trattamento tra le imprese singole e quelle riunite in un RTI, ove sottoposte a concordato preventivo con continuità aziendale, in quanto consentirebbe la partecipazione alle gare delle seconde solo se rivestono il ruolo di mandanti. La disparità di trattamento non sarebbe fondata su “peculiari e oggettive ragioni insite negli interessi della stazione appaltante o della massa dei creditori.
In secondo luogo, l’irragionevolezza deriverebbe dalla illogica disparità di trattamento, tra le due fasi di una commessa pubblica, posto che il concordato preventivo della mandataria che sopravvenisse sol nel corso della fase esecutiva non comporterebbe alcun divieto di prosecuzione del rapporto. Le esigenze di tutela della stazione appaltante sarebbero infatti le stesse in entrambe le fasi”[4].
L’impresa mandataria non è dissimile da quella che agisce singolarmente; trattasi in entrambi i casi di due operatori economici che agiscono autonomamente nella procedura di appalto, salvo per la prima il prodursi di effetti anche nei confronti delle mandanti. È pur vero che il regime di responsabilità della mandante è solidale rispetto a quella dell’impresa singola ma questo anzi è un vantaggio per la stazione appaltante la quale può contare di soddisfare le proprie pretese verso più obbligati. Dunque il regime di responsabilità della mandataria non può dirsi differente da quello dell’operatore economico agente in via individuale ex art. 48, co. 5, d.lgs. n. 50/2016.
Sia le indicazioni comunitarie sul punto sia il codice dei contratti pubblici con consentono questo discrimine tra la forma singola ed associata di partecipazione, in forza del supremo principio della cd. neutralità della forma rivestita dall’operatore economico. Per tale via sarebbero dunque anche rispettati i principi della libertà di stabilimento e della libertà di prestazione dei servizi, che altrimenti si verrebbero a pregiudicare[5].
La irragionevolezza dell’art. 186-bis, comma sesto, risiede altresì nella tematica della giurisdizione dove si creerebbe una sovrapposizione di esse sulla stessa fattispecie. Infatti per tale via, il giudice amministrativo si troverebbe a vedere esteso il proprio ambito di cognizione al sindacato del provvedimento del giudice fallimentare di ammissione ovvero di inclusione alla gara per l’impresa in concordato preventivo, in linea con gli interessi dei creditori e la sostenibilità finanziaria dell’operatore economico.
Si tratta di giurisdizioni potenzialmente contrastanti, i cui esiti potrebbero essere altrettanto opposti, il che andrebbe a pregiudicare le possibilità di esito positivo delle procedure concorsuali[6].
L’ipotesi in cui l’operatore economico, prefigurandosi il caso in cui abbia già presentato l’offerta, se a seguito di questa sopravviene senza colpa dell’agente l’applicazione della procedura concorsuale è una fattispecie che non trova una disciplina compiuta, di qui il monito di integrazione normativa per far fronte alle problematiche ivi conseguenti.
In conclusione, la Corte Costituzionale chiarisce che la mandataria in concordato con continuità aziendale è esclusa dal partecipare a gare pubbliche per il superiore interesse pubblico di tutela della stazione appaltante all’esecuzione corretta dell’appalto che altrimenti sarebbe minacciata dalla situazione di crisi dell’impresa. Inoltre l’evoluzione del dato normativo ex art. 1, co. 20, lett o), num 3) del d.l. n. 32 del 2019 conferma il mancato superamento del divieto a partecipare ad appalti pubblici della mandataria (come invece volevasi affermare con la normativa del nuovo codice dei contratti pubblici).
Anziché operare un bilanciamento tra gli interessi in causa, il legislatore ha ritenuto necessario operare una gerarchia, prevalendo l’interesse della stazione appaltante rispetto alle istante di continuità aziendale e superamento della crisi di impresa. infatti, per questi motivi, la Corte Costituzionale “dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186-bis. co. 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n.267″ ed altresì “dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, co. 1, lett. a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dell’art. 186-bis, co. 6, della legge fallimentare”.
[1] Il Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 disciplina il fallimento, il concordato preventivo, l’amministrazione controllata e la liquidazione coatta amministrativa.
Il Decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 importante misure urgenti finalizzate alla crescita del Paese, modifica il contenuto dei commi 5 e 6 dell’ art. 186 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 all’art. 33, co. 1, lett. h). convertito poi, con ulteriori modificazioni in legge n. 134, il 7 agosto 2012. Così come modificato dalla legge dispone l’art. 38, c.1, lett. a) d. lgs n. 163 del 2006, rubricato “requisiti di ordine generale” ed in forza del quale “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186 – bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.
L’art. 186 bis, co. 5 dispone “l’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara: Una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto”.
Ed al co. 6 “fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in concordato può concorre anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. Il tal caso la dichiarazione di cui al precedente comma. Lettera b), può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento”.
[2] C. Cost. 7/05/2020, n. 85, cit. p. 2.
[3] L’ impresa in concordato preventivo versa in una situazione di “debole” capacità finanziaria. A fronte di ciò si pongono come necessarie delle cautele (art. 186-bis co.4 e co.5 della legge fallimentare e art. 110 d.lgs. n. 50 del 2016 co.3) in virtù della tutela delle istanze dei creditori ed altresì per una esecuzione legittima dell’appalto. Dunque le scelte del legislatore altro non sono che una ricerca costante di bilanciamento tra gli interessi pubblici e privati ivi intervenuti.
La ratio della normativa è quella di ammettere anche l’impresa in concordato preventivo alle procedure di gare pubbliche al fine di consentire, per tale via, il conseguimento di ricavi per far fronte allo stato di crisi. Per tale motivo “la differente disciplina riservata all’impresa mandataria di un RTI rispetto all’impresa che concorre uti singula non sarebbe pertanto ragionevole, valendo anche per la prima la medesima ratio”, C. Cost. n. 85/2020, p. 16 cit.
[4] C. Cost. 7/05/2020, n. 85, cit. 6.
[5] C. Cost., n. 85/2020, p. 24 cit., si violerebbero così gli artt. 41 e 117 co.2, lett. a, Cost., “in quanto l’irragionevole esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici dell’impresa mandataria di un RTI sottoposta a concordato preventivo con continuità aziendale limiterebbe ingiustificatamente la libertà di iniziativa economica e si porrebbe in contrasto con il principio della concorrenza, costituente un “principio cardine dell’Unione europea”, cui “la massima partecipazione alle gare è funzionale”.
[6] Contrariamente, Cort. Cost. n.85/2020, p. 13, cit., per cui non si comprende “quale parametro costituzionale sarebbe violato per il fatto che le norme censurate consentirebbero la sovrapposizione del sindacato del giudice ordinario in sede fallimentare e del giudice amministrativo in sede di impugnazione degli atti dell’amministrazione”.
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Bochra El Hachimi
Dottore in Giurisprudenza, titolo conseguito presso l'Università degli Studi di Trento, che si caratterizzata per una spiccata proiezione transanzionale, internazionale e comparata.Attualmente è Praticante Avvocato e frequenta il Master di II livello in Crisi - Insolvenza - Sovraindebitamento presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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